Il ritorno del maestro unico.

di Gianni Gandola da ScuolaOggi, 31.8.2008

Era ora! Finalmente, dopo anni di pedagogia cooperativa e collettivista, prodotto naturale e perverso del sessantotto, nella primaria si ritorna all’insegnamento tradizionale, alla scuola seria, quella basata sul maestro unico, unico dispensatore del sapere e autorità indiscussa nella classe. Al di là dei veli e delle veline ferragostane, tra grembiuli e voti di condotta, si comincia a intravedere quello che è il vero obiettivo di una corrente di pensiero che viene da lontano e che ha sempre riposto nel conservatorismo i propri valori.

Ricordate quando nel nostro paese negli anni ’70 e ’80 si affermò il tempo pieno? Finché era una sperimentazione limitata ad alcune zone del paese ancora ancora, ma quando – con la legge di riforma n.148 del 1990 - la scuola a tempo pieno ebbe un effetto di traino e su quell’onda lunga si estesero i moduli didattici (tre docenti ogni due classi, in team), si scatenò una reazione furibonda. Una vera e propria battaglia in difesa del cosiddetto “tempo normale”, vale a dire della scuola del mattino con un solo insegnante, da parte di alcuni settori e ambienti conservatori (a Milano, allora, si distinsero particolarmente lo Snals e Comunità educante, che rappresentavano il comune sentire degli insegnanti più moderati e contrari alle innovazioni didattiche). Si obiettò che si trattava di una mera scelta occupazionale, finalizzata ad un aumento degli organici docenti della scuola elementare. Si disse che in questo modo, con l’aumento del tempo scuola, si portava via tempo alla famiglia ed al suo ruolo educativo. Si sostenne che tre insegnanti che lavoravano nella stessa classe erano fonte di confusione e disorientamento per i bambini. E così via.

Sicuramente da qualche parte non si vedeva l’ora di tornare indietro, di tornare al passato e quindi di ripristinare la figura dell’insegnante unico. Già la legge di riforma Moratti, legge 53/2003, andava inequivocabilmente nella direzione dell’insegnante “prevalente”, di un docente cioè che effettuava il maggior numero di ore in una classe e vi insegnava le materie principali. Ora la Gelmini strappa definitivamente i veli e ripropone tout court la figura del docente unico (altro che prevalente!) a partire dal 2009.

Pensavamo che le ragioni di questa scelta fossero fondamentalmente economiche: un solo insegnante per classe costa meno di tre docenti ogni due classi (vale a dire uno e mezzo, in media, per classe). Certo, occorrerà anche ridurre il tempo scuola, in modo tale che il maestro unico ricopra l’intero orario scolastico. Ma su questo fronte c’è l’esperienza francese a fare da apripista, la recente decisione del ministro dell'educazione Xavier Darcos di ridurre l’orario della scuola primaria stabilendo due giorni liberi (il sabato oltre il tradizionale mercoledì) la settimana.

Certamente è così. Rendere la scuola pubblica (statale, per la precisione) più leggera, quanto a costi, organici, ecc. rientra sicuramente tra gli obiettivi di questo governo. Ma non basta. Il ministro Gelmini adduce anche motivazioni di altro ordine, più nobili, per così dire. Si tratterebbe di “ragioni pedagogiche”, come dice in un’intervista alla stampa. Non stentiamo a crederle. E torniamo a quanto dicevamo in apertura. Basta con l’insegnamento cooperativo, con il team teaching o gruppo docente che dir si voglia, con la programmazione didattica unitaria da parte di più insegnanti che intervengono sugli stessi gruppi di alunni, con la collegialità e la condivisione delle scelte educative. E’ ora di tornare al passato. Un solo docente basta e avanza. Basta con la pedagogia progressista (Bruno Ciari, Sergio Neri, Silvano Federici: chi erano costoro?).
E così si fa un salto indietro, nella storia della scuola elementare italiana (ma non era il fiore all’occhiello del nostro sistema scolastico?) di venti-trent’anni. In questa frenesia di ritorno al passato, verrebbe da chiedersi: ma perché, già che ci siamo, non ripristiniamo anche i programmi del 1955, quelli con la religione cattolica “fondamento e coronamento” dell’istruzione? Così piglieremmo due piccioni con una fava: da un lato semplificheremmo l’insegnamento, dall’altro faremmo contente le gerarchie ecclesiastiche.