«La cultura dell’illegalità è egemone
Senza sviluppo economico
la scuola non può nulla».

di Marina Boscaino da l'Unità del 22.4.2008

 

di Marina Boscaino-CIDI Unità:  22-04-2008 «Ore 8: scendo per recarmi a scuola. Sotto casa c’è un biliardo. Come mi dà fastidio! C’è tanta gente con la faccia che non mi piace e la sera vedo che si scambiano dosi sotto al mio balcone. Mia madre mi chiede di andare a buttare la spazzatura e mi trovo una montagna più alta di me. Se decido di uscire con le mie amiche non portano il casco perché si guastano i capelli e se mi fermo al rosso rischio di farmi tamponare perché al semaforo è vietato fermarsi». Un brano del tema di Annalisa, una bimba di una scuola media di Miano, periferia nord di Napoli. Lavori saliti agli onori delle cronache di questi giorni, perché indicano una percezione del mondo - da parte dei ragazzini di quella scuola - che ammette, anzi legittima, la camorra («c’è gente che odia la camorra, io invece no, anzi a volte penso che senza la camorra non potremmo stare perché ci protegge tutti», scrive Antonio); ragazzini che hanno consapevolezza di un certo tipo di "lavoro" minorile («Molti ragazzi che cominciano a spacciare a 13 anni diventano più importanti e una volta che ci sei entrato non ne esci più e se provi ad uscirne vieni ucciso», dice Alberto); lo trovano persino normale, quando non appetibile («Quando scendo vedo bambini che spacciano in grandi macchine, uno qualsiasi che lavora non se lo può permettere», sono parole di Antonio).

Cominciamo con lo sfatare un luogo comune: il fatto che un ragazzo di 13 anni, che tanti ragazzi di quell’età scrivano frasi come «La camorra ci protegge e se qualcuno ci vuole fare del male i clan ci difendono» ci colpisce solo nell’attimo in cui leggiamo. Siamo talmente assuefatti e impreparati all’orrore che la nostra società sta producendo che quelle affermazioni - decodificazione del reale che dovrebbe suscitare concreti allarme e preoccupazione nel mondo della politica e nella società civile - sono destinate a scomparire dalle pagine dei giornali, nella nostra costitutiva noncuranza. L’interesse peloso di un giorno lascia il posto all’indifferenza per vite e destini che sentiamo lontani da noi. «Nelle scuole dell’area nord di Napoli la cultura dell’illegalità è egemone. Solo coloro che sono lontani dalla percezione della vita sociale di questa città possono scandalizzarsi», afferma Aldo Musciacco, presidente del Cidi di Napoli e esperto di disagio e dispersione scolastica, che continua: «Senza sviluppo economico non c’è possibilità che la scuola possa contenere il disagio e riorientare esistenzialmente questi ragazzi». Già. Il preside della Salvo D’Acquisto di Miano ha commentato al Gr1 che gli alunni hanno partecipato a diversi progetti a sostegno della cultura della legalità. Ma la scuola ha armi ormai spuntate per combattere un fenomeno tanto diffuso e tanto trascurato negli anni; è sbagliato continuare a credere che in alcune zone del Paese l’educazione alla cittadinanza possa essere costruita come competenza attraverso un’erogazione di saperi. La strada giuridico-morale è inefficace rispetto alla capillarità del fenomeno, là dove non esistono luoghi di aggregazione, attribuzione di senso alle regole di convivenza civile; e dove nelle stesse famiglie non è raro respirare un’aria che ammicchi quando non colluda con l’illegalità. Sarebbe più opportuno usare modelli di intervento differenti, fondati sull’esperienza, sull’elaborazione del vissuto di questi ragazzi che - usciti dalle aule scolastiche - trovano un mondo che gli parla di altro rispetto a quello che raccontano i progetti, di cui pure la scuola italiana, nel bene e nel male, pullula. Le conoscenze eventualmente apprese a scuola non sono sufficienti né adeguate a riorientare, poiché i sistemi di riferimento nei quali i ragazzi vivono - la famiglia, la strada, la scuola - parlano lingue molto differenti. E il linguaggio della scuola non ha, in questi casi, alcuna chance di affermazione, nelle poche ore in cui viene percepito: contraddittorio e improntato a valori che con quello che c’è fuori - nelle lunghe ore passate fuori, in un sistema di credenze completamente ribaltato - non ha nulla a che fare. Rimane, si amplifica il problema di Annalisa, la ragazzina le cui parole - riportate all’inizio - danno un senso assai più drammatico di qualunque ammissione di legittimità della camorra. Lei, un’idea di come dovrebbe funzionare la società ce l’ha. Ma è costretta a difendersi con il sarcasmo dalla speranza, illusoria, che quell’idea si concretizzerà mai.