GRUPPO DI FIRENZE

per la scuola del merito e della responsabilità

Programmi o "imparare a imparare"?
Un bivio cruciale per la scuola

G.R. dal Gruppo di Firenze per la scuola del merito e della responsabilità,
23.12.2008

È sempre più evidente l’urgenza di fissare per ciascun livello degli studi alcuni traguardi minimi da raggiungere obbligatoriamente per poter andare avanti. Gli errori ortografici di cui molti laureandi infiorettano le tesi, la povertà lessicale, la difficoltà nell’organizzare testi in modo logico stanno da tempo dando luogo a una florida aneddotica universitaria. Nelle fioroniane “indicazioni nazionali per la costruzione del curricolo”, ad esempio, tra gli obbiettivi di apprendimento per la classe quinta, quello di “produrre testi corretti dal punto di vista ortografico, morfosintattico, lessicale” figura all’ultimo posto di una serie di altre abilità più sofisticate, senza che ne venga sottolineata la centralità. E non a caso l’obbiettivo lo ritroviamo in forma quasi identica fra quelli indicati per la terza media.

Da tempo Giorgio Israel, docente di matematica alla “Sapienza” di Roma, si batte per un ritorno ai programmi, cioè a una serie di contenuti disciplinari che la collettività ritiene indispensabili nei diversi ordini di scuola. E nel far questo non ha mai perso l’occasione per polemizzare contro il superamento dei programmi in favore delle “competenze”, concetto oltretutto sfuggente e controverso. In un’intervista rilasciata a “Il Sussidiario.net” si parla di questo, ma anche della cautela che si deve avere nell’affidarsi alle scuole “autonome” (spesso non in grado di sbrogliarsela con problemi più grandi di loro e soprattutto dei loro dirigenti), nonché della “pazzia” che, oggi come oggi, costituirebbe l’affidare ai singoli istituti il reclutamento degli insegnanti.

Il professor Davide Mulas, del Liceo Ginnasio “Dettori” di Cagliari, ci segnala a questo proposito un articolo di Andrés De La Oliva pubblicato su “El Paìs”, che lo stesso Israel ha riprodotto (in traduzione e lingua originale) sul suo blog e che è intitolato La truffa dell’insegnare a insegnare. Personalmente non metterei sullo stesso piano "imparare a insegnare" e "imparare a imparare". La conoscenza approfondita della materia è senza dubbio fondamentale, ma non sempre basta a saperla insegnare. De La Oliva stesso si contraddice, scrivendo che "i laureati che mai hanno insegnato non sanno insegnare non perché gli difetti una preparazione pedagogica o psicopedagogica, ma perché gli manca la pratica dell’insegnamento". Ma se è utile la pratica dell'insegnamento, non è vero che basta sapere bene la propria disciplina.

Mettere l’ "imparare a imparare" in cima alle competenze è invece un’autentica sciocchezza , dato che, da quando si impara, si impara a imparare più che altro imparando... E imparando cosa? Contenuti disciplinari, appunto. (GR)