Collaboratori scolastici:
pasti da servire, pasti da mangiare . . .

da Tuttoscuola, 28 aprile 2008

E' di oggi l'articolo di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella sul Corriere della sera, Perché l'Italia sta rischiando il naufragio, che presenta il prossimo libro dei due giornalisti, La deriva.

Dalle prime righe di anticipazione, si evince che alcune pagine sono dedicate alla scuola, con denunce puntuali e documentate: tra queste l'ironia si ferma sulla nuova figura professionale della scodellatrice nelle scuole dell'infanzia.

Come nasce questo nuovo mestiere? E' presto detto. Il protocollo d'intesa con i sindacati esclude dal mansionario del collaboratore scolastico (che prima veniva detto bidello) compiti come il ricevimento dei pasti, la predisposizione del refettorio, la distribuzione dei pasti e lo "scodellamento", la pulizia dei locali ed eventualmente delle stoviglie dopo il consumo del pasto. Ne deriva che qualcuno questo lavoro, che non spetta al collaboratore scolastico, deve farlo. Ed ecco che nascono le scodellatrici, figure spesso precarie, composte da persone riunite in cooperative, che svolgono tutte le attività connesse alla refezione dei bambini.

Si potrebbe essere divertiti di questa boutade, se a un Comune di media grandezza, con 2000 alunni cui dar da mangiare, il lusso delle scodellatrici non costasse 300.000 euro per anno scolastico. Soldi con cui si potrebbero comprare 300 computer, ad esempio.

Ma, e andiamo oltre l'articolo odierno del Corriere della sera, se il pasto dei bambini suscita da parte dei collaboratori scolastici un rifiuto in termini di prestazione lavorativa, non altrettanto si può dire della brama di cibarsene gratis.

E' infatti in corso un'autentica battaglia per il "pasto gratuito" nella nostra scuola, in cui si sfidano sindacati, amministrazione centrale e Comuni. I sindacati (FLC Cgil, CISL Scuola, UIL Scuola e SNALS Confsal) rivendicano l'applicazione dell'art. 21 del CCNL (diritto al pasto gratuito per docenti e personale ata in servizio durante la mensa), ricordando "come la consumazione del pasto da parte del personale non possa essere considerata alla stregua di un mero accesso ad un servizio a domanda individuale, ma una prestazione di lavoro fortemente connotata in termini educativi e di assistenza".

Il problema è che le spese per il pasto del personale lo Stato se le accollerebbe solo in parte, lasciando il resto della spesa ai Comuni, che subirebbero il maggior onere, senza il completo rimborso e senza aver partecipato alla contrattazione. È questa la tesi espressa da Nadia Masini, Coordinatrice della Commissione Scuola dell'Anci, in replica al comunicato congiunto dei sindacati scuola: "I Comuni svolgono le funzioni loro attribuite dalla legge in materia di diritto allo studio, secondo le previsioni costituzionali e le modalità previste dalle leggi regionali e non risulta che tra le competenze su indicate sia compresa anche quella relativa alla fornitura del pasto del personale statale".

Nel controcomunicato, la Masini rinnova l'irritazione per il reiterarsi della "procedura anomala, di contrarre obbligazioni da parte della Pubblica Istruzione nei confronti di dipendenti, editori etc, senza assumersene direttamente gli oneri ma attribuendole ai Comuni, soggetti che l'ordinamento definisce Autonomi e che invece non sono neanche consultati".

E quindi conclude: "I Comuni non intendono disconoscere il diritto alla piena applicazione del contratto dei dipendenti statali ma nessuno vorrà mettere in dubbio il dovere degli stessi Enti di non sostenere nuove spese, non previste in bilancio e senza totale copertura.

Pertanto il Ministero, correggendo l'evidente errore di valutazione, dovrà reperire i fondi sufficienti alla applicazione del Contratto".