Una riflessione sull'organico funzionale.

di Francesco Butturini da Educazione & Scuola del 17.4.2008

 

In tempo di attesa, desidero fare una riflessione su uno strumento che 350 scuole di ogni ordine e grado hanno avuto a disposizione dall’a.s. 1998/99 all’a.s. 2000/2001: tre anni. Mi riferisco all’organico funzionale come previsto dal D.M. 29 maggio 1998 n.251, confermato con il D.M. 22 marzo 1999 n. 71.

Non sto qui a riferire quali operazioni si dovessero compiere per realizzare quanto previsto dai decreti ministeriali citati. Basta una breve ricerca in Internet per trovare tutto, compreso l’elenco delle 350 scuole.

Detto in due parole: era la reale, concreta possibilità, facoltà delle singole istituzioni scolastiche di costruire un organico cattedre sulla scorta di progettazioni. Vi riporto a titolo esplicativo quanto scritto nel D.M. 71, stralciando dagli articoli 3 – 4):” In attuazione della delibera del Collegio dei docenti che approva il piano dell’offerta formativa, comprendente i corsi di ordinamento, i corsi sperimentali, nonché tutte le opportunità formative previste dall’istituzione scolastica, coerenti con le finalità proprie della stessa, il dirigente scolastico indica le classi di concorso alle quali attribuire le risorse assegnate…Le ulteriori risorse disponibili sono assegnate per lo svolgimento di insegnamenti integrativi, di attività didattiche in compresenza o che prevedano l’articolazione del gruppo classe, ovvero per la programmazione, organizzazione e realizzazione di iniziative di raccordo con le realtà socio-economiche e di esperienze di orientamento, riorientamento e scuola-lavoro , nonché di tutte le attività inerenti i progetti che l’istituzione scolastica ha previsto nell’ambito del piano dell’offerta formativa. In particolare l’organico funzionale, sia nella scuola media che nelle prime classi degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado, è diretto ad agevolare le iniziative formative, di orientamento e di eventuale passaggio fra diversi ordini ed indirizzi di studio previsti dalla legge 20 gennaio 1999, n.9 per l’adempimento dell’obbligo scolastico, che ha ora durata novennale...L’attribuzione alle classi di concorso delle risorse (…)è effettuata con riferimento alle specifiche competenze richieste dagli insegnamenti integrativi e dalle attività previste, sulla base dei criteri definiti dal Collegio dei docenti in sede di deliberazione del piano dell’offerta formativa.”

Mi sembra chiaro che, allora, abbiamo iniziato a respirare un’altra aria: sicuramente più vicina a quell’Europa che la Strategia di Lisbona indica come obbligatoriamente da raggiungere per l’appuntamento del 2010.

A rileggere questo testo che in 350 dirigenti abbiamo adoperato, mi sembra sia stato un sogno. Ed era, invece, una realtà nella quale abbiamo operato e con la quale abbiamo iniziato a trasformare le nostre scuole e i nostri docenti, dando ai volonterosi – ma non solo a quelli – i tempi, i modi, il riconoscimento economico per una professione che riacquistava dignità e consistenza: culturale e sociale.

Invece, in questi giorni, gli uffici scolastici provinciali stanno tagliando a destra e a manca cattedre e classi, ubbidendo ad un solo criterio: il risparmio. Senza avere davanti un progetto didattico, culturale – ma voglio scrivere anche: civile – che rimetta al centro la Scuola pubblica.

Per questo mi interessa sottoporvi queste riflessioni “scolastiche”. Ed uso con orgoglio questo aggettivo, spesso, al contrario, usato come spregiativo e certamente di livello valoriale inferiore a “culturale” o “universitario”.

Sul mio tavolo posano da un lato le raccomandazioni del parlamento e del consiglio d’Europa relative alla Strategia Lisbona 2000, Il Regolamento per l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, le Linee Guida e il Quaderno bianco sulla Scuola. Li ho letti, studiati, riletti e appuntati con grande interesse. Non sono solo strumenti di lavoro. Mi sembra contengano, nuovamente e finalmente, una filosofia della scuola come da anni non era dato leggere. In quei testi ci trovo un’idea di Scuola pubblica che nasce dalla nostra Costituzione e si fa forte di alcune normative – ci si augura – non perse nel tempo e nella memoria, a partire dal D.P.R. 275/99, il Regolamento per l’autonomia delle istituzioni scolastiche. Ci trovo l’idea di una Scuola al centro dello sviluppo civile, sociale, economico. Scuola come strumento principe della società della conoscenza. E respiro a pieni polmoni un’aria che avevo iniziato a respirare nella primavera del 1997 con la legge Bassanini: quell’articolo 21 della legge 59 che ha aperto le strade della modernizzazione della nostra Scuola.

Ma, sempre più spesso, mi chiedo: non è stata abrogata, vero? È sempre valida? Legge dello Repubblica, o è stata derubricata a legge storica per qualche ricerca d’archivio?

Domande legittime, perché, oggi (ma anche ieri e l’altro ieri; anche dopo il cambio di governo nel 2006), quando arriviamo alla composizione “barocca” (per usare l’aggettivo che ho trovato nel Quaderno bianco ) dell’organico di diritto e fra qualche settimana dell’organico di fatto, tutto quello che era scritto nei testi ricordati, scompare. Sembra che il ministro reale ed unico della Pubblica Istruzione sia il ministro del’Economia e delle Finanze. Anzi: i funzionari del ministero dell’Economia e delle Finanze, del tutto dimentichi della Scuola della Repubblica, e dimentichi anche della scuola che hanno frequentato. O, forse, la vogliono proprio dimenticare.

Ci stiamo battendo con richieste assurde del tipo: abbinare più insegnamenti o scomporre lo stesso insegnamento, non in base un progetto didattico, ma solo per rispondere alla composizione di un monte ore e monte cattedre provinciale.

Possiamo ancora parlare di residui di autonomia delle singole istituzioni scolastiche come previsto dalla nostra Costituzione e dalle normative derivate?

Cosa ci resta di autonomia?

Semplice: saremo da soli (autonomi) a dover spiegare a docenti, studenti e famiglie che non è colpa nostra se la continuità didattica va a farsi friggere, le classi scompaiono, gli orari diventano impossibili e di sperimentazione rimangono solo le difficoltà gestionali.

Chi mi legge sa che non sto esagerando e non capisco perché continuiamo ad accettare una quotidiana dimenticanza dei diritti fondamenti del cittadino ad avere una buona scuola, efficace e produttiva, come indicano perentoriamente e chiaramente gli articoli 3, 9, 33, 34 della Costituzione e il 35 come naturale conseguenza e conclusione.

Ma siccome sono un educatore, e quindi un ottimista, continuo a sperare che la Scuola sia messa al centro delle attenzioni e della passione dei nostri politici e del futuro governo della Repubblica.