L'89 per cento degli studenti universitari ignora l'8 settembre 1943
Oggi i più piccoli sono capaci di dominare tempi sconosciuti fino a 8 generazioni fa

 Come cambia la disciplina a scuola.
Si comincia a 5 anni e in terza media
si studia solo il '900

Simonetta Fiorila Repubblica del 24/9/2007

 

Luigi non lo sa, ma la nuova rivoluzione "storiocentrica" si deve un po' anche a lui. Luigi è un bambino di cinque anni, sveglio come lo sono i suoi coetanei. Manovra con disinvoltura dvd e videogames, passa dai villaggi africani di Kirikù alle frenetiche lotte giapponesi, gioca con i brontosauri ma non disdegna i cyborg futuribili. In soli cinque anni di vita ha acquistato famigliarità con linguaggi, estetiche, scenari e spiritualità sideralmente distanti. È capace di dominare spazi e tempi incommensurabili, ignorati fino a otto generazioni fa. Se ancora ai primi dell'Ottocento l'astronomo Usher era convinto che l'universo, la terra e l'uomo fossero comparsi tutti insieme solo quattromila anni avanti Cristo, questo vispo cinquenne di oggi è capace di tornare indietro di miliardi di anni, con una abilità di classificazione tassonomica sconosciuta ai suoi avi (guai confondere brontosauro con dinosauro!). Luigi è un bambino normalissimo, se non avesse uno zio epistemologo che per mestiere osserva il paesaggio della mente. E che dopo una lunga esperienza internazionale - anche in collaborazione con Edgar Morin - è stato chiamato dal ministro Giuseppe Fioroni per riformare i programmi del primo ciclo dell'istruzione (elementari e medie inferiori).

Mauro Ceruti, questo il nome del filosofo della scienza che oggi presiede la commissione ministeriale artefice delle nuove Indicazioni per il curricolo, ne è persuaso: la storia si può imparare anche nelle prime classi delle elementari, forse anche alla scuola dell'infanzia, attraverso i grandi racconti mitopoietici o grazie alle tracce identitarie, seguendo i capricci degli dei sull'Olimpo o portando in classe i berretti del nonno arabo o dell'avo sudamericano. «I bambini più degli adolescenti», spiega lo studioso, «sono capaci di grandi domande, filosofiche e cosmologiche, religiose ed anche antropologiche, e da giganti ed orchi si può risalire a civiltà lontane nel tempo e nello spazio, per poi imparare a navigare nella storia». O anche "per apprendere a vivere", come suggerisce semplicemente Morin, sorta di padrino nobile di questa "svolta" di Fioroni, che pur non avendo il crisma d'una vera riforma potrebbe conquistarlo se l'esito di due anni di sperimentazione dovesse rivelarsi felice.

Da qui - dall'introduzione della Storia in prima e seconda elementare, a partire dall'anno appena inaugurato - potrebbe cominciare quella rivoluzione copernicana che restituisce dignità a una disciplina sempre più svilita da un dissennato "uso pubblico" e totalmente ignorata dalle ultime generazioni, schiacciate in una sorta di "presente permanente". In questa direzione va anche la scelta di destinare solo al Novecento l'ultima classe delle medie, altra fondamentale novità del nuovo corso, animato essenzialmente da quella che Vittorio Foa chiama spesso "la rieducazione civile degli italiani".

L'ambizioso obiettivo è fornire ai ragazzi gli strumenti per difendersi dagli abusi strumentali della storia, ricondotta al suo statuto scientifico di conoscenza del passato e sottratta all'improprio ruolo di luogo di rappresentanza identitaria (funzione rimarcata dalla precedente Riforma Moratti, sensibile al richiamo dell'identità giudaico-cristiana). Si tratta in sostanza di arginare quell'amnesia collettiva che sembra anestetizzare il paese. "Vuoti di memoria", li ha chiamati Stefano Pivato in un brillante pamphlet laterziano che riferisce dati imbarazzanti sul diffuso analfabetismo storico: su un campione di ottocento studenti universitari, sondati da alcune importanti accademie italiane, l'89 per cento ignora cosa sia accaduto l'8 settembre del 1943 e l'87 per cento non sa identificare il 10 giugno del 1940. Un fenomeno non solo italiano se è vero che nella distruzione del passato Eric J. Hobsbawm rintraccia uno dei tratti "più tipici" anche se "più strani" dell'ultimo scorcio del Novecento.

Da noi la smemoratezza è aggravata anche dalla scarsa considerazione di cui il XX secolo ha sempre goduto nei programmi ministeriali. Il professor Antonio Brusa, esperto di didattica della storia e consulente della commissione ministeriale che ha elaborato le nuove Indicazioni, richiama l'attenzione su un dato significativo: con la sola parentesi del ministero Berlinguer, peraltro assai discussa, da circa sessant'anni - più precisamente dal 1945 - gli italiani non studiano il Novecento (da solo) a scuola. Oggi ci si ferma frequentemente alla Grande Guerra, se va bene al fascismo e alla seconda guerra mondiale. Assai raro che si vada oltre la Costituzione e la nascita della Repubblica, con serie conseguenze sulla consapevolezza delle regole e dei principi fondativi della democrazia (sempre stando ai sondaggi citati sopra, la maggior parte degli studenti universitari ignora chi sia Ferruccio Parri e, per un quarto del campione, Aldo Moro è uno zelante magistrato che ha celebrato processi contro le Brigate Rosse).

Secondo il professor Brusa, «il già esile studio della storia contemporanea in terza media ha subito un ulteriore colpo dalla riforma Moratti, con la riduzione di circa un centinaio di ore (complessivamente nel triennio) e la retrodatazione del programma dal Trattato di Vienna a Napoleone. Ridotto in numeri, rimangono più o meno quindici-venticinque ore per spiegare due guerre mondiali, la società di massa, la crisi europea, il secondo dopoguerra, la rottura degli anni Settanta, il crollo del Muro, la fine delle ideologie, la nascita dell'Europa, la globalizzazione». Da oggi l'intero pacchetto di ore servirà per raccontare quella storia, una "world history", insiste Tommaso Detti, il presidente della Sissco che ha collaborato da consulente alle nuove Indicazioni, una storia mondiale sempre più denazionalizzata e dunque sensibile ai problemi della comunità globale.

Non a tutti questa "riforma" è piaciuta, mentre gli editori arrancano nell'applicare le nuove Indicazioni. Franco Ghilardi, direttore editoriale dello scolastico De Agostini, spiega che il carattere sperimentale frena iniziative commercialmente impegnative. In altri termini, «come si fa a investire nei manuali sul Novecento se poi alla fine del biennio l'orientamento non viene confermato?». Un'obiezione ricorrente tra i critici è che alle medie inferiori si continua a ignorare la storia antica, mentre alle elementari si tralascia dal Medioevo in su, chiudendosi la quinta con la caduta dell'Impero romano. In realtà la nuova scuola di Fioroni prevede incursioni in evi diversi da quelli fissati dai vecchi programmi ministeriali. In burocratese si chiama "valorizzazione del patrimonio culturale": più semplicemente, uno studente della scuola media può tornare all'età di Cesare se nella sua città vi sono tracce di quella o altre storie del passato, così come un bambino delle elementari può essere edotto sulle Crociate se in Tv o al cinema si torna a parlare del sultano Saladino e Riccardo Cuor di Leone.

Quel che sostanzia la "riforma" in corso è una visione organica e unitaria di elementari e medie, soprattutto della fascia che include le ultime due classi del primo ciclo e le tre della secondaria, ossia preadolescenti e adolescenti dai nove ai quattordici anni: per loro è prevista la progressione storica che dalle mummie egizie conduce agli ingegneri cinesi del XXI secolo, ciclo che sarà poi ripercorso con strumenti più affinati nel prosieguo della carriera scolastica. E che - in forma di favola, racconto e laboratorio - dovrebbe essere suggerito nelle prime tre classi primarie. Perché a cinque anni si è già capaci di senso storico, come Luigi e i suoi coetanei costantemente mostrano. Sarebbe un peccato spegnerlo.