I numeri dell'università di massa. In quarant'anni il rapporto tra laureati e coetanei è passato in Italia dal 5,7 al 40,6 per cento. Aumentato in assoluto e ancor più in rapporto alle coorti di popolazione di pari età il numero di coloro che conseguono la maturità. Mentre la quota di maturi che si iscrive all'università non cambia molto nel tempo. La quota di matricole che consegue la laurea si avvicina oggi al 73 per cento. Un ruolo fondamentale l'hanno avuto le evoluzioni dell'offerta universitaria. E sistemi di finanziamento legati al numero di iscritti e laureati. Ora è tempo di pensare alla qualità. Gianfranco Cerea da La Voce, 25.8.2008
Lo scorso anno il sistema universitario italiano ha laureato oltre 299mila persone. Coloro che hanno conseguito il titolo al termine del primo percorso formativo (lauree triennali, lauree a ciclo unico e vecchi quadriennalisti) sono stati quasi 249mila. Quarant’anni prima, quando il sistema universitario rifletteva ancora gli effetti di una forte selettività all’accesso, i laureati erano stati poco più di 40mila.
TRE COMPONENTI PER UN RISULTATO Nell’arco di quattro decenni il rapporto tra laureati e coetanei è passato dal 5,7 per cento al 40,6 per cento, allineando l’Italia ai paesi europei in posizione più favorevole. Al conseguimento di questo risultato hanno concorso più fattori, solo in parte riconducibili all’offerta universitaria. In particolare, possiamo scomporre il rapporto tra laureati di un anno e coetanei in tre componenti: la prima rappresentativa della propensione a diplomarsi, la seconda della propensione a immatricolarsi all’università, la terza la propensione a laurearsi. (1)
La significativa presenza di studenti fuori corso rende difficile collegare puntualmente il numero dei laureati con l’appropriata coorte di riferimento per classe di età. Pur con questa limitazione, è comunque possibile osservare come le tre componenti individuate giochino un ruolo molto diverso tra loro. Il numero di coloro che conseguono la maturità è aumentato in assoluto e ancor più in rapporto alle coorti di popolazione di pari età. La crescita della propensione a diplomarsi ha subito una brusca variazione nella seconda metà degli anni Novanta e riguarda ormai quasi l’80 per cento dei coetanei, contro il 22 per cento circa del 1967. La propensione a diplomarsi contribuisce a spiegare tra il 60 e il 70 per cento l’aumento del numero di laureati rispetto alla popolazione di pari età. Si tratta di una evoluzione strutturale della domanda, innescata dal calo nel numero di figli da mantenere da parte delle famiglie e dall’ampliamento dell’offerta in termini di sedi formative. L’analisi dei dati relativi alla distribuzione dei redditi, soprattutto con riferimento alle famiglie meno agiate, porterebbe invece a escludere evoluzioni significative sulla capacità di spesa di ceti che prima non accedevano all’istruzione superiore. La quota di maturi che si immatricola all’università non cambia molto nel tempo, con qualche oscillazione e una tendenza a livelli più elevati negli ultimi anni. La propensione a immatricolarsi fornisce dunque un contributo trascurabile, se non negativo, all’aumento dei laureati. La quota di matricole che consegue la laurea cresce invece in modo significativo rispetto alle tendenze del lontano passato. Oggi è prossima al 73 per cento, contro un valore introno al 35 per cento che aveva caratterizzato gli anni Settanta, Ottanta e la prima parte degli anni Novanta. La propensione a concludere gli studi spiega tra il 30 e il 40 per cento l’aumento del numero di laureati.
IL RUOLO DELL'OFFERTA UNIVERSITARIA Dietro questo fenomeno vi sono probabilmente sia mutati atteggiamenti da parte degli studenti che da parte dell’università. La proliferazione delle sedi universitarie ha ridotto i costi per il mantenimento agli studi, rendendo possibile l’accesso a ceti prima esclusi e attenuando la necessità, per gli studenti meno abbienti, di svolgere un lavoro retribuito per non gravare eccessivamente sulla famiglia d’origine. Negli anni, gli studenti economicamente più deboli hanno dunque potuto dedicare più tempo alla formazione, accelerando il percorso formativo e accrescendo la probabilità di conseguire la laurea. Un ruolo fondamentale è comunque riconoscibile alle evoluzioni dell’offerta universitaria. L’attuale dibattito sembra ricondurre l’aumento dei laureati, letto anche come decadimento della qualità formativa, alla introduzione della laurea triennale. Se si osservano attentamente i dati si può cogliere come il balzo di oltre il 50 per cento, nel rapporto laureati/matricole, sia avvenuto tra il 1997 e il 2002, ovvero prima che la riforma sfornasse i nuovi titoli. Tra il 2002 e il 2003 l’aumento è stato del 17 per cento, mentre tra il 2003 e il 2007 la crescita ha raggiunto il 7 per cento. Può essere che ciò sia riconducibile a un “effetto trascinamento” della riforma anche sui vecchi quadriennalisti. Va comunque ricordato che lo stesso periodo è stato interessato da riforme che hanno riguardato sia l’autonomia degli atenei che le modalità di finanziamento, legate non più al semplice fabbisogno, ma anche a indicatori che da subito o in prospettiva rendono i bilanci delle università sensibili al numero di laureati e iscritti in corso – ma non a indici di qualità dei laureati stessi. È comunque indubbio il fatto che l’università italiana sia diventata “di massa” a livello di accessi e che lo stia diventando anche a livello di standard formativo. Ripristinare un significativo riferimento alla qualità appare dunque fondamentale, anche e soprattutto nell’interesse dei laureati: se l’università non fornisce segnali adeguati, la selezione viene traslata sul mercato, che usa strumenti di valutazione molto più rozzi e probabilmente sensibili a criteri extra meritocratici.
(1) L'espressione formale è la seguente: LAURt/COETt ≡ MATURIt-n/COETt-n* MATRICOLEt-n/MATURIt-n * LAURt /MATRICOLEt-n
Dove: “maturi”
rappresenta il numero di diplomati dell’anno t-n,
dove n è posto pari a 5 per le vecchie lauree e a 4
per le nuove; “matricole” sono gli iscritti al primo anno di
università. |