LA RIFORMA GIUDICATA DALLA CULTURA

"Pagelle senza equivoci.
E' una scelta giusta".

"E poi basta bulli, ci vuole un comportamento più civile"

Francesca Schianchi, La Stampa, 29.8.2008

ROMA
Io con i voti ho sempre avuto un rapporto complicato: pensi che l’unico che ho preso all’Università, un 26, me lo sono scritto da solo sul libretto». Ricorda i suoi trascorsi scolastici il regista Pupi Avati («andavo molto male: nei temi mi davano l’insufficienza perché erano troppo fantasiosi») e ragiona sulla novità introdotta ieri dal Consiglio dei ministri: si torna ai numeri anche nella scuola dell’obbligo, come succedeva fino a trent’anni fa. «Il voto è sempre qualcosa di limitativo, e lo dice uno che ancora li prende», sospira Avati: «Sarebbe auspicabile un sistema misto: voto nelle materie accertate, come matematica, dove se sbagli a fare i conti o applicare un teorema è chiaro, e giudizio nelle materie in cui hanno un ruolo gli aspetti creativi e si manifesta l’identità di una persona». Premio fantasia alla mozione Avati: ma quanto piace questo ritorno all’antico, con i sei a sostituire il sufficiente e i nove a premiare gli ottimo?

«E’ tanto tempo che non prendo voti, e non ho fatto pratica con i figli», quasi si scusa lo scrittore Erri De Luca. Riflette un attimo: «I numeri però dovrebbero essere più precisi dei giudizi». Idea che riscuote un certo successo: «Hanno fatto benissimo, i voti sono il metro più chiaro e comprensibile di valutazione», secondo il giornalista e scrittore Roberto Gervaso. «Credo che il voto sia meglio perché è più semplice, chiaro e informativo, per i ragazzi e per le famiglie. I giudizi si prestano forse di più all’arbitrio», valuta il filosofo Giulio Giorello.

Ma il partito più numeroso è quello del «numero o giudizio pari sono»: «Sono metodi diversi: ognuno a suo modo è corretto e giusto», a dirlo è un premio Nobel, Dario Fo. Come lui un altro Nobel, la senatrice a vita Rita Levi Montalcini: «Tra un voto e un giudizio non vedo molta differenza, non mi pare così importante», concetto che ripete la scrittrice Dacia Maraini. «E’ vero che i voti possono sbagliare, ma anche i giudizi: probabilmente il giudizio dà più spazio all’interpretazione, il voto è più netto, ma poi non so cos’è meglio», Maurizio Costanzo nel giorno dei suoi 70 anni.

Se numero o ramanzina pari sono, è pur vero che sono parecchi a evocare un voto ben preciso: quello in condotta. Defunto pure lui da un pezzo, e resuscitato dalla gestione Gelmini. «E’ importante che si valutino non solo le capacità culturali ma anche il comportamento in classe: uno che si comporti male, sebbene conosca la matematica non andrà avanti», ammonisce la Levi Montalcini, e se lo dice lei. «Il voto in condotta mi sembra una buona idea, lo ricordo come uno spauracchio, ma vorrei si allargasse a tutti. E’ importante che si torni all’autorevolezza: tutti, anche insegnanti e genitori», il parere di Maurizio Costanzo. «Tutto quello che serve a rendere più seria la scuola è ben fatto: bene il voto in condotta, se può determinare almeno in classe un comportamento più civile», giudica Pippo Baudo. Una sola voce fuori dal coro: Giorello, «contrario al voto in condotta: perché se una persona si agita, è nervosa, si provvede con una collaborazione non repressiva tra famiglia e insegnante; se invece allaga la scuola paga i danni e si andrà per vie legali».

E poi, sono in tanti ad aggiungere un «ma anche». Numeri sulle pagelle? «Il problema non è quello: ma tenere una sola maestra per cinque anni, come quando andavo a scuola io. I bambini si affezionavano, o speravano di cambiarla, come capitava a me», ricorda la Mondaini. «Ma anche i maestri devono aggiornarsi, come conoscenze culturali e nel rapporto coi ragazzi», Baudo docet. «La questione non è il voto ma il chiaro intento di privatizzare la scuola», si allarma Dario Fo. «O investiamo di più o il voto non cambia granché», Dacia Maraini. E Giorello risponde garbato a tutto, poi sintetizza: «Va bene parlare di queste cose: ma è qualcosa di più che deve cambiare nella scuola. Ben vengano i voti, ma se si va avanti sulla strada di una intelligente meritocrazia».