La campagna contro i fannulloni
è solo un pretesto.
Maurizio Balsamo da
ReteScuole
dell'8/9/2007
L'insegnante fannullone in questi giorni ha
occupato le prime pagine di tutti i giornali e Fioroni è stato
impropriamente descritto come colui il quale intenderebbe riportare
l'ordine laddove regna il caos.
Ora, chiunque di noi avrà avuto modo di conoscere nel corso della sua
carriera qualche collega che corrisponde a tale tipologia ed è
risaputo che tale soggetto nella maggioranza dei casi è tutelato e
favorito dal dirigente; perchè il cosiddetto fannullone sa bene da che
parte gli conviene stare e sa come ingraziarsi i favori di chi riveste
una funzione di potere.
Il problema di chi non adempie al proprio ruolo secondo i principi
dell'etica professionale esiste nella scuola così come negli altri
ambiti lavorativi e secondo attendibili studi sociologici rientra, per
quanto riguarda il nostro settore, nei limiti fisiologici interessando
una percentuale ininfluente di soggetti. Questo non vuol dire che non
vada affrontato, ma l'enfatizzazione mediatica alla quale il ministro
non si sottrae, anzi contribuisce a sostenere con un linguaggio
destroide indisponente (mele marce, tolleranza zero, fannulloni, etc.
), è funzionale a spianare il terreno all'introduzione di quei criteri
pseudo meritocratici tanto cari a Treelle e Confindustria che hanno
tutto l'interesse a dividere la nostra categoria e più in generale ad
indebolire il potere contrattuale del pubblico impiego, ponendoci l'un
contro l'altro armati, istigando comportamenti competitivi che
rappresentano quanto di più dannoso possa verificarsi specialmente in
un ambito come il nostro che dovrebbe avere il suo perno nella
collaborazione tra pari per realizzare un progetto educativo motivante
per gli insegnanti e gli studenti.
Chi legge i giornali spesso non sa che la maggior parte dei docenti
investe tempo ed energie che superano lo stretto adempimento dei
propri doveri, percependo uno stipendio che non solo è di gran lunga
inferiore a quello di qualsiasi collega europeo, ma che li pone tra le
fasce di reddito più basse della popolazione lavorativa italiana.
E' difficile che i non addetti conoscano il fenomeno del burn-out
(crollo psicologico) diffuso tra la classe docente in misura superiore
rispetto ad altre categorie. Non fa notizia e non interessa nessuno,
eppure dovrebbe rappresentare un campanello d'allarme emblematico del
disagio lavorativo e occorrerebbe capire i motivi che hanno
determinato negli ultimi anni la crescita del fenomeno stesso. Non
credo di sbagliare se vi individuo uno stretto collegamento con la
progressiva aziendalizzazione della scuola che ha prodotto un
deterioramento nei rapporti umani.
Se un insegnante percepisce come alienante la sua situazione
lavorativa, tra l'incudine e il martello del dirigente (a sua volta
frustrato perchè chiamato a gestire situazioni complesse per le quali
non dispone di una adeguata competenza) e dei genitori, difficilmente
troverà la serenità necessaria affinchè possa esprimere il meglio di
sè nel rapporto educativo.