Esami di riparazione a settembre:
ovvero il coraggio di ritornare
alla scuola di Gentile.
di Domenico Sugamiele, da
Pavone Risorse
del 7/10/2007
Il Ministro Fioroni con un “regio” decreto
cambia i sistemi di valutazione delle scuole e “riesuma” gli esami di
riparazione per, a suo dire, ridare serietà e rigore agli studi.
Neanche un anno fa, al fine di risparmiare un po’ di soldi - cosa
comunque pregevole - introduceva in Finanziaria una norma con la quale
chiedeva agli insegnanti di “promuovere il 10% in più”. La coerenza
dei provvedimenti di questo Governo è lapalissiana.
Per semplificare, il Ministro modifica il processo valutativo – senza
interpellare il Parlamento (qualche consigliere potrebbe informarlo
che le leggi si modificano per con altre leggi?) - e lo impone agli
insegnanti, come se questi lavorassero a cottimo in una catena di
montaggio. I sindacati e le associazioni professionali degli
insegnanti zitti. Tutti allineati e coperti con il “Governo amico".
Nei giornali, all’indomani della presentazione del “regio” decreto
sugli “esami di riparazione”, è stato tutto un fiorire di giudizi
favorevoli.
Una delle rarissime voci dissenzienti o che almeno ha messo in guardia
dalle facili semplificazioni - demagogiche, aggiungo io - è stato l’ex
Ministro Tullio De Mauro in un’intervista al Corriere della Sera. Ho
inviato una lettera personale al Prof. De Mauro per ingraziarlo, con
alcune osservazioni che riprendo nel seguito.
In effetti in questi giorni ho provato una grande tristezza anche
perché ho ricordato Bruno Trentin. Alcune settimane fa, nella camera
ardente che lo commemorava, ricordavo le tante lezioni di vita e di
solidarietà che Bruno ci ha consegnato. Quella dell’abolizione degli
esami di riparazione è stata una delle iniziative su cui si era speso
molto. Ricordo il suo impegno che, nei primi anni ’90, aveva condotto
la Confederazione a sostenere la battaglia per una scuola inclusiva
che si riorganizzasse facendosi carico dei più deboli. Era stata sua
la spinta su cui D’Onofrio aveva fatto leva per abolire gli esami di
riparazione.
De Mauro richiama l’attenzione, giustamente, sui tempi di
apprendimento e di maturazione dei ragazzi. Ed ancora, ricorda che non
si parla di rinnovamento dei programmi, di reclutamento e formazione
degli insegnanti, di migliorare le strutture delle scuole.
Su ScuolaOggi, alcune settimane fa, Antonio Valentino ha posto alcuni
interrogativi e, se non ho capito male, invitava a riflettere con più
attenzione e sulle stesse linee individuate da De Mauro, pur
convenendo sul fallimento del “sistema dei debiti”.
Caro Valentino, la classe intellettuale e dirigente di questo Paese,
figlia del Sessantotto, è attenta e discetta della severità, del
rigore.
Ormai le “barriere” sono crollate e con queste i comodi alibi del
“progressismo”.
Leggere la rassegna stampa del 4 ottobre è stato per me
raccapricciante. I giudizi che si leggono - su uno degli snodi più
delicati del processo educativo quale è la valutazione- prescindono
dagli aspetti educativi (uso a proposito educativo per ricordare le
riflessioni di Valentino e De Mauro) e sociali.
Tutti “gasati” dal rigore ritrovato. Si legge: «finita la pacchia»,
«chi non ha la sufficienza viene bocciato». Sull’Unità si legge «il
coraggio di ricambiare» (bel coraggio!) e su Libero «vent’anni di
riforme per tornare a Gentile» (qui comprendiamo la matrice). Un
“amarcord” delle origini. Che disastro!
È il segno della sconfitta del pedagogismo “progressita”. O meglio, se
si vuole, il pedagogismo sessantottino che ha gettato la maschera e
viene fuori nella sua natura conservatrice.
È il grido di una classe dirigente e intellettuale che non comprende,
nel XXI° secolo, che la scuola di massa non può svilupparsi ad
immagine e somiglianza della scuola elitaria strutturata nel Ventennio
del secolo scorso che, è bene ricordarlo, era solo “scuola di Stato”.
Anche perché quella scuola si fondava su poche materie.
Una classe intellettuale e dirigente conservatrice che, come diceva
Bourdieu, detiene il “capitale culturale” (la cultura legittima),
spesso assieme a quello economico, e impone agli altri i suoi modelli
culturali, escludendo, di fatto, le fasce più deboli dai processi di
mobilità sociale: “la nobiltà che si perpetua”. Basta vedere, nel
nostro Paese, chi occupa i posti di governo del sistema politico e
sociale, dalla politica al giornalismo. Eccetto lodevoli eccezioni
(sempre più eccezioni) sono tutti figlie e figli di qualcuno:
appartengono alla classe dominante, i detentori del capitale economico
e/o, della cultura legittima.
Una classe intellettuale e dirigente che ha frequentato il Liceo
classico, che ha mandato i figli al Liceo classico e, conoscendo solo
di Liceo classico, non comprende che una scuola inclusiva si deve fare
carico del 70% dei giovani che non frequenta il Liceo. Una scuola
nella quale il 30% dei giovani non arriva ancora al diploma e il 30%
si diploma in ritardo.
Il sessantottismo in educazione mostra disprezzo per l’istruzione e la
formazione professionale, considera il lavoro quasi una dannazione, e
impone a tutti il suo modello all’interno della “scuola unica di
Stato”. Il ricorso del Governo contro la legge sull’Istruzione della
Lombardia ne è l’esempio più eclatante.
Niente flessibilità e rinnovamento dei programmi, niente opzioni
disciplinari, niente autonomia delle scuole, niente libertà di scelta
delle famiglie, niente investimento e formazione professionale degli
insegnanti. Tutte misure, sicuramente perfettibili e migliorabili,
introdotte nella scorsa Legislatura e azzerati da questo Governo.
I giovani sono, invece, tutti obbligati a frequentare le aule
scolastiche sul modello unico di scuola di Stato, tutti a imparare le
stesse cose negli stessi tempi e con gli stessi modi – come se fossero
dei cloni - e il doposcuola, che riporterà alle lezioni private, per
quelli che non ce la faranno.
È verosimile che in una scuola dove l’alunno non sceglie nulla ma
tutto gli è imposto e che si fonda su 12-14 discipline ciascun ragazzo
sia “preparato” su tutto e nei medesimi tempi? Un enciclopedismo che
Guido Calogero riteneva utile per formare “chierici e parrucche”.
In una scuola siffatta, ricordando Salvemini: si può rivendicare il
“diritto all’ignoranza”? Almeno in qualche materia?
Una domanda tecnica agli psicosociopedagogisti ministeriali (tutti
rigorosamente democratici e progressisti): come si conciliano
l’innalzamento dell’obbligo di istruzione, gli assi culturali per
l’obbligo, i bienni equivalenti – che assomigliano alle “convergenze
parallele” - e la programmazione per competenze con la “riparazione”
in una disciplina? Perché basta l’insufficienza in una sola disciplina
per sospendere il giudizio e anche lo scrutinio? E perché, allora, per
coerenza non re-introdurrre l’esame di riparazione nell’esame di
Stato? Faremmo contento Renzo Arbore che è stato bocciato all’esame di
maturità, proprio a settembre.
Quello che si prospetta è, a mio avviso, un processo selettivo e
classista che conosciamo già: la scuola delle “lezioni private estive”
(anche invernali) a vantaggio delle classi agiate. Quanti ragazzi
figli di contadini, miei amici e coetanei, ho visto abbandonare la
scuola media (neanche la superiore) perché non potevano permettersi le
lezioni private durante l’anno e l’estate. I ricchi e la borghesia
intellettuale (oggi in prevalenza sessantottina), lo ripeto, figlia e
tutrice dell’ideologismo classico gentiliano, si possono permettere
sia le scuole che le lezioni private.
La scuola di Fioroni non mi pare sia la scuola del “non uno di meno”
tanto declamato dalla sinistra radical chic. Il messaggio che leggo è
un messaggio vecchio, reazionario, contro i più deboli e per di più
scaricando la responsabilità sui docenti.
Nessuno pensa di difendere il sistema dei debiti e dei recuperi che,
come sostiene Valentino, si è rivelato fallimentare, così come, con
l’aumento della scolarizzazione, fallimentare era diventato quello
degli esami di riparazione.
Le soluzioni su questi aspetti –chiedo scusa per quella che potrà
sembrare supponenza, ma sono di parte, molto di parte, giacché (almeno
queste) ho contribuito a scriverle - erano tutte scritte nei decreti
legislativi di attuazione della legge 53, compreso il rigore e la
serietà negli studi, con l’obiettivo di valorizzare i talenti e
sostenere i più deboli. Leggere il decreto sul diritto-dovere, quello
sull’alternanza, quello sulla formazione degli insegnanti, quelli
sull’ordinamento del primo e secondo ciclo.
Soluzioni certamente migliorabili. Bastava, tuttavia, cominciare a
sperimentarle per verificarne gli effetti.
Due soli esempi: la programmazione dei recuperi nei bienni – peraltro
realizzata già nel Primo ciclo - e l’organizzazione dei Laboratori di
recupero e approfondimento, anche attraverso reti di scuole. Ma
sarebbero stati troppo di sinistra e non è stato possibile mantenerli.