Un carroccio sui banchi?

Il successo della Lega e l’istruzione

Stefano Borgarelli, da DocentINclasse, 17.4.2008

 

Padania? Per me è un formaggio – aveva risposto qualche anno fa a un intervistatore Rigoni Stern, senza considerazioni ulteriori. Per i leghisti invece, la Repubblica Federale Padana – o Federazione Padana (FP) – ha una capitale federale: Venexia (Venezia), sede del Governo Provvisorio; una sede del Parlamento Federale (a Pavia); un Parlamento del Nord (a Vicenza); due Patroni (S. Giorgio e S. Marco); il suo giorno dell’Indipendenza (15 settembre 1996); una bandiera federale (il Sole delle Alpi); un inno federale (Va’ Pensiero); una, anzi due targhe automobilistiche (PDN o FP); una popolazione di 32 milioni (ca.) di abitanti, come si apprende nel vivace sito del Movimento Giovani Padani. Come nel ’94, come nel 2001, la Lega fa di nuovo il pieno di voti tra questi abitanti.

Nella Cacania di Musil, ogni abitante riunisce in sé dieci caratteri: nove (professionale, nazionale, statale, di classe, geografico, sessuale, conscio, inconscio e carattere privato) lo scompongono, “ed egli non è in fondo che una piccola conca dilavata da tutti quei rivoli, che v’entran dentro e poi tornano a sgorgarne fuori”. Ma ogni abitante ha ancora un decimo carattere, che “permette all’uomo tutte le cose meno una: prender sul serio ciò che fanno i suoi altri nove caratteri e ciò che accade di loro; vale a dire, con altre parole, che gli vieta precisamente ciò che lo potrebbe riempire.” (L’uomo senza qualità, cap. VIII). In Padania, il decimo carattere non c’è. Dopo la tornata elettorale invece, gli altri due o tre caratteri dell’abitante padano possiamo prenderli più sul serio. Quello mitico e quello geografico si assomigliano ormai come due gocce d’acqua. Quello nazionale si rafforza. Quello di classe ci confonde. I voti delle valli, delle città, delle periferie operaie. Una linea, da falce e martello a Falce & Carroccio. In Veneto poi, la Lega raddoppia: dall’11 % del 2006 passa al 22 %. Rivolta a Fioroni in un convegno recente, l’attuale assessore regionale all’istruzione (Alleanza Nazionale) ha parlato di “modello veneto della scuola”, che “deve essere esportato in altre Regioni italiane perché ha ottenuto successi straordinari in questi anni ridisegnando i programmi nazionali in base alle peculiarità del nostro territorio”. Nel nome, l’assessorato è tornato più sobrio con le regionali del 2005 (sotto il forte impulso leghista, era stato trasformato in “Assessorato per le politiche alla cultura e all'identità veneta”), ma si coglie una continuità. Il leghista Serrajotto aveva destinato finanziamenti cospicui a progetti di studio, musei etnografici, corsi di formazione, istituzioni culturali, con l'obiettivo di “riscoprire”, “ritrovare” e “valorizzare” radici e identità. «Cultura e identità veneta» è stato un concorso di punta, molto partecipato dalle scuole di tutti gli ordini. Promotore con altri d’un convegno (“Identici a chi?”, gli atti nel quaderno “Osservatorio Veneto”, n. 1, 2002) contro le politiche dell’assessorato di allora, lo storico veneziano Piero Brunello aveva stigmatizzato l’adesione di gruppi di ricerca “progressisti” a simili iniziative, raccontate con ingenuo entusiasmo perfino da cronisti del Manifesto: “Come sempre, i mutamenti culturali sono una questione di tempo e di vocabolario. Ci sono continui slittamenti di significato – ci aveva detto lo storico – grazie anche all’esistenza di un assessorato regionale alle politiche per la cultura e l’identità veneta. Dalla storia del Veneto si passa alla storia dei Veneti. Una mobilitazione dall’alto appare partecipazione dal basso, in nome dei gruppi esclusi dalla storia, oppressi dalla globalizzazione. E tutto questo in una regione in cui gli industriali tengono i loro congressi in Romania. Nessuno, ripeto, ne discute pubblicamente.” (Intervista nel sito di Fuoriregistro).

Balibar chiama “etnicità fittizia” la comunità istituita dagli stati nazionali.
Mentre la costruzione ottocentesca dello stato-nazione tramonta, il compito di costituire un popolo come unità etnica fittizia sembra essere passato con successo dallo stato alle regioni. Istituzioni come l’assessorato all’identità veneta hanno avuto il compito ideologico di mobilitare dall’alto. D’allestire con le loro politiche una raffigurazione delle popolazioni “nel passato e nell'avvenire come formanti una comunità naturale e in possesso di per sé di un'identità d'origine, di cultura e di interessi che trascende gli individui e le condizioni sociali.” (Balibar)

Se mai lo è stata, oggi la Padania non è un formaggio, né materia per una storia controfattuale. Prima che diventi materia di studio obbligatorio nel 15% dei curricoli nazionali, in una scuola passata sotto le regioni. Prima che i Resistenti Padani soppiantino i partigiani nei manuali di storia epurati per volontà del Grande Fratello Dell’Utri, cerchiamo di far incagliare tra i banchi di scuola la mitologia d’accatto del carroccio. Di far cagliare la Padania. Per poter dare ragione convinti a Rigoni Stern.