Dentro Espero.

di Marco Corvaglia, 13/9/2007

 

Che cos’è l’Assemblea dei delegati? Perché è così delicata la funzione svolta dal Consiglio di Amministrazione di Espero? Queste sono alcune delle domande a cui questo articolo vuole rispondere.

Iniziamo con il dire che l’Assemblea dei Delegati, insediatasi nello scorso mese di febbraio, è formata da 60 membri, di cui una metà (eletta dagli iscritti al fondo) rappresenta i lavoratori, mentre un’altra metà rappresenta il Ministero della Pubblica Istruzione ed è da questo designata.

In particolare, i rappresentanti dei lavoratori, che restano in carica tre anni (rinnovabili una sola volta), sono preposti a controllare che vengano salvaguardati i diritti e gli interessi degli aderenti, con particolare riguardo al contenimento delle spese amministrative necessarie al funzionamento del fondo. L’Assemblea è tenuta a riunirsi almeno una volta l’anno, per approvare il bilancio, e in più ogniqualvolta se ne presenti la necessità. Tra i suoi compiti rientra anche l’elezione e l’eventuale revoca dei membri del Consiglio di Amministrazione.

E’ doveroso ricordare che la Gilda degli Insegnanti ha deciso di non presentare dei propri candidati in occasione delle elezioni per la formazione della prima Assemblea dei Delegati di Espero e conseguentemente non sono presenti suoi esponenti neanche nel neoeletto Consiglio di Amministrazione.

Quest’ultimo organo, in particolare, è tenuto a scegliere con procedura trasparente i gestori del fondo. A tal proposito, sono da rimarcare alcuni importanti elementi.

Innanzi tutto non sarà selezionata una sola Società di Gestione del Risparmio (Sgr), ma più soggetti distinti, ognuno dei quali si occuperà di una porzione del portafoglio. La legge prevede che si tratti di operatori di primo piano e in possesso di ben precisi requisiti professionali. Il Consiglio valuterà periodicamente il loro operato e, se non sarà soddisfatto, potrà revocare l’incarico.

Premesso questo, è però opportuno non caricare di soverchie illusioni il momento della selezione dei gestori. Infatti, bisogna evidenziare come il gestore professionale che attua sagacemente la security selection (selezione dei titoli migliori) e il market timing (entrata ed uscita dai mercati al momento più opportuno) sia poco più che un “personaggio di fantasia”, la cui esistenza è alimentata dall’ingenuità dei risparmiatori.
Posto che i fondi devono sottostare a ben precisi vincoli operativi di natura tecnica, pratica e giuridica, tonnellate di studi a livello mondiale attestano che il criterio maggiormente predittivo per scegliere i gestori migliori non è la loro presunta abilità ma, molto più semplicemente, l’entità delle spese (“commissioni”) che essi fanno gravare sulla somma investita per remunerare il proprio lavoro: a commissioni più basse tendono infatti a corrispondere risultati migliori. In altri termini, gli ipotetici vantaggi derivanti dalla gestione attiva di regola non riescono a compensare l’effetto delle spese, che vanno ad incidere direttamente sui rendimenti (i fondi pensione chiusi italiani si contraddistinguono, comunque, proprio per un regime commissionale estremamente contenuto).

Inoltre, quando un gestore, in un dato intervallo di tempo, sembra aver fatto meglio degli altri, in seguito, di norma, non manterrà il suo primato (tecnicamente si dice che non è rilevabile una “persistenza delle performance” statisticamente significativa). In pratica, i risultati più brillanti della media derivano, il più delle volte, da semplice casualità e quindi hanno vita effimera (fenomeno della mean reversion o “ritorno alla media”).

Tutto ciò in realtà non deve sorprendere. Basta ragionarci un po’ su. Cosa dovrebbe fare il bravo gestore per massimizzare i rendimenti? Comprare ciò che in seguito salirà e vendere ciò che in seguito scenderà: è il suo lavoro! Il problema è che in pratica questo significa comprare prima degli altri e vendere prima degli altri. Poiché gli “altri” non hanno l’anello al naso, ma sono, per una percentuale decisamente significativa, operatori ugualmente competenti e informati, si può cominciare a capire come stiano le cose nella realtà.

Qual è allora l’elemento più importante nella determinazione dei rendimenti conseguiti? Come vedremo, qui entra inopinatamente in gioco anche il Consiglio di Amministrazione del fondo.

Ricerche ormai classiche, come quelle degli studiosi statunitensi Brinson, Hood e Beebower (1986), o più recenti, come quelle di Ibbotson e Kaplan (2000), dimostrano che non conta tanto una più o meno intensa attività di compravendita dei titoli compiuta dal gestore, quanto l’ asset allocation stabilita a priori, cioè lo spazio concesso strutturalmente, nel portafoglio diversificato, alle varie tipologie di titoli (azioni, obbligazioni, ecc.), ciascuna delle quali è caratterizzata, per sua natura, da profili di rischio/rendimento diversi.

Ebbene, è proprio il Consiglio di Amministrazione a dettare gli indirizzi generali ai quali i gestori si devono attenere e quindi a stabilire quali saranno le principali classi di attività finanziarie sulle quali essi dovranno investire.

Peraltro, un esame di quanto avvenuto con altri fondi pensione chiusi già pienamente operativi offre l’opportunità di esprimere alcune considerazioni.

E’ necessario fare una piccola premessa. Limitando l’analisi ai titoli obbligazionari e semplificando molto il discorso per esigenze di chiarezza, possiamo dire che, in condizioni normali e a parità di altri fattori, più è lontana la scadenza di un titolo di questo genere e più esso renderà (ad esempio, un Bot rende meno di un Btp che scada tra vent’anni). Il rovescio della medaglia è costituito dal fatto che, se voglio rivendere il titolo prima della scadenza, quello a lungo termine mi espone a dei rischi maggiori perché il suo prezzo sul mercato oscilla di più.

Se però so già che il mio investimento sarà a lungo termine (e quale investimento è più a lungo termine di un fondo pensione ?), sarebbe finanziariamente insensato accontentarsi dei rendimenti offerti dai titoli a breve scadenza (se non per una scelta tattica e quindi temporanea).

Eppure se si vanno a verificare gli indicatori (benchmark) che devono essere adottati, su deliberazione del Consiglio di Amministrazione, per esplicitare i mercati con i quali si dovranno confrontare i gestori, si scopre che (escludendo dal computo le linee d’investimento destinate al personale ormai prossimo alla pensione) alcuni fondi chiusi hanno scelto come parametro di riferimento un portafoglio obbligazionario costituito, per circa la metà, da titoli a breve termine (1-3 anni). Una pratica molto discutibile e alla lunga inevitabilmente controproducente, che, significativamente, non è mai stata messa in atto (pur con tutti i loro difetti) né dai fondi aperti né dagli altri piani pensionistici in cui è direttamente il gestore professionale a definire il benchmark. Bisogna pertanto evitare di prendere dei veri controsensi finanziari per provvedimenti ispirati alla prudenza.

Altri soggetti incaricati di garantire correttezza e trasparenza nelle varie attività del fondo sono i revisori dei conti (che sono stati nominati dall’Assemblea dei Delegati) e la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione (Covip), senza dimenticare la “banca depositaria”. Questa custodisce la liquidità di Espero ed esegue gli ordini di compravendita, ma solo dopo aver verificato che siano in linea con i principi di sana e prudente gestione prescritti dall’avanzatissima legge italiana. Nel caso di Espero, tale incarico è stato affidato alla Banca Monte dei Paschi di Siena.

Inoltre deve essere chiarito che è tecnicamente e giuridicamente impossibile che Espero fallisca, in quanto le quote attribuite agli aderenti rimangono di esclusiva proprietà di questi (quindi nessun ipotetico creditore del fondo, dei gestori o della banca depositaria potrebbe mai “metterci le mani sopra”) e le prestazioni erogate saranno commisurate a quanto da ciascuno cumulato, cosicché non si potranno verificare squilibri gestionali.

Peraltro solo il contributo versato dal datore di lavoro e quello prelevato dallo stipendio del lavoratore vengono realmente investiti nei mercati, in quanto il TFR da destinare al fondo (e l’eventuale contributo aggiuntivo di cui gode il personale che ha abbandonato il regime del TFS) viene contabilizzato “figurativamente” dall’Inpdap, che lo rivaluta, annualmente, in base alla media dei rendimenti conseguiti dai maggiori fondi pensione negoziali. In futuro il parametro di riferimento sarà invece modificato e costituito dai rendimenti conseguiti dalla gestione finanziaria dello stesso Espero.

13 settembre 2007