Perché è giusto fare ricorso avv. Carlo Rienzi* 10.8.2008. Si suol dire “onnipotente non è la legge, ma la burocrazia”, a dimostrazione che gli impiegati pubblici non hanno mai goduto di grande simpatia nel nostro paese. Il governo attuale non ha fatto eccezione. Certo i cittadini potranno avere un lieve vantaggio da quella circolare , ma tanto lieve da essere annullato dalla rabbia di personale stanco, mal pagato e insoddisfatto del proprio lavoro. Non si aiutano i cittadini sferzando i dipendenti pubblici sol perché non si è capaci di controllare la veridicità dei certificati medici in un sistema in cui la maggior parte dei medici di base sono trasformati in fabbriche di certificati e basta. Non si aiutano i cittadini fingendo di far stare presenti i dipendenti senza dargli lavoro utile da fare e senza garantire prima di tutto che i dirigenti siano presenti e facciano sentire la loro efficienza prima di ogni altra cosa. Non si aiutano i cittadini scaricando la inefficienza di una macchina burocratica che ancora usa carta e matita per la maggior parte delle sue incombenze sull’ultima ruota del carro. Non si aiutano i cittadini se non si fa cultura della importanza del servizio pubblico e non si instaurano sistemi di misura della capacità dei dipendenti ma anche dei dirigenti che non siano le trite e inutili pagelline formali uguali per tutti. Le idee di efficienza e qualità non sono nuove e sono sottese alla rivoluzione giuridica e normativa, nonché socio culturale che dagli anni ’90 il Legislatore ha perseguito, dando piena attuazione ai principi del “buon andamento” e dell’ “imparzialità” cristallizzati nella nostra Carta Costituzionale nell’art.97, che però ricordiamo è innanzitutto incentrata sul basilare principio del “rispetto della persona”. La sequela di riforme, sinteticamente denominate di “privatizzazione”, è innescata ormai da anni. Il rapporto di lavoro pubblico è divenuto rapporto di diritto comune, la Pubblica Amministrazione è divenuta parte contrattuale del rapporto di lavoro. Questo processo deve, comunque, rispondere ai principi fondamentali e riconoscere i diritti, in materia di lavoro, già conquistati e più volte affermati dalla giurisprudenza nel lavoro privato, non a caso la Corte costituzionale, con la nota sentenza 18 luglio 1996, n. 313 ha precisato che “l'applicabilità al rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti delle disposizioni previste dal codice civile comporta non già che la pubblica amministrazione possa liberamente recedere dal rapporto stesso, ma semplicemente che la valutazione dell'idoneità professionale è affidata a criteri e a procedure di carattere oggettivo - assistite da un'ampia pubblicità e dalla garanzia del contraddittorio -, a conclusione delle quali soltanto può essere esercitato il recesso”. *** Tornando a noi, come noto, con il decreto legge n. 112 del 2008, “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” , sono state adottate delle misure normative finalizzate ad incrementare l’efficienza delle pubbliche amministrazioni anche mediante interventi in materia di trattamento del personale. Ma del decreto si devono evidenziare i numerosi aspetti inaccettabili sotto il profilo prettamente giuridico, dando luogo ad un quadro normativo incoerente alimentato da forti dubbi di legittimità costituzionale con riferimento alla parità di trattamento (art.3 Cost.) al sistema di tutela sociale (art.36, 37, 38 Cost.) ed allo stesso principio di efficienza che si vorrebbe perseguire (art.97 Cost.) E’ inoltre violata la fondamentale adozione del riparto di competenze in materia di lavoro pubblico privatizzato: tale riparto attribuisce alla fonte legislativa, i profili organizzativi, alla fonte contrattuale e sindacale i profili concernenti il rapporto di lavoro, soltanto così i principi costituzionali di garanzia, sia per i lavoratori sia per l’amministrazione della Cosa Pubblica, troveranno piena attuazione. *** Nei seguenti punti analizzeremo le numerose violazioni di legge che emergono dal decreto e violazione dei principi fondamentali in materia di diritti dei lavoratori, che rappresentano i cardini del diritto del lavoro, conquiste antiche messe oggi in discussione: 1) Anzitutto le norme del decreto disegnano un modello monco, squilibrato, che non è riuscito a fare quel salto culturale e di mentalità necessario per offrire una reale trasformazione del servizio pubblico. Con gravissima disparità di trattamento per i singoli dipendenti, manca completamente ogni sistema nuovo ed effettivo di valutazione e controllo strategico delle attività e risultati delle amministrazioni centrali e dei suoi Dirigenti. Soltanto con un serio meccanismo di verifica delle capacità, del lavoro, delle assenze, delle scelte fatte dai Dirigenti, attraverso un serio e moderno sistema di controllo del “top management”, si potrà offrire un apparato burocratico efficiente e si potrà chiedere a chi siede più in basso senso di responsabilità. Se non si controlla il corretto funzionamento della testa come si può pensare di dare la colpa alle braccia??? In questo il decreto perpetua il grave vuoto normativo che relega il controllo dei dirigenti ad essere soltanto postumo e formale quanto ripetitivo e inutile, consistendo nella sola “verifica dei risultati”, senza controllarne l’operato e lo svolgimento in itinere. Mentre bisognerebbe rammentare che la posizione del Dirigente Pubblico non si può separare da quella del dipendente. Se il “capo” non lavora o non attribuisce lavoro a chi sta più in basso, questi non lavorerà e non saprà nemmeno che lavoro concreto svolgere, e l’efficienza non si raggiungerà mai. 2) Da un esame preliminare del d.l. in relazione ai principi costituzionali si evince che il Governo non poteva adottare delle disposizioni urgenti come quelle del presente testo normativo per introdurre una disciplina che di fatto non implichi alcuna urgenza; giova ricordare che l’art. 77 della Costituzione sancisce: “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti”. La citata disposizione di rango costituzionale non lascia dubbi sulla possibilità di ravvisare profili di incostituzionalità del d.l. 112/2008 in ordine all’assenza dei requisiti della straordinaria necessità ed urgenza prescritti dall’art 77 della Cost. Nel caso di specie non risultano oggettivamente ravvisabili, almeno in determinate disposizioni di legge, le ragioni di indefettibile urgenza che hanno indotto il Governo all’emanazione di un provvedimento di tale portata, inoltre, la normativa de qua sembrerebbe esclusivamente rafforzare determinate prerogative (art. 14), e penalizzarne altre, fortemente, (70 – 71- 73), determinando una forte disparità di trattamento, in spregio a diritti costituzionalmente garantiti. Il fatto che il decreto sia trasformato in legge nulla toglie alla modalità illegale di introduzione della disciplina in esame. 3) Art. 70 Esclusione di trattamenti economici aggiuntivi per infermità dipendente da causa di servizio. A decorrere dal 1° gennaio 2009 nei confronti dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche ai quali sia stata riconosciuta un'infermità dipendente da causa di servizio ed ascritta ad una delle categorie della tabella A annessa al decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981, n. 834, fermo restando il diritto all'equo indennizzo e' esclusa l'attribuzione di qualsiasi trattamento economico aggiuntivo previsto da norme di legge o pattizie. “TI FACCIO AMMALARE MA DOPO NON TI PAGO….” Anzitutto estremamente sconcertante è il dettato di cui all’art 70 del decreto in parola che azzera il diritto inviolabile alla salute ed i corollari diritti al ristoro economico per chi subisce una lesione alla salute invalidante per causa di servizio; infatti, si attua una mercificazione degli stessi attraverso l’annullamento dei benefici economici per coloro che hanno riportato infermità dipendenti da causa di servizio, limitando in tal modo la riparazione per il danno subito al solo ed irrisorio equo indennizzo. Mentre si finge di ignorare che chi ha dato la salute per il lavoro senza propria colpa (infermità per causa di servizio) ha diritto a ricevere tutto intero lo stipendio che prendeva prima di infortunarsi. 4) Art. 71 le assenza per malattia e per permesso retribuito dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni. - Il provvedimento legislativo contiene anche una nuova disciplina in materia di assenze per malattia, al primo comma il trattamento economico spettante al dipendente in caso di assenza per malattia è sancito: “Per i periodi di assenza per malattia, di qualunque durata, ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, nei primi dieci giorni di assenza e' corrisposto il trattamento economico fondamentale con esclusione di ogni indennità o emolumento, comunque denominati, aventi carattere fisso e continuativo, nonche' di ogni altro trattamento accessorio. Resta fermo il trattamento più favorevole eventualmente previsto dai contratti collettivi o dalle specifiche normative di settore per le assenze per malattia dovute ad infortunio sul lavoro o a causa di servizio, oppure a ricovero ospedaliero o a day hospital, nonche' per le assenze relative a patologie gravi che richiedano terapie salvavita…”. Evidente la portata lesiva di diritti acquisiti in ordine ad atti dispositivi di diritti soggettivi acquisiti e incidenti su posizioni giuridiche già consolidate (vedi a contrario la tutela delle posizioni soggettive consolidate Corte Cost. sent. 20 del 26.1.2004; Corte Cost. n.71 del 7.12.1961). La disposizione acquista la natura di una sorta di sanzione amministrativa per causa della malattia. Ossia si finge nuovamente che le indennità continuative e fisse percepite quando si è in buona salute non siano parte integrante dello stipendio. Di qui a non considerare tale parte della paga anche ai fini della pensione il passo è breve e anche questo rischio va scongiurato con il ricorso. In poco, se l’impiegato ha la sfortuna di ammalarsi “paga” alla collettività una sorta di sanzione. La malattia non è più un a causa di forza maggiore involontaria di mancata prestazione del lavoro, ma una causa di colpa punita con la sottrazione dello stipendio. Ma allora lo stesso principio dovrebbe essere applicato ai dirigenti quando scompaiono dall’ufficio senza dare spiegazioni e ai parlamentari quando non si presentano in aula a votare. Il nostro ordinamento ha già espunto questo tipo di disposizioni incompatibili con i principi fondamentali della Costituzione. Rammentiamo, ad esempio la vecchia L. 11 novembre 1983, n.638 che sanzionava con la decadenza da qualsiasi trattamento economico per l’intero periodo di assenza fino a 10 giorni, l’assenza del lavoratore dalla visita di controllo. In quella occasione la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma. - Altro aspetto che non sembra accettabile riguarda l’assenza della lavoratrice madre e la legislazione e i diritti acquisiti sanciti dalla L. 30.12.1971 sulla tutela delle lavoratrici madri, che impone, in applicazione dell’art.37 della Costituzione, che le condizioni di lavoro debbano consentire alla lavoratrice madre l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e devono assicurare a madre e bambino una speciale protezione. Col decreto invece le madri, i loro figli, ed in particolare le donne vengono punite e subiscono questa sorta di sanzione e aggravio, nonché violazione delle pari opportunità. - l’art.71 al secondo comma definisce le modalità per la presentazione della certificazione medica a giustificazione dell’assenza (comma 2): “Nell'ipotesi di assenza per malattia protratta per un periodo superiore a dieci giorni, e, in ogni caso, dopo il secondo evento di malattia nell'anno solare l'assenza viene giustificata esclusivamente mediante presentazione di certificazione medica rilasciata da struttura sanitaria pubblica”. Questa disposizione è stata già oggetto di spiegazioni del Ministero che, con la Circolare n.7, ha precisato si debba far riferimento ai medici convenzionati col servizio pubblico. Ad ogni modo anche sul punto è evidente l’intento “persecutorio” degli ammalati e la contraddittorietà e illogicità del meccanismo previsto, rispetto agli intenti di migliorare l’efficienza della Pubblica Amministrazione. In realtà, infatti l’intervento della struttura pubblica nella fase dell’accertamento sanitario della malattia del dipendente, dovrebbe essere una garanzia di obiettività per lo stesso dipendente che si sottrae così alla libera scelta del medico da parte del datore di lavoro. Infatti, mai il datore di lavoro, e neanche la P.A., potrebbero imporre al lavoratore di far eseguire gli accertamenti sanitari facendo ricorso a medici di propria libera scelta (così più volte si è espressa la Cassazione). Nell’impianto del decreto in analisi, invece pare proprio che sia la Pubblica Amministrazione a voler imporre al dipendente l’uso di una data certificazione medica, e aggravare ancora una volta lo status del dipendente affetto da malattia, senza nulla dare all’efficienza della P.A.. E’ pacifico che la valutazione del medico convenzionato, che ha ad oggetto non soltanto l’accertamento della malattia ma anche quello della idoneità dell’infermità a giustificare l’astensione dal lavoro non è assistita da nessuna fede pubblica, rimane un giudizio comunque non vincolante per il giudice di una eventuale controversia legale. (Cass. 11 maggio 2000 n.6045 “la fede privilegiata del certificato di un medico convenzionato non si estende ai giudizi valutativi che il sanitario ha espresso in ordine allo stato di malattia e all’impossibilità della prestazione lavorativa”.). pertanto, evidente la ratio costituzionalmente illegittima della disposizione che intende scoraggiare “i fannulloni”, aggravando genericamente tutti i pubblici dipendenti e dettando norme illegittime che parificano lo stato della malattia qualsiasi e di chiunque al mero assenteismo. Non ultimi i profili di possibili violazioni della riservatezza considerata la natura di dato sensibile della malattia, e la legittima esigenza del lavoratore a limitare il più possibile la propria sfera di privacy e il suo diritto di non comunicare la diagnosi. L’assenteismo si combatte con adeguati , efficienti e rigorosi controlli sulla malattia fatti da medici capaci e seri , non si sopperisce alla incapacità delle strutture pubbliche criminalizzando chi sta male davvero. - il comma 3 definisce le modalità per i controlli che le amministrazioni debbono disporre: “L'Amministrazione dispone il controllo in ordine alla sussistenza della malattia del dipendente anche nel caso di assenza di un solo giorno, tenuto conto delle esigenze funzionali e organizzative. Le fasce orarie di reperibilità del lavoratore, entro le quali devono essere effettuate le visite mediche di controllo, e' dalle ore 8.00 alle ore 13.00 e dalle ore 14 alle ore 20.00 di tutti i giorni, compresi i non lavorativi e i festivi.”. Questa è la disposizione maggiormente rappresentativa delle illegittimità anche costituzionali dell’impianto così introdotto. Si è parlato di ora d’aria non a torto. Le fasce orarie sono state semplicemente estese a tutta la giornata del pubblico dipendente malato, ignorando sul punto tutti i diritti ormai acquisiti frutto semplicemente di un ordinamento giuridico rispettoso delle più elementari libertà. La visita personale già di per sé non può essere considerata coercibile nel senso della violazione della libertà personale ex art. 13 della Costituzione, questo principio cardine è già stato sancito dalla Corte Costituzionale ( sent. 5 febbraio 1975 n.23) , che ha chiaramente spiegato che il lavoratore può rifiutare addirittura la visita , e che l’accertamento sanitario rimane un mero obbligo di collaborazione. L’intento punitivo del decreto è tale che ci si dimentica delle persone sole, di chi deve comunque assistere un disabile , delle lavoratrici madri, delle possibili patologie che necessitano di recarsi in strutture specialistiche (fisioterapiche e altro..), o che semplicemente consigliano proprio di uscire all’aperto e camminare per guarire prima. Del resto sempre la Corte Costituzionale ha precisato che l’assenza può essere giustificata da ogni situazione che abbia reso indifferibile la presenza del dipendente altrove, anche se non necessariamente giustificata dall’evitare lesione di beni primari e che la reperibilità non può essere interpretata restrittivamente, data la sua incidenza sul diritto del lavoratore alla libertà di movimento sul territorio dello Stato (Corte Costituzianle 29.12.1988, n.1143 e 26.1.1988, n.78).
5) Art.73 part time. L’impianto normativo vigente ha introdotto un vero e proprio diritto in capo al dipendente pubblico, condizionato alla mera verifica di presupposti predefiniti, relativo alla trasformazione in tempo parziale del proprio rapporto di impiego a tempo pieno, laddove invece, col la legge in questione diventa facoltà dell'amministrazione dar seguito o meno alle richieste dei dipendenti, ribaltando ancora diritti acquisiti. Mentre finora, l’impianto vigente aveva garantito l'impiego flessibile delle risorse umane, e la possibilità che le pubbliche amministrazioni possano avvalersi di forme di lavoro a distanza (cd.telelavoro). Siffatte disposizioni avevano ridefinito la disciplina del rapporto di lavoro a tempo parziale, e introdotto nuovi tipi di rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni e nuovi schemi organizzativi, sicché hanno innovato il complessivo quadro normativo di riferimento. Infatti, l'autonomia organizzativa del datore pubblico deve svolgersi e realizzarsi compatibilmente con gli interessi della intera comunità nazionale. Il peggioramento di questo impianto comporta inevitabilmente il mettere a rischio posizioni ormai consolidate, diritti acquisiti di dipendenti che hanno organizzato la propria esistenza e la propria prestazione in un dato modo. Anche sul punto la giurisprudenza ha più volte fissato principi fondamentali: “Il cambiamento unilaterale, da parte del datore di lavoro, dell’orario di una prestazione a tempo parziale, ancorché deciso all’esito di una trattativa sindacale, non è opponibile al lavoratore, non essendo sufficiente la semplice adesione al sindacato, bensì risultando essenziale un esplicito ed espresso mandato”.Cassazione Sezione lavoro Sentenza 17 marzo 2003 n. 3898.
6) ART. 72 “Per gli anni 2009, 2010 e 2011 il personale in servizio presso le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le Agenzie fiscali, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, gli Enti pubblici non economici, le Università, le Istituzioni ed Enti di ricerca nonche' gli enti di cui all'articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, può chiedere di essere esonerato dal servizio nel corso del quinquennio antecedente la data di maturazione della anzianità massima contributiva di 40 anni. La richiesta di esonero dal servizio deve essere presentata dai soggetti interessati, improrogabilmente, entro il 1° marzo di ciascun anno a condizione che entro l'anno solare raggiungano il requisito minimo di anzianità contributivo richiesto e non e' revocabile. La disposizione non si applica al personale della Scuola. 2 . E' data facoltà all'amministrazione, in base alle proprie esigenze funzionali, di accogliere la richiesta dando priorità al personale interessato da processi di riorganizzazione della rete centrale e periferica o di razionalizzazione o appartenente a qualifiche di personale per le quali e' prevista una riduzione di organico. 3. Durante il periodo di esonero dal servizio al dipendente spetta un trattamento temporaneo pari al cinquanta per cento di quello complessivamente goduto, per competenze fisse ed accessorie, al momento del collocamento nella nuova posizione. Ove durante tale periodo il dipendente svolga in modo continuativo ed esclusivo attività di volontariato, opportunamente documentata e certificata, presso organizzazioni non lucrative di utilità sociale, associazioni di promozione sociale, organizzazioni non governative che operano nel campo della cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, ed altri soggetti da individuare con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze da emanarsi entro novanta giorni dall'entrata in vigore del presente decreto, la misura del predetto trattamento economico temporaneo e' elevata dal cinquanta al settanta per cento. Fino al collocamento… Il trattamento economico temporaneo spettante durante il periodo di esonero dal servizio e' cumulabile con altri redditi derivanti da prestazioni lavorative rese dal dipendente come lavoratore autonomo o per collaborazioni e consulenze con soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 o società e consorzi dalle stesse partecipati. In ogni caso non e' consentito l'esercizio di prestazioni lavorative da cui possa derivare un pregiudizio all'amministrazione di appartenenza.” Del tutto contraddittoria questa norma con la ratio che vorrebbe avere il decreto di efficienza, buon andamento etc inoltre gravemente lesiva della parità di trattamento e foriera di gravissime violazioni. a) innanzitutto è incostituzionale che la norma non si applichi al personale della scuola come se fosse “diverso” da tutti gli altri!!quindi per i dipendenti scolastici sarà inserito nel ricorso un apposito motivo di illegittimità b) Mentre abbiamo visto che i pubblici dipendenti in condizioni di normalità non possono ammalarsi, perdono diritti etc. se invece si è a cinque anni dalla pensione ci si vede regalato lo stipendio, in cambio di un po’ di volontariato. MA IL FATTO INACCETTABILE NON E’ IN SE’ TALE POSSIBILITA’ MA IL FATTO CHE LA DOMANDA POSSA ESSERE ACCOLTA DISCREZIONALMENTE DALLA AMMINISTRAZIONE APRENDO LA STRADA A FAVORITISMI E RACCOMANDAZIONI. SE DEVE ESSERE COSI’ SI DEVE AFFERMARE L’OBBLIGO DI ADEGUATA MOLTIVAZIONE NEL CASO DI RIFIUTO O DI PREFERENZA DI ALTRI SOGGETTI: su questo quindi si incentrera’ il relativo motivo di ricorso al TAR. Comunque considerata la media di età dei pubblici impiegati italiani, questa norma potrebbe portare al collasso il servizio pubblico.
7) ART. 67 “Per l'anno 2009, nelle more di un generale riordino della materia concernente la disciplina del trattamento economico accessorio, ai sensi dell'articolo 45 del decreto legislativo n. 165 del 2001, rivolta a definire una più stretta correlazione di tali trattamenti alle maggiori prestazioni lavorative e allo svolgimento di attività di rilevanza istituzionale che richiedono particolare impegno e responsabilità, tutte le disposizioni speciali, di cui all'allegato B, che prevedono risorse aggiuntive a favore dei fondi per il finanziamento della contrattazione integrativa delle Amministrazioni statali, sono disapplicate”. Il decreto annuncia in questi termini una gravissima violazione di posizioni già sorte, e quello che nella sostanza è una gravissima riduzione degli stipendi per voci che corrispondono ad un impegno lavorativo che il pubblico dipendente continua a prestare, negando legittime aspettative in maniera del tutto contraddittoria col meccanismo della premialità che dovrebbe fondare la ratio della riforma.
* L’AVVOCATO Carlo Rienzi è avvocato amministrativista e già docente nell’Università di Roma di Diritto Scolastico italiano e straniero. Ha portato a termine numerose vertenze storiche in difesa dei pubblici dipendenti, come la immissione in ruolo di 40.000 precari della scuola con la legge 270 e la sentenza della Corte Costituzionale che la estese, nonché il riconoscimento dell’intera pensione ai pensionati pubblici del triennio 1983-85. E’ stato difensore di numerosi Sindacati del pubblico impiego e ora si occupa anche di difesa di cittadini nella sua qualità di Presidente del CODACONS.
ISTRUZIONI PER
PARTECIPARE AL RICORSO AL TAR “FANNULLONI”
Chiunque sia pubblico
dipendente può fare ricorso al Tar del Lazio contro le novità
introdotte dal decreto legge n.112/2008 e dalla circolare n.7 del 17
luglio 2008 Brunetta (ex art.1, comma 2, Dlgs n.165/2001 per
amministrazioni pubbliche si intendono: tutte le amministrazioni
dello Stato, ivi compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e
grado e le istituzioni educative, le aziende ed amministrazioni
dello Stato ad ordinamento autonomo, le Regioni, le Province, i
Comuni, le Comunita' montane. e loro consorzi e associazioni, le
istituzioni universitarie, gli Istituti autonomi case popolari, le
Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro
associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali,
regionali e locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del
Servizio sanitario nazionale” perciò possono aderire ad esempio
dipendenti dei Ministeri, Camere di commercio, Tribunali,
Prefetture, Autorità Garanti, Scuola, Uffici Scolastici, Istituzioni
Univer sitarie; degli enti pubblici Inps, Inpdap etc. degli Enti
locali: regionali, provinciali, comunali e della Sanità: Ospedali,
Asl,etc.) (vedi allegato1 -
www.studiorienzi.it/allegato1.html)
a- della procura
compilata secondo il modello allegato e firmata in originale,
comporterà la
distruzione dell’intero invio senza obbligo di restituzione, e
l’eventuale versamento di 20 euro (in caso di mancanza dei docc. sub
b o c) , sarà addebitato a spese di selezione della documentazione.
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