Padre al centro!

Per uscire dalla crisi della scuola.

Paolo Ferliga
relazione al Convegno "La scuola è finita. Viva la scuola.",

Roma 5/10/2007

 

“Onde, sì come, nato, tosto lo figlio alla tetta della madre s’apprende, così, tosto come in esso alcuno lume d’animo appare, si dee volgere alla correzione del padre, e lo padre lui ammaestrare. E guardisi che non li dea di sé essemplo ne l’opera, che sia contrario a le parole de la correzione: ché naturalmente vedemo ciascuno figlio più mirare le vestigie de li paterni piedi che a l’altre. E però dice e comanda la Legge, che a ciò provvede, che la persona del padre sempre santa e onesta dee apparire al li suoi figli; e così appare che la obbedienza fue necessaria in questa etade”…E poi deono essere obbediti maestri e maggiori, cui in alcuno modo pare dal padre, o da quelli che loco paterno tiene, essere commesso.”
Dante


“L’eticità, collegata con la generazione naturale dei figli - e che era stata posta come primaria nello stringere il matrimonio - si realizza nella seconda nascita dei figli, cioè nella loro nascita spirituale: l’educazione di essi a persone autonome.”
G. W.
F. Hegel

“Una corretta educazione è la migliore salvaguardia contro la malattia psichica.”
C. G. Jung

 

Introduzione

La mia convinzione è che la crisi della scuola sia strettamente connessa al venir meno dell’Imago e dell’Archetipo del Padre nella storia e nella società. Gli archetipi sono, secondo Carl Gustav Jung, delle immagini dotate di straordinaria forza e potenza, che abitano nell’inconscio collettivo. Quando la coscienza individuale e collettiva, perde la sua relazione con queste immagini, si ammala gravemente. Proprio perché dotati di un potere che Jung definisce numinoso, imparentato con il sacro, gli archetipi non riconosciuti possono portare alla dissoluzione di un’intera società, come è accaduto, ad esempio nella Germania degli anni Trenta. Allora il non riconoscimento dell’Archetipo del padre si tradusse nella sua tragica e caricaturale trasformazione autoritaria. Dalla morte, a livello simbolico, del Padre, scaturì la figura del dittatore. Oggi, alla scomparsa del Padre si sostituisce il sistema dei consumi che rende i nostri figli e i nostri studenti sempre più insicuri e indipendenti. Gli archetipi però, per nostra fortuna, continuano a vivere nell’inconscio collettivo. Per questa ragione possiamo dire : “E’ morto il Padre, viva il Padre!”

 

1. La crisi del sistema educativo nella visione di James Hillman

1.1 James Hillman, in Lettera agli insegnanti italiani, (Fondazione Liberal, 2002) ritiene che qualcosa si stia ammalando nel cuore dell’educazione e che questo cuore non possa essere ristabilito con semplici esercizi di base e nemmeno essere sostituito da una macchina ad alta tecnologia. Secondo il noto scrittore junghiano l’Educazione sarebbe responsabile, nell’epoca contemporanea, del fallimento dell’insegnamento e dell’apprendimento. Come la strega della fiaba Hansel e Gretel dei fratelli Grimm, il sistema educativo infatti, si nutre di due spinte naturali, il desiderio di imparare e la pulsione ad insegnare, ma nutrendosene, tende inevitabilmente a distruggerle. Il sistema dell’educazione, con i suoi aspetti istituzionali e burocratici sarebbe responsabile pertanto del venir meno di due spinte naturali dell’istinto: la curiosità di imparare e il desiderio di insegnare. Queste due spinte naturali sono sorrette, nell’inconscio collettivo, dalla coppia archetipica Insegnante-Allievo: i due fratellini della fiaba che la strega Educazione vorrebbe divorare.
1.2 Sarebbe quindi necessaria, secondo Hillmann, una contro-educazione che sappia cogliere nelle maglie del sistema educativo dei buchi che consentano alla coppia naturale e archetipica dell’insegnante e dello studente di funzionare. “La contro-educazione interiorizza e individualizza, come ha detto Ficino, le uniformità dell’educazione. Individualizzare l’educazione, cioè collocare l’imparare all’interno dell’anima di qualcuno, esige l’eros, non perché l’individualizzare favorisce uno studente a scapito di un altro, il cosiddetto "prediletto dell’insegnante", ma perché l’eros incendia il particolare stile di desiderio di ogni persona.” (J. Hillman). Solo la contro-educazione consentirebbe di ri-attivare nell’Anima il desiderio naturale di imparare, da una parte, e quello di insegnare, dall’altra. Solo dando spazio all’eros che unisce insegnante e allievo in un progetto e nella condivisione di un interesse comune, sarebbe possibile favorire lo sviluppo personale e la formazione individuale dello studente.
 

2. L’importanza del sentimento e dell’autorità nell’educazione

2.1 Nella sua analisi Hillman coglie due questioni centrali: l’impossibilità di trasmettere il sapere senza un rapporto con eros e la necessità di una formazione individualizzata perché ciascuno possa sviluppare le proprie potenzialità individuali e diventare così davvero se stesso. Il sistema dell’educazione proprio per il suo carattere di sistema fallirebbe su entrambi i fronti, non essendo in grado di riconoscere l’importanza della sfera affettiva nella trasmissione del sapere e nemmeno di realizzare un progetto di insegnamento individualizzato. Senza dubbio la diagnosi di Hillman coglie nel segno quando dice che la coppia archetipica Insegnante-Allievo, una delle declinazioni moderne della più antica coppia Senex-Puer, soffre nel nostro sistema educativo. L’istinto naturale ad insegnare e la naturale curiosità di sapere rischiano spesso, nella scuola di oggi, di non potersi incarnare in progetti, relazioni, risultati concreti. La terapia proposta da Hillman però, l’idea della contro-educazione, sembra a me più una intelligente provocazione, che una indicazione concreta e praticabile. L’educazione infatti non si esaurisce negli aspetti burocratico – amministrativi del sistema e porta dentro di sé gli anticorpi che le permettono di continuare a vivere senza distruggere insegnamento e apprendimento. Ciò dipende in buona misura dalla possibilità che ancora il sistema offre di contare sulla funzione docente, valorizzandola e responsabilizzandola. Penso, a partire da questa base, al recupero di una dimensione educativa fedele all’etimo, al significato profondo del termine educare e a un’ottica che sposti la sua attenzione dalla dimensione orizzontale, quella della coppia fraterna Insegnante-Allievo, alla dimensione verticale, quella della coppia archetipica Padre-Figli. Nei sogni quasi sempre l’insegnante svolge una funzione paterna e ancora oggi, in una società dove la presenza femminile nella scuola si avvia a diventare pressoché totale, compaiono più spesso nei sogni, in particolare dei giovani, insegnanti maschi nella funzione di consigliare, incoraggiare, aiutare il sognatore a superare od affrontare un problema. Almeno questa è la mia esperienza. La figura del Maestro sembra così imparentata, dal punto di vista archetipico con quella del Padre.

2.2 Nel suo etimo, la parola educare tiene insieme ciò che spesso la scuola separa: dimensione intellettuale e morale del processo di formazione dello studente. “Portare metodicamente a un conveniente livello di maturità sul piano intellettuale e morale” recita la prima definizione di educazione del dizionario della lingua italiana Devoto-Oli. Si avverte l’eco della convinzione socratica che la verità non possa andare disgiunta dal bene. Il procedere dell’intelletto non può avvenire indipendentemente dallo sviluppo di una coscienza etica. Proprio l’uso linguistico comune valorizza l’accezione morale del significato di educazione. “Condurre a un determinato abito morale” è, infatti, la seconda definizione del Devoto-Oli. La lingua latina (vocabolario Castiglioni-Mariotti) ci aiuta a cogliere altri significati del verbo educare. Allevare, alimentare, nutrire, curare, formare... E da educere, trarre fuori, estrarre, far uscire (ancora la maieutica di Socrate), condurre, generare… Questi significati mostrano il carattere asimmetrico del processo educativo. Non si tratta tanto della coppia concettuale Insegnare – Imparare, che coopererebbero su un piano di parità, ma piuttosto di una assunzione di responsabilità da parte dell’educatore che si prende cura della formazione del suo allievo. E’ lui che cura e forma, conduce, genera e fa uscire. E’ in quest’ottica, quella dell’asse verticale Padre-Figlio, che le due indicazioni di Hillman, importanza di eros e di un insegnamento individualizzato possono trovare una collocazione concreta. (vedi appello della Gilda per una rinascita di una cultura educativa verticale)

2.3 Il prendersi cura dell’altro nella scuola, non può prescindere dal rapporto con eros, con amore. Pur consapevole dell’alone semantico che il termine eros comporta, basti pensare al Simposio di Platone dove eros costituisce il tramite tra il filosofo e la verità, nel caso del rapporto educativo preferisco parlare di sentimento, piuttosto che di eros, in quanto mi pare che il termine sentimento meglio contribuisca a ricollocare la questione dell’educazione su un terreno naturale, legato alla generazione ed alla trasmissione del sapere tra generazioni. Il recupero di questo terreno naturale, vorrei dire spontaneo della relazione educativa, radicato nell’istinto di insegnare e di imparare, nel sentimento spontaneo che proviamo davanti ai bambini e a tutto ciò che nasce, è indispensabile perché l’educazione divenga effettuale. Se non ama la sua professione e i suoi alunni è difficile che l’insegnante riesca ad educare. Potrà forse trasmettere dei contenuti e degli strumenti concettuali, anche importanti, ma difficilmente riesce a mettere in contatto i giovani col mondo dei valori. Si tratta di un sentimento simile a quello dei genitori per i figli, che precede e in un certo senso rende possibile la trasmissione del sapere. Solo sullo sfondo di un sentimento naturale di questo tipo è possibile portare un giovane a quella seconda nascita, di tipo spirituale e culturale, in cui consiste per Hegel (Filosofia del diritto) l’educazione. Il sentimento poi, per suo natura, è sempre volto all’individuale ed è pertanto guida naturale all’insegnamento individualizzato.


3. La personalità dell’educatore e la centralità dell’esempio.

3.1 La questione poste ci costringono a focalizzare l’attenzione sull’insegnante e a prendere coscienza che nel processo di apprendimento molto, quasi tutto vorrei dire, dipende dalla personalità dell’educatore, dalle sue conoscenze e dalla sua formazione, ma anche dal suo atteggiamento e dalla sua capacità di rispondere a una vocazione. Quella di insegnante. La coppia archetipica Insegnante-Allievo è, da questo punto di vista, una coppia intrapsichica che si “costella”, si struttura, prima di tutto, nell’insegnante stesso. E in questo strutturarsi è centrale la relazione simbolica che essa intrattiene con l’archetipo del Padre. Imparare a avere potere su di sé essere Padre a se stesso è dunque il primo compito dell’educatore. Focalizzare l’attenzione sul ruolo dell’educazione significa anche riconoscere che nel processo educativo è in gioco anche il potere. Chi sa, e si suppone che l’educatore sappia, ha un potere che l’educando non ha. Da questo potere deriva la sua autorità. Solo chi detiene questo potere può educare consapevole dell’asimmetria, tra chi forma e chi è formato. Assunzione di autorità vuol dire fare i conti con il potere cui l’autorità sempre rimanda. Non veder questa relazione è pericoloso. Il potere non visto e non riconosciuto agisce infatti comunque nella relazione, come fredda e autoritaria imposizione di un insegnamento astratto, incapace di coinvolgere emotivamente gli alunni. Si tratta dal punto di vista della psicologia del profondo dell’Ombra del potere, un archetipo che quando si impadronisce della psiche di una persona tende a farla ammalare gravemente. Conoscere il potere che si genera nel campo educativo è indispensabile invece per saperne utilizzare l’energia trasformativa e per evitarne gli aspetti d’Ombra. Quelli legati ad una soddisfazione narcisistica del proprio Io (“come sono bravo!”) o all’esercizio delirante del controllo sull’altro. (“devi riconoscermi come autorità!”). Nell’educazione infatti, non è in gioco il potere sull’altro, ma il potere su di sé. Quel potere che consente di sentire la propria ricchezza e la propria sovrabbondanza e che spinge naturalmente a donarla agli altri. Molti insegnanti ancora oggi fanno questo, donano se stessi e il proprio tempo ai loro alunni e in questo fare realizzano pienamente il loro compito educativo. Disponibilità al sentimento e consapevolezza del proprio potere vanno coniugati. Senza sentimento infatti l’autorità degenera in autoritarismo e senza autorità, il sentimento perde forza e si tramuta in vuoto sentimentalismo, privo di un’autentica energia trasformativa. Contro tutte le illusioni di una metodologia “oggettiva”, che si illude di sviluppare capacità e fornire competenze agli allievi sulla base di standard uniformi, senza sentimento e senza autorità, non c’è educazione e nemmeno cultura.

3.2 La psicologia del profondo conferma quanto il senso comune da secoli dice: l’educazione passa soprattutto attraverso l’esempio. In una conferenza tenuta nel 1925 al Congresso internazionale degli educatori di Heildelberg, dal titolo Il significato dell’inconscio nell’educazione individuale Jung confronta diversi tipi di educazione e sostiene, spiegandone la ragione, che l’educazione attraverso l’esempio è il metodo più efficace, che riesce anche dove gli altri falliscono. Proprio per la centralità che l’esempio assume nel processo educativo l’insegnante deve prestare particolare attenzione all’educazione della propria personalità. Non si tratta di educare alla personalità i giovani, che in quanto tali vivranno ancora diverse metamorfosi prima di strutturare una loro Persona adeguata ai compiti della vita adulta. Come ideale contrapposto all’uomo-massa la “personalità” è infatti un ideale adulto…” Piuttosto il bambino da educare alla “personalità” è quello che ogni adulto porta dentro di sé. (C.G. Jung Il divenire della personalità 1934, p. 166) “Nessuno può educare ad acquisire una personalità se non la possiede egli stesso. E non il bambino, ma solo l’adulto può acquisire la propria personalità come il frutto maturo di un’intera vita indirizzata a questo scopo.” (p. 166) Come il medico, anche l’educatore, deve avere sempre presente la possibilità di venire ingannato, coscientemente o inconsciamente, non soltanto dal suo allievo, ma in prima linea da se stesso (p. 111). Perciò il pedagogo dovrebbe prestare molta attenzione al suo proprio stato psichico, per potere, qualora ci sia qualcosa che non funziona con i bambini che gli sono stati affidati, capirne la causa (118). Il pedagogo può errare ed è auspicabile che si renda conto dei propri difetti. “Solo chi è in grado di assentire consapevolmente alla forza della vocazione che gli si fa incontro dal più intimo essere, diventa una personalità.” (174). Ma lo sviluppo della personalità è nello stesso tempo un dono e una disgrazia perché la fedeltà alla propria legge (pistis, fiduciosa lealtà) condanna all’isolamento. Come insegna il rapporto di Socrate col suo demone. Per questa ragione talvolta la nevrosi insorge come tentativo di eludere la vocazione. Ma aderire alla propria vocazione, come mostra la figura di Cristo porta a vivere “l’unica vita che abbia un senso, una vita cioè che mira alla realizzazione individuale…” (p. 175).

 

4. Processi inconsci e formazione dell’identità personale: il Padre indispensabile

4.1 Jung spiega anche perché l’esempio funzioni laddove altri metodi falliscono. Perché si basa sull’identità inconscia tra il bambino e i suoi genitori. (Lévy-Bruhl participation mystique). “Su questo dato fondamentale dell’identità psichica si fonda in ultima analisi qualsiasi educazione… Tale fattore è così importante che un cattivo esempio può far fallire completamente anche il miglior metodo educativo che operi a livello conscio.” (Opere, vol. XVII, p. 146) “I genitori… E la poca educazione e la mancanza di consapevolezza degli educatori stessi hanno effetti molto più intensi dei loro consigli più o meno buoni, dei loro ordini, dei loro castighi e delle loro intenzioni.” (p. 129) Se la base del processo di formazione di un giovane si basa sull’identità inconscia con i propri genitori diventa comprensibile perché l’assenza del Padre nella scuola renda sempre più difficili i compiti dell’Educazione. Infatti all’inizio della vita questa identità si realizza nei confronti della madre, ma proprio la percezione inconscia che questa identità non può perdurare troppo nel tempo fa sì che nell’evoluzione naturale della personalità, l’istinto afferri la prima opportunità che si presenta per sostituire la madre con un altro oggetto. (p. 153) L’altro che rompe la diade madre-figlio/a è il padre. Il padre così si incarica di rompere la simbiosi madre-figlio e di consentire il passaggio dall’identità inconscia, all’identificazione via via sempre più consapevole del figlio con altre figure adulte. Mentre nell’identità non c’è distinzione cognitivo- affettiva fra differenti individui, l’identificazione, per quanto inconscia, viene a compiersi tra sé e un altro in sé già distinti e separati tra loro. “…l’identificazione può essere utile fin tanto che manca ancora la possibilità di percorrere una via individuale.” (Tipi psicologici, p. 449) L’identificazione è quindi un passaggio inevitabile per arrivare all’individuazione, a diventare se stessi. Perché sia possibile l’identificazione, nella famiglia è indispensabile la presenza del padre. Nella società la presenza di uomini adulti che si incarichino di iniziare i giovani alla vita. Ciò è indispensabile per i maschi, ma molto importante anche per le femmine. Il Padre dice il primo no e separa.


5. Scuola e iniziazione: la situazione presente

5.1 L’ istituto dell’iniziazione, garantiva in età ormai remote il rito di passaggio all’età virile e adulta. Consentiva al giovane maschio di trasformare la sua spinta pulsionale in un’avventura e in un impegno nei confronto dell’altro, della società e del mondo. ( “Sotto questo aspetto l’omosessualità dell’adolescenza è il bisogno della presenza di un uomo, frainteso certo, ma comunque utile.” (155).) In un epoca che ha rinunciato ai riti di iniziazione quel compito è stato assolto fino almeno agli anni Sessanta del Novecento dalla scuola. Un testimone d’eccezione ce lo ricorda. Agli inizi del secolo scorso Freud ricordava, con una passione inusuale per lui, i suoi insegnanti: “L’emozione che provavo incontrando i miei vecchi professori del ginnasio mi induce a fare una prima ammissione: è difficile stabilire che cosa ci importasse di più, se avessimo più interesse per le scienze che ci venivano insegnate o per la persona dei nostri insegnanti. … Questi uomini, che pure non furono tutti dei padri, diventarono per noi i sostituti del padre.” Per i maschi il professore rappresenta infatti una figura in cui potersi identificare e/o disidentificare, fino a quando non si raggiunge una piena maturità. Può piacere o non piacere. Aiuta comunque un giovane a dirsi: “Da grande vorrò (o non vorrò) essere così.” Per le ragazze l’insegnante maschio rappresenta simbolicamente l’altro da sé, in forma matura rispetto ai giovani coetanei. Permette loro di abbozzare delle fantasie sul futuro. “Da grande mi piacerebbe (o non mi piacerebbe) un uomo di quel tipo.” Consente di sviluppare in modo più completo e articolato il proprio lato maschile interiore, quello che Jung chiama Animus che, come vedremo, riveste un’importanza fondamentale nell’equilibrio psichico di una donna. 5.2 Ma oggi difficilmente gli studenti possono provare quel tipo di emozione. Nella scuola infatti gli insegnanti maschi sono una specie in via di estinzione: nei paesi dell’OCSE gli insegnanti della scuola elementare e dell’infanzia sono quasi solo femmine (94%), (in Italia il 94,6% alle elementari) e quelli della scuola secondaria inferiore lo sono al 62,7%, mentre quelli delle superiori al 48,9%. In prospettiva la femminilizzazione è destinata a crescere rapidamente anche in questo ordine di scuole. Le insegnanti donne sotto i trent’anni raggiungono infatti alle medie, già oggi in Italia, il 72% del totale e la partecipazione ai concorsi per l’insegnamento vede una schiacciante maggioranza femminile. Si comprende la gravità della situazione se si riflette sul fatto che la presenza di figure maschili accanto a quelle femminili ha sempre favorito nella scuola i processi di identificazione degli adolescenti, indispensabili per la loro crescita psicologica. La scuola tende a diventare rapidamente un luogo unisex. In fondo si è affermata l’idea che il genere dell’insegnante sia del tutto ininfluente nella crescita psico-fisica degli studenti, a tal punto che anche l’insegnante di Educazione fisica è diventato unico per maschi e femmine. La scuola si presenta, da questo punto di vista, come una zona grigia, omologante, in cui non è importante crescere come donne e come uomini nella ricchezza delle proprie differenze, ma solo come studenti che, alla fine, si distinguono in base ad una valutazione di tipo prevalentemente quantitativo. La funzione paterna svolta dalla scuola non soffre solo per la mancanza di insegnanti maschi, ma anche per il venir meno, dal punto di vista culturale, di un saldo rapporto con la tradizione e con il passato nella loro dimensione trascendente che, andando oltre l’aspetto contingente del tempo, permette al presente di assumere senso e significato. Si tratta in altre parole del rapporto con la memoria e con la storia della nostra civiltà, di cui gli insegnanti sono in gran parte responsabili nei confronti delle nuove generazioni. Proprio la crisi del rapporto con il passato ha fortemente indebolito l’autorità degli insegnanti, uomini e donne. La scuola come istituzione si è illusa di poterla supplire con procedure di tipo burocratico. Al rapporto anche emotivo tra maestro e allievo, modellato sulla relazione verticale padre-figlio, si è così sostituito un rapporto che tende per sua natura al massimo di spersonalizzazione delle funzioni: gli insegnanti vengono invitati a conseguire obiettivi didattici e formativi, ad attribuire crediti e debiti, a valutare capacità, competenze e conoscenze. L’aspetto formativo della loro funzione resta di fatto residuale, a favore di un modello mutuato da una concezione dall’organizzazione aziendale, peraltro vecchia, finalizzata all’ottimizzazione delle risorse. Ciò è particolarmente evidente nei sistemi di verifica: sempre più test e prove scritte, sempre meno interrogazioni e valutazioni orali. Siamo ben lontani dall’insegnamento di Socrate, che non solo era esclusivamente orale, ma valorizzava il dialogo come momento indispensabile per accedere alla verità. Nonostante tutti gli sforzi di una pedagogia e di una metodologia ‘scientifica’, i giovani sembrano oggi incontrare maggiori difficoltà nella loro maturazione. Certo la scuola non ne è la prima e nemmeno l’unica responsabile, coinvolta in un processo che, come abbiamo visto, ha radici lontane. Però una scuola sempre più facile e meno impegnativa, basti pensare all’abolizione degli esami a settembre e, di fatto, dell’esame di maturità, priva i giovani di quelle difficoltà che sono indispensabili in ogni processo di crescita. Senza prove e senza sacrifici non si cresce. Accade così che l’iniziazione alla vita ed alla società, di cui una volta erano custodi i padri, si ripresenti oggi in forme degenerate ed altamente rischiose per l’integrità psichica degli adolescenti. La crisi dell’autorità degli insegnanti infatti consegna gli studenti al giudizio ed all’arbitrio del gruppo dei pari, dei coetanei, che esercitano sempre sul singolo un potere coercitivo, basato sulla legge della forza e del numero: se non ti comporti come vuole il gruppo vieni escluso ed isolato. La scuola rischia allora di configurarsi come uno di quei nonluoghi dove l’iniziazione, perduto il carattere di trasmissione verticale di saperi, valori e pratiche di vita, degenera in una comunicazione orizzontale di atteggiamenti psicologici e di comportamenti prevalentemente consumistici, guidati soprattutto dalle esigenze del mercato. Per i più piccoli, merendine e gadgets diventano prodotti irrinunciabili e favoriscono, fin dall’infanzia, il diffondersi di comportamenti di tipo conformista. Per i più grandi l’uso di sostanze stupefacenti, di alcolici e superalcolici si iscrive nello stesso orizzonte simbolico di una moda sempre più griffata, dell’esibizione del lusso o di status symbol. Per tutti la dipendenza dalle immagini, della televisione e del computer, sviluppa in modo preoccupante un atteggiamento di tipo dipendente e passivo.

Conclusioni:

Mettere al centro il padre significa assumere consapevolmente la verticalità dell’insegnamento e la responsabilità dell’insegnante come principi guida. Assumersi a livello sociale la responsabilità di dire quei no indispensabili perché i giovani possano davvero crescere, maturare e diventare se stessi.

Paolo Ferliga