Docimologia da bar sport di Red Rom da ScuolaOggi, 11.12.2008 Si cominciano a vedere gli effetti dell’ormai famigerato articolo con cui il Divo Giulio (ci riferiamo al “pensoso” Ministro dell’Economia), nell’estate appena trascorsa, dette il via al blitz su pagelle e valutazione, per reclamare a gran voce il ripristino del voto in numeri (oltre che del voto in condotta) nella scuola di base (elementare e medie). Ricorderete le efficaci bordate dialettiche contro i giudizi, basati su “formule che tendono ad essere ipocrite, psicopedagogiche, tautologiche, caramellose, offensivo-giudiziarie…” e l’altrettanto sicura linea pedagogica: “…tornare a dar i voti come una volta: 10, 9, 8, e così via, perché la verità è semplice; dare un giudizio senza una classifica significa non dare affatto un giudizio reale…”. Come non condividere le lapalissiane considerazioni che “i numeri, possono, tra l’altro, riflettere una media…”, che con gli aggettivi “si fa solo confusione”, che “tutti i fenomeni significativi sono misurati con un numero” (terremoti, moto marino, temperatura, ecc.). E perché non aggiungere, diremmo noi, la valutazione dei calciatori il lunedì mattina al Bar Sport, con corredo di Gazzette e “processi al campionato”. Ma l’ironia finisce qui, perché forse si deve proprio a quell’editoriale del “Corriere della Sera” se nella serata del 1° settembre 2008, il Consiglio dei Ministri si impegnò nella veloce stesura del Decreto-Legge 137 (poi convertito in legge 169/08) in cui ben due articoli – il 2 e il 3 – erano dedicati al ripristino del voto in condotta per tutti e dei voti numerici nel primo ciclo. Così, dopo 31 anni in cui il voto in numeri non faceva più parte del guardaroba dei nostri allievi (accantonato dalla legge 517/1977, quella –per intenderci- che apriva all’integrazione dell’handicap, alla programmazione collegiale, al rapporto con il territorio) ha fatto la sua felice ricomparsa –per ragioni di urgenza!- con il viatico dei colori tenuti del balconcino delle conferenze stampa di Palazzo Chigi. Ormai, si sa, non conta più il Parlamento –con le sue faticose argomentazioni e mediazioni- ma si impongono le nuove “agorà” della democrazia mediatica e sbrigativa (“Porta a Porta, in primis”).
Due articoli buttati giù in fretta e furia, con tanto di errori grammaticali (corretti da un provvidenziale emendamento Devoto-Oli), e con vistosi scivoloni pedagogici, su cui ci siamo tutti esercitati. Come evitare che una sola insufficienza, magari in una disciplina marginale, non porti diritto alla bocciatura? Come certificare le competenze con voti in decimi (e l’Europa ancora sta a ridere…)? Come immaginare che il maestro unico debba bocciare gli alunni solo “all’unanimità”, con se stesso ?(“…mi vengono dei pensieri che non condivido” –ebbe a dire il sulfureo Ennio Flaiano). Insomma un pasticciaccio, ben rivelato anche dai volonterosi ordini del giorno approvati dalla Camera dei Deputati all’atto della conversione dell’”intoccabile” decreto-legge. E’ scontato che l’opposizione abbia cercato di mettere alcuni paletti alla cultura della valutazione formativa, che rischia di essere travolta dalla semplificazione del voto . E’ meno scontato che i Deputati di maggioranza e minoranza (da Aprea-PDL a Ghizzoni-PD) abbiano approvato insieme un ordine del giorno “bipartisan”, per chiarire alcune questioni preliminari alla gestione dell’operazione “ritorno al voto”. L’odg impegna il Governo: “ad accelerare, attraverso il contributo scientifico dell'INVALSI, la definizione dei descrittori dei livelli di apprendimento disciplinare del primo e del secondo ciclo, nonché il profilo in uscita atteso per ogni studente al termine di ogni singolo percorso di studio, tenendo anche conto della disabilità e dei disturbi specifici di apprendimento, affinché l'assegnazione dei voti, l'attestazione dei risultati raggiunti e la certificazione delle competenze corrispondano a conoscenze, abilità e competenze comparabili e misurabili tra scuole e, più generalmente, a livello nazionale”.
Si capisce, insomma, che c’è ben altro dietro il voto: che un “6” non è –di per sé- più chiaro, oggettivo e trasparente di un “sufficiente” (questo sarebbe il grande cambiamento avvenuto con il decreto?), se non si chiarisce cosa stiamo valutando (conoscenze, abilità, competenze…), sulla base di quali criteri (progresso dell’allievo, standard di riferimento, soglie assolute ecc.), utilizzando quali strumenti di verifica (osservazioni, prove tradizionali, prove strutturate, prodotti degli allievi ecc.). per non parlar poi della connessione con il tema della valutazione autentica (allora, il lavoro sul portfolio? tutto da buttare?), dell’autovalutazione, della descrizione degli apprendimenti, della certificazione delle competenze e del suo significato. E a monte, una domanda ancora più impegnativa: qual è il significato della valutazione in una scuola di base? Dovrà aiutare a “discriminare” meglio i risultati degli allievi (usiamolo pure in termine tecnico) o dovrà contribuire a stimolare il miglioramento continuo dei processi di apprendimento? Dovremo ripristinare le bocciature, così si capirà che un 5 è un 5, altro che giudizi fumosi… (oggi alle medie si boccia al 3,5%, ma indagini serie ci dicono che il 20% degli allievi non è sufficiente in discipline fondamentali come la matematica e le lingue straniere). Oppure dovremo, ancora una volta impegnarci in quel compito difficile e quasi impossibile, che è stare accanto ad ogni ragazzo per ottenere da lui il massimo e portarlo verso traguardi accettabili per farne un cittadino a pieno titolo? Ecco un bel dilemma, tra personalizzazione (che può essere rinunciataria) e standard di apprendimento (che possono apparire una costruzione artificiosa). La valutazione degli allievi è un processo delicato, che interroga innanzi tutto chi la compie (gli insegnanti e le istituzioni scolastiche), è una ricerca continua di un giusto equilibrio tra promozione, cura, attenzione ai bisogni degli allievi e valorizzazione dei loro impegni, capacità, meriti. Tutto questo sta a fatica dentro un voto e non è certo rappresentato e descritto dalla pura media aritmetica dei voti assegnati in corso d’anno.
Ne siano consapevoli anche gli estensori del nuovo Regolamento che deve coordinare le norme vigenti in materia di valutazione degli alunni, che proprio in questi giorni approda per un parere al Consiglio Nazionale della Pubblica istruzione (e, come al solito, non ci sono i tempi per una discussione più ampia e significativa). Spiace vedere in quel testo, che vorrebbe mettere ordine in una matassa giuridica assai aggrovigliata, qualche azzardo docimologico di troppo, là ove –ad esempio- si chiede ai docenti di estendere l’uso dei voti numerici nell’attività quotidiana, sui quaderni, nei registri, sulle schede, sulle prove… Un profluvio di voti che magari si pensa di dominare con la ferrea logica delle medie aritmetiche. Ma allora, dove è finita (e dove finirà) la nostra cultura della valutazione? L’attenzione ai processi? La rilevanza dei contesti? L’analisi dei “prodotti” dell’apprendimento? L’apprezzamento delle condotte cognitive, sociali, emotive degli allievi? Spiace non vedere una parola forte sui criteri di valutazione, sulla condivisione di procedure, sulla descrizione di competenze (perché si può andare verso la costruzione di standard, magari a partire dalla riflessione sulle pratiche didattiche che una comunità professionale di una scuola compie). Sappiamo che gli insegnanti usano spesso, contemporaneamente, una pluralità di criteri (progresso dell’alunno, riferimento alla classe, valori assoluti, ecc.) che hanno diretta incidenza sullo stile di insegnamento, sulle scelte metodologiche e didattiche. Prendiamo atto che la ricerca internazionale è assai più avanzata della nostra, ma non esente da qualche rischio di semplificazione e riduzionismo: l’apprendimento non coincide con il risultato il risultato di un test… o con l’esito di una prova. Spiace, ancora, rilevare la fragilità con cui si sta affrontando il tema della certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione (giusto farla, anche alla fine della prima elementare?), sulla necessità di aprire un confronto a tutto campo sul suo significato formativo (prima ancora che giuridico, di attestato supplementare alla pagella), dell’uso che se ne potrebbe fare nel corso della scolarità obbligatoria (perché l’avevamo piuttosto associato alle uscite differenziate nel post-obbligo). Mancano esperienze probanti sul buon uso della certificazione nella scuola di base, sulla sua capacità di portare ad una migliore comprensione degli apprendimenti, all’incentivazione di motivazioni, all’autostima, ad atteggiamenti positivi verso l’esperienza scolastica. Si certifica solo in positivo, è scritto nella bozza di Regolamento, e non possiamo che condividere, ma non crediamo che si possa farlo con i voti. Molto altro ci sarebbe da approfondire: - l’insistito richiamo a comportamenti, condotta, tratti della personalità (con il rischio incombente di andare “fuori tema”); - il peso delle prove d’esame (ivi comprese quelle strutturate) e del curriculum dell’allievo nell’esame di terza media; - la mancanza di modelli nazionali di schede per gli alunni (ma questo è un frutto dell’autonomia); - l’enfasi sulle nuove rilevazioni generalizzate dell’INVALSI (senza aver chiarito–apertis verbis- il loro significato); - la nuova soglia di alfabetizzazione –corrispondente allo standard A1- fissata per gli alunni non italianofoni che intendono iscriversi alla secondaria di II grado.
La speranza è che, impegnati a inseguire i
voti che spuntano da tutte le parti, non ci dimentichiamo la ragione
fondamentale di tutto questo affanno, che resta la nostra
responsabilità (e professionalità) nell’educazione e nell’istruzione
delle giovani generazioni. 1. G.Tremonti, Il passato e il buon senso, in “Corriere della Sera”, 22 agosto 2008. Ma se i voti da 1 a 10 fossero così chiari ed espliciti, ci permettiamo di ricordare al Ministro dell’Economia, come mai le agenzie internazionali più accreditate in materi finanziaria (Standard Poor’s oppure Moody’s) si ostinano ad utilizzare un sistema di valutazione della solvibilità delle aziende (e dei Paesi) e dei rischi degli investimenti, con scale assai più complesse di quelle decimali, e spesso rappresentate da lettere dell’alfabeto: AAA (elevata capacità di ripagare il debito), AA, A e poi BBB, BB, B, e ancora CCC, CC, per finire con D (società insolvente), magari con le varianti AA+, A+, A-, tanto per apprezzare i titoli a breve termine. Ci viene in mente, di questo passo, che il sistema più accreditato a livello europeo, in materia di certificazione delle competenze (riferite alla padronanza delle lingue) è basato su una scala di descrittori assai analitici, contrassegnati dalle lettere A1, A2, B1, B2, C1, C2… Allora, tutta questa foga in materia di voto? Non sarà, come scrive sinceramente il nostro, per ripristinare “un fondamento tradizionale della nostra società, che è quello del rapporto necessario di autorità e insieme di fiducia che ci deve essere tra l’allievo, la famiglia e l’insegnante” (art. cit.). 2. L’ordine del giorno TOCCI, sottoscritto da quasi tutti i deputati dell’opposizione che siedono nella VII^ Commissione della Camera dei Deputati, (Ordine del Giorno 9/1634/56 del 9-10-2008) rappresenta un vero e proprio “manifesto” sulla valutazione formativa ed impegna il Governo: - a promuovere efficaci azioni di ricerca, formazione e studio, con il diretto coinvolgimento degli operatori scolastici e con la collaborazione dell'Invalsi, al fine di diffondere e rafforzare una cultura della valutazione orientata al miglioramento e all'armonizzazione dei risultati scolastici sull'intero territorio nazionale; - a fornire alle scuole linee di lavoro corrette sul piano docimologico per integrare la mera espressione del voto numerico con semplici modalità di valutazione formativa, in grado di informare sui progressi degli allievi, sul loro grado di partecipazione alla vita della scuola, sul raggiungimento dei traguardi e degli obiettivi essenziali nei diversi campi del sapere; - a sostenere un'azione di ricerca e sperimentazione in merito al problema della certificazione delle competenze in uscita dal primo ciclo, per elaborare una strumentazione coerente con le linee e i documenti di riferimento europei, al fine di evitare una inutile duplicazione di adempimenti burocratici e amministrativi; - a subordinare l'introduzione di forme di certificazione delle competenze nel primo ciclo di istruzione alla definizione di standard di apprendimento condivisi e trasparenti, alla elaborazione di modelli e procedure uniformi sul territorio nazionale, alla realizzazione di un adeguato piano di informazione e formazione dei docenti interessati; - a chiarire che la rilevazione degli apprendimenti, anche mediante prove standardizzate di carattere nazionale, è finalizzata a migliorare le pratiche di autovalutazione e valutazione, a consentire una corretta interpretazione e comparazione dei risultati raggiunti dalla scuola e dagli allievi;
- ad introdurre con gradualità la elaborazione
di un «bilancio sociale» da parte di ogni istituzione scolastica
autonoma, al fine di assicurare necessarie forme di rendicontazione
sociale dei risultati raggiunti dall'azione della scuola. |