Educare stanca! di Maurizio Tiriticco da Pavone Risorse del 6.4.2008
Il difficile rapporto tra istruzione e educazione Sul frontespizio di una pagella di una scuola elementare del 1924 figura la scritta “istruire quanto basta, educare più che si può”. Il fascismo aveva già marciato su Roma, ma non era ancora diventato regime. Nei cinque anni della scuola elementare, obbligatori dal 1904, si insegnava a leggere, scrivere e far di conto. Erano le competenze essenziali richieste ai suoi abitanti da un Paese che aveva raggiunto da qualche decennio la sua unità nazionale, un Paese che aveva dovuto costruire un suo apparato amministrativo e le infrastrutture essenziali al convivere civile, avviare la trasformazione della sua economia da agricola ad industriale, e che si era anche cimentato in campagne coloniali ed aveva partecipato ad una guerra che aveva visto come protagonisti i Paesi più avanzati del pianeta. In quegli anni istruire quanto basta era fondamentale: si doveva dare il minimo delle conoscenze e non andare oltre, fino a sollecitare ragionamenti critici e forse pericolosi per l’assetto sociale. L’educare, poi, per una scuola di Stato di recente costituzione, non era affatto una impresa agevole: il controllo secolare della Chiesa sulla morale, sulla famiglia e sull’educazione era pressoché totale e i governi della Destra e della Sinistra che si erano succeduti dal 1861 avevano già avuto… tante altre gatte da pelare in materia di rapporti con il mondo cattolico! Di qui l’espressione educare più che si può, e non andare oltre certi limiti! Ci penserà più tardi il fascismo a… mettere le cose a posto, rivendicando per il nuovo Stato totalitario sia una istruzione che una educazione a tutto tondo, finalizzate essenzialmente alla generalizzazione del consenso. Non a caso il fascismo trasformò il Ministero della Pubblica Istruzione in Ministero dell’Educazione nazionale e dette vita ad una serie di organizzazioni giovanili fasciste – i figli della lupa, i balilla, gli avanguardisti, i giovani fascisti – di fatto paramilitari e fortemente concorrenziali con quelle della Chiesa cattolica. Educare, o meglio educare al consenso, per ogni Stato totalitario è la prima cosa da fare, come garanzia della sua continuità. A dispetto, ovviamente, dei diritti della persona, della democrazia e della libertà educativa, se è vero che educazione e libertà sono di fatto – o dovrebbero essere – sinonimi!
Educare, istruire e formare oggi Dal 1924 le cose sono profondamente cambiate, in primo luogo perché dopo tante lotte abbiamo costruito una Repubblica democratica. Ma oggi uno dei punti cruciali del cambiamento consiste nel fatto che, nella cosiddetta società della conoscenza, l’educazione e l’istruzione devono essere azioni concomitanti ed assolutamente pervasive, perché non riguardano più solo i bambini che crescono e che devono essere socializzati ad un dato contesto sociale ed indirizzati a dati mestieri e professioni, ma riguardano i cittadini tutti e per tutta la loro vita. Le tre fasi della vita di un tempo, andare a scuola, lavorare e andare in pensione, sono assolutamente saltate e la funzioni stesse dell’educare e dell’istruire sono cambiate. E non è un caso che non si parli più di scuola in senso stretto, ma di Sistema educativo di istruzione e formazione, con una forte sottolineatura del fatto che gli insegnamenti formali, impartiti dalle istituzioni a ciò dedicate, sono fortemente implementati da quelli informali e non formali, dal cui apporto non si può assolutamente prescindere Nel comma 2 dell’articolo 1 del dpr 275/99, regolamento dell’autonomia delle istituzioni scolastiche, leggiamo testualmente: “L’autonomia delle istituzioni scolastiche è garanzia di libertà di insegnamento e di pluralismo culturale, e si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento”. Si tratta di uno dei passaggi normativi più significativi ed avanzati prodotti negli ultimi anni dalla nostra Amministrazione. I corsivi sono miei ed evidenziano alcune parole chiave che rinviano a concetti che caratterizzano e sostanziano la vision e la mission di un Sistema educativo oggi in una società il cui sviluppo sociale, civile ed economico è fondato in primo luogo sulla conoscenza. E’ un impegno importante e gravoso quello di riuscire a garantire a ciascuno il successo formativo, dare a ciascuno tutti gli strumenti indispensabili per poter accedere in una società che si fa sempre più complessa e competitiva. Il che non significa regalare promozioni – come sostengono i tanti Pirani di turno, sempre pronti a gettar fango sulle nostre istituzioni scolastiche – ma accettare la sfida che ogni Paese civile ed avanzato si dà, quella di adoperarsi perché tutti i suoi cittadini divengano veramente tali… non uno di meno! Ed è in tale ottica che dobbiamo anche leggere la sfida che ci siamo dati di elevare da otto a dieci anni l’obbligo di istruzione. E’ un dovere civile far sì che nessuno resti indietro e possa, invece, raggiungere quelle conoscenze e quelle competenze che sono essenziali per accedere ad una società che si fa sempre più difficile.
Persona, cittadino e lavoratore Aiutare i nuovi nati – ed oggi e domani ancora di più anche i nuovi arrivati – ad inserirsi in una società che vuole e deve essere assolutamente democratica, fondata sulla convivenza civile, sulla conoscenza, sul lavoro, significa rendere sempre più produttivo ed efficace un Sistema capace di integrare processi finalizzati nello stesso tempo ad educare, formare ed istruire, così come detta il citato dpr sull’autonomia delle istituzioni scolastiche. In effetti, in ciascuno di noi c’è una persona in quanto è sé stesso, con la consapevolezza della sua autonoma identità personale e responsabilità sociale; c’è anche un cittadino in quanto è impegnato nei rapporti quotidiani con altri, dai livelli famigliari ed amicali a quelli del lavoro e della partecipazione alla vita associata; c’è anche un lavoratore, inteso in senso lato, dal cuoco al chirurgo, in quanto è impegnato con la realtà produttiva che richiede conoscenze e competenze sempre nuove. Persona, cittadino e lavoratore costituiscono, in effetti, tre aspetti integrati di una medesima realtà, distinguibili concettualmente, ma indivisibili nei fatti. Si tratta di tre vettori alla cui origine c’è l’individuo che, una volta nato, con lo sviluppo/crescita e l‘apprendimento continuo, si manifesta e si esprime con i tratti specifici della sua personalità, del suo saper essere, saper fare, sapere interagire con gli altri. Lo stesso Jean Delors nel ’96 ci ha ricordato che sono quattro i pilastri dell’educazione del Duemila: imparare a conoscere, imparare a fare, imparare a vivere, imparare ad essere. Per grandi approssimazioni, potremmo dire che gli “interventi di educazione, formazione e istruzione”, di cui al citato dpr, si articolano lungo i seguenti percorsi, nominalmente diversificati, ma di fatto strettamente interagenti, se non integrati: - la formazione della persona, in funzione della costruzione della identità personale, della consapevolezza delle risorse di cui può disporre, dei limiti con cui misurarsi, delle attese che nutre; - l’educazione del cittadino, cosciente delle proprie responsabilità civili, sociali, politiche, capace e disponibile a concorrere con le attività di pubblico interesse; - l’istruzione del lavoratore, in ordine a quelle conoscenze e a quelle competenze che ne caratterizzano il proprio particolare contributo alla costruzione dei beni intellettuali e materiali che consentono lo sviluppo e la crescita collettivi.
E
si tratta di una strada che abbiamo intrapresa. In effetti, se si
leggono attentamente sia le Indicazioni per il curricolo che
i documenti relativi all’innalzamento dell’obbligo di istruzione,
ritroviamo precise tracce che vanno nelle direzioni indicate. L’area
linguistico-artistico-espressiva delle Indicazioni e l’asse dei
linguaggi dell’innalzamento dell’obbligo concorrono in gran parte
alla costruzione della persona. L’area
matematico-scientifico-tecnologica e i due assi matematico e
scientifico-tecnologico concorrono alla costruzione del
lavoratore. L’area storico-geografica e l’asse storico-sociale
concorrono alla formazione del cittadino. Si tratta di aree e
di assi che vanno lette ed gite nella continuità che vi è implicita.
La scommessa dell’educazione
Lo scenario è abbastanza certo come
prospettiva; è meno certo, invece, per quanto riguarda i passaggi
istituzionali ed ordinamentali che sul piano legislativo ed
amministrativo debbono ancora essere effettuati. La scuola
dell’infanzia e la scuola primaria attendono bene ai loro compiti –
e le stesse ricerche internazionali lo attestano. |