una struttura molto diversa da quella prevista dal ministro Mariastella Gelmini che pensa di ripetere la fallimentare esperienza inglese La scuola ha bisogno dei mediatori culturali. Giuliano Segre* Il Corriere della Sera, 30.8.2008 Che la presenza di una consistente immigrazione nelle nostre terre sia un tema di lavoro per la amministrazione pubblica è l'ovvio risultato di vicende che trascendono le volontà politiche degli abitanti. La semplice invocazione «fuori!» ha il solo valore di scarico psicologico, ma come ormai tutti hanno capito non ha realizzabilità pratica. E' dunque opportuna ogni regola amministrativa destinata ad ordinare la questione e in tal senso appare corretta la segmentazione della presenza di scolari e studenti nelle classi delle nostre scuole. E non per la sola ovvia necessità di avere una modesta percentuale di discenti poco avvezzi alla lingua italiana in ogni aula (dove peraltro non sono infrequenti casi di mera espressione dialettale), ma anche per fini educativi assai più vasti. Chi con molto anticipo rispetto a noi ha sperimentato questi problemi, come l'Inghilterra o la Francia, si è trovato a dover mandare in aula i propri insegnanti impreparati di fronte a scolaresche totalmente differenti per cultura e talvolta non per lingua, ancora oggi ha all'interno forti rivendicazioni politiche affinché la scuola pubblica tratti - diciamo - non la storia patria, ma quella delle patrie di provenienza. Ciò non toglie che anche il percorso opposto, che noi stessi abbiamo sperimentato in Germania e Svizzera sui nostri concittadini nell'epoca della grande emigrazione, non ha avuto fortuna: negare le culture di provenienza può integrare anagraficamente, ma non culturalmente e quei paesi nella loro scarsa creatività economica ne sono testimonianza. Quindi il «meticciato» culturale va regolato con cautela e sapienza. Le norme regionali proposte vanno proprio nel senso della cautela; ma forse un po' più di sapienza non guasterebbe. Non è solo inadempienza linguistica quello che i giovani scolari o studenti portano in aula, ma pensiero costruito su basi culturali differenti. Parlare bene la lingua, ma non sapere cosa è un Comune o chi ne è a capo ne fa e ne farà sempre dei cittadini differenti, probabilmente irrispettosi per ignoranza delle istituzioni. La scuola giustamente non insegna percorsi specifici di politica, ma (forse) le basi per la medesima; certamente le famiglie provenienti da diverse cittadinanze non sono in grado di produrre, e talvolta esplicitamente rifiutano, la semplice trasmissione domestica di quelle informazioni che da noi, anche nei casi più «qualunquisti», comunque circolano in famiglia. Ecco perché stupisce la semplice negazione da parte dell'Assessore regionale alle Politiche dell'Istruzione e della Formazione dell'utilità di un importante strumento d'integrazione che ha già trovato varie attuazioni operative: l'intervento di qualificati mediatori culturali. Molte amministrazioni locali di ogni livello e colore hanno già avviato l'utilizzo di questo servizio, che ha la tipica capacità di esprimere la sussidiarietà costituzionale e quindi coinvolge orizzontalmente il settore pubblico e l'iniziativa privata. Senza andare troppo lontano, la Provincia di Venezia e la Fondazione di Venezia hanno costruito da tempo un programma di mediatori culturali a disposizione delle scuole del territorio. Una trentina di mediatori, molti già laureati, sono stati istruiti sui servizi che il territorio offre: casa, lavoro, servizi sociali, sanitari, avvocati, magistrati, questura e soprattutto scuola. In questi ambiti essi sono in grado di offrire consulenze ed aiuto a singoli o a gruppi di immigrati. Talvolta si trovano davanti a situazioni di rifiuto, che è necessario gestire con concretezza, ma più sovente, conoscendo la cultura dell'immigrato, ne capiscono i bisogni non espressi. Sovente anche il mediatore stesso è stato immigrato: perciò sa cosa serve ed è capace di costruire una rete di comprensione e di soluzione dei problemi. Quella costruita a Venezia dalla Provincia e dalla Fondazione è una struttura molto diversa da quella prevista dal ministro Mariastella Gelmini che pensa di ripetere la fallimentare esperienza inglese avanzando in una nota ufficiale il 15 luglio scorso - la proposta che i docenti possano essere «formati come dei veri e propri mediatori culturali in grado di comprendere gli aspetti culturali, linguistici, valoriali della cultura rom»; ma è anche una struttura operativa che ha bisogno di quel «riconoscimento con legge regionale della professione del mediatore culturale» che la stessa Regione Veneto aveva previsto nel piano triennale 2004-6 dell'area formazione e che poi non è mai maturato, mentre la Regione Lazio (che di immigrazione pure se ne intende) ha appena dato il via ad una delibera di regolamentazione proprio della figura professionale del mediatore culturale. Il federalismo prevede proprio una sorta di mediazione politica ed istituzionale rispetto ai territori: diamogli spazio anche nella scuola.
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