A colloquio con Mauro Ceruti, il padre dei nuovi
programmi Una scuola senza improvvisazioni. Ai ragazzi servono metodo e basi forti. Il pc? Già sanno usarlo da ItaliaOggi dell'11/9/2007
Ripartire dall'abc. E torna alla mente il detto in uso alle elementari una volta: a cosa serve la scuola? A imparare a leggere, scrivere e far di conto. E non sarebbe male, oggi, raggiungere quei vecchi traguardi. Visto che, secondo l'ultimo rapporto Ocse-Pisa, al Sud d'Italia uno studente su cinque, in matematica, e uno su sette, in lettura, non è capace di fare i compiti più elementari. Percentuale che sale a 1 su 20 al Nord. Comunque troppo poco, per rimontare le classifiche internazionali che ci vedono agli ultimi posti. Anche i primi della classe, poi, spesso sfigurano: solo il 20% degli studenti italiani, contro il 34% dei paesi più avanzati, è in grado di risolvere problemi di particolare complessità. Un panorama desolante, insomma, la cui tendenza al ribasso può essere ribaltata «ripartendo dai fondamentali. Ai ragazzi bisogna ridare competenze di base forti, e sopra tutto un metodo, che consenta loro di affrontare e risolvere i problemi che via via gli si presenteranno», spiega Mauro Ceruti, padre dei nuovi programmi scolastici, le cosiddette Indicazioni nazionali, che da quest'anno saranno gradualmente applicati negli istituti dell'infanzia, nelle elementari e medie. I programmi (disponibili anche sul sito: www.italiaoggi.it) sono arrivati proprio in questi giorni, di riapertura delle scuole, in mano agli insegnanti, a cui il ministro della pubblica istruzione, Beppe Fioroni, in una lettera inviata ieri, ha riconosciuto il merito e l'onere di essere il vero motore del cambiamento.
R. La nostra non è una scelta ispirata al nuovismo a tutti i costi,
perché non è detto che tutto quello che è nuovo sia sempre meglio. Ma
è certamente innovativa. D. In che senso? R. I bambini oggi imparano a scuola il 30% di quello che apprendono nell'arco di una giornata. Il resto passa attraverso le nuove tecnologie, le relazioni interculturali, la tv. La scuola evidentemente non può limitarsi a insegnare e trasmettere le discipline che ha trasmesso per 40 anni.
R. Tenere conto della società che cambia non vuol dire rinunciare alla
missione di formazione che spetta alla scuola. E non vuol dire neanche
fare micro progetti didattici che affrontano le emergenze educative
con soluzioni alla moda
R. Parlare solo degli errori della scuola è sbagliato. È cambiata la società, e la scuola ne è stata spesso il tubo di scarico di tensioni e problemi irrisolti. Gli insegnanti troppo spesso sono stati lasciati soli. Anche se proprio da soli hanno dimostrato in molti casi di saper fare un ottimo lavoro. Quello che è mancato è una regia certa, una cabina di pilotaggio che indicasse una strada da percorrere.
R. Trasmettere ai giovani più saperi e meno idee generiche. E un
solido metodo di apprendimento che consenta loro di imparare a
imparare cose sempre nuove nella vita. Solo così avremo teste ben
fatte e non teste ben piene di mille cose senza senso.
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