Quando l'ora di religione Della violazione della Costituzione tramite ordinanze ministeriali (con la collaborazione del Consiglio di Stato): il caso dell'ora di religione.
Dott. Marco Croce - Esperto di Giustizia Costituzionale,
1. A quasi vent'anni di distanza da una delle
storiche, ma insoddisfacenti, sentenze della Corte costituzionale, la
n. 203/1989, nel quasi totale silenzio dei mezzi di comunicazione di
massa, della classe politica e, purtroppo, della dottrina, si è
assistito a un nuovo caso di violazione della Costituzione, e della
giurisprudenza costituzionale che ne fa applicazione, per il tramite
di una semplice ordinanza ministeriale, con l'avallo del Consiglio di
Stato.
2. Prima di esaminare le scarne motivazioni
delle decisioni dei giudici amministrativi e valutarne la
compatibilità con i principî costituzionali, pare opportuno richiamare
gli esiti della giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto non
illegittimo costituzionalmente, a determinate condizioni,
l'insegnamento nelle scuole pubbliche dell'ora di religione. Con la s.
n. 203/1989, la Corte costituzionale, dopo aver tratto dagli artt. 2,
3, 7, 8, 19 e 20 C. il principio di laicità dello Stato e aver
specificato che sulla base degli artt. 3 e 19 è vietato che i
cittadini siano discriminati per motivi di religione e che il
pluralismo religioso limiti la libertà negativa di non professare
alcuna religione, sanciva con estrema chiarezza le condizioni di
compatibilità con il sistema costituzionale dell'insegnamento della
religione nelle scuole pubbliche: La previsione come obbligatoria di
altra materia per i non avvalentisi sarebbe patente discriminazione a
loro danno, perché proposta in luogo dell'insegnamento di religione
cattolica, quasi corresse tra l'una e l'altro lo schema logico
dell'obbligazione alternativa, quando dinanzi all'insegnamento di
religione si è chiamati ad esercitare un diritto di libertà
costituzionale non degradabile, nella sua serietà e impegnatività di
coscienza, ad opzione tra equivalenti discipline scolastiche. Lo Stato
è obbligato, in forza dell'accordo con la Santa Sede, ad assicurare
l'insegnamento di religione cattolica. Per gli studenti e per le loro
famiglie esso è facoltativo: solo l'esercizio del diritto di
avvalersene crea l'obbligo scolastico di frequentarlo. Nella
successiva s. n. 13/1991 il giudice delle leggi, chiamato a
pronunciarsi sull'incostituzionalità delle disposizioni in materia di
orari scolastici nella parte in cui l'insegnamento della religione era
collocato nel novero delle ore obbligatorie, pur continuando a
utilizzare il meno efficace strumento dell'interpretativa di rigetto,
specificava ulteriori aspetti che erano rimasti in ombra nel caso
precedente: richiamando la s. n. 203/1989 specificava che la ratio
della stessa consisteva nella negazione dell'equivalenza e dell'alternatività
tra l'insegnamento di religione cattolica ed altro impegno scolastico,
per non condizionare dall'esterno della coscienza individuale
l'esercizio di una libertà costituzionale, come quella religiosa,
coinvolgente l'interiorità della persona. Da queste sentenze si deduce
chiaramente che l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole
pubbliche è compatibile con i principî costituzionali in materia di
libertà religiosa solamente se l'ora di religione viene configurata
come insegnamento facoltativo ed extra-curriculare tale da non
comportare nessuna deminutio, né in termini di obbligo supplementare
di permanenza all'interno dell'istituto, né in termini di disagevole
collocazione nell'orario scolastico (essa dovrebbe essere collocata o
alla prima o all'ultima ora), né in termini di assegnazione di crediti
scolastici, per chi scelga di non avvalersene (sembrerebbe comunque
incostituzionale anche la stessa presentazione della richiesta di
decidere se avvalersi o meno dell'insegnamento, cosa che si traduce in
una pressione indebita sulla coscienza dell'individuo e di chi ha il
diritto-dovere di educarlo, mentre l'onere di richiederlo dovrebbe
gravare solo su chi vuole usufruirne). Come ebbe a dire all'epoca di
queste decisioni Paolo Barile, chi vuole avvalersi di quell'insegnamento
deve fare uno sforzo in più, un'ora in più degli altri, fuori orario,
senza che agli altri venga causato il danno di dover rimanere a scuola
perché i primi possano essere indottrinati in una materia che i
secondi hanno diritto di rifiutare.
3. Le decisioni richiamate nel primo paragrafo
hanno motivazioni stringatissime, per ciò solo inadatte a persuadere
in una materia che riguarda diritti costituzionali fondamentali, e non
richiamano minimamente né la Costituzione né la giurisprudenza
costituzionale che ne ha fatto applicazione in materia, denunciando
così una preoccupante carenza di cultura costituzionale da parte di
giudici che spesso sono chiamati a verificare l'incostituzionalità di
disposizioni sottratte al sindacato della Corte costituzionale; ma
mentre quella del T.A.R. Lazio è sicuramente compatibile, nel merito,
col nostro sistema di garanzia dei diritti fondamentali, quella del
Consiglio di Stato si pone in insanabile contrasto con lo stesso: il
T.A.R., accogliendo l'istanza cautelare, accanto al vizio di
violazione di legge (a essere violato era l'art. 309 del d. lgs.
297/1994 che prevede l'ora di religione come extra-curriculare)
richiamava anche quello di eccesso di potere, evidentissimo, dal
momento che l'ordinanza Fioroni era del mese di marzo 2007 e
interveniva su scelte compiute all'inizio dell'anno scolastico, quindi
nel 2006, quando i soggetti chiamati alle scelta non potevano sapere
che la stessa avrebbe comportato l'assegnazione di un numero maggiore
o minore di crediti.
4. Qualche interrogativo e alcune considerazioni
finali su una delle zone d'ombra del nostro sistema di giustizia
costituzionale, che va sempre più configurandosi come una zona franca,
sembrano a questo punto ineludibili: è uno Stato costituzionale di
diritto quello Stato il cui organo garante della costituzionalità
degli atti dei pubblici poteri vede limitata la sua giurisdizione alle
leggi e agli atti aventi forza di legge, senza che nemmeno sia
contemplata la possibilità di un ricorso diretto dell'individuo contro
i regolamenti dell'esecutivo e le ordinanze ministeriali
incostituzionali, quando i giudici chiamati a garantirlo non facciano
il loro dovere? |