L'editoriale.
Libertà d’insegnamento
garanzia di pluralismo nella scuola.
di di Marcello Vigli da
Italialaica del
12/10/2007
In questi giorni la chiusura accelerata del
contratto degli insegnanti ha richiamato l’attenzione dei media sulla
scuola. In quelli precedenti erano di moda il prezzo dei libri di
testo, gli attacchi ai docenti fannulloni o pedofili, la
reintroduzione degli esami di riparazione. Pochi in verità sono stati
i commenti alla sottrazione di risorse alla scuola statale per
concedere finanziamenti alle private. Silenzio pressoché totale,
invece, sulle gravissime conseguenze del voto che alla Camera il 3
ottobre scorso ha convertito in legge il decreto Norme urgenti per
l’avvio dell’anno scolastico 2007/08: all’art. 2 modifica le norme
riguardanti i provvedimenti disciplinari nei confronti dei docenti
aumentando notevolmente il potere discrezionale del Dirigente
scolastico.
Sono abrogate le norme in vigore - contenute nel Testo Unico delle
leggi sulla scuola ma risalgono ai Decreti delegati del 1974 - che
affidano la tutela della libertà di insegnamento al controllo degli
atti da parte degli organi collegiali elettivi. Cessa infatti di
essere “vincolante” il parere dei Consigli di disciplina di tali
organi per quanto riguarda i provvedimenti di “sospensione
dall’insegnamento e destituzione” e di “trasferimento per
incompatibilità ambientale.
Le norme abrogate erano state poste a salvaguardia della “libertà
d’insegnamento” cioè della libertà culturale dell’insegnante dal
controllo politico e da ogni altro condizionamento.
La nuova normativa mette di fatto i docenti sotto il controllo diretto
dell’amministrazione attraverso il Dirigente scolastico, terminale
dell’azione ministeriale e, al tempo stesso, “sensibile” agli umori
dei genitori e alle pressioni dei centri locali confessionali e/o
politici.
La libertà d’insegnamento, come recita l’articolo 1 del T.U. non è un
“optional”. Non solo è riconosciuta all’insegnante come diritto
soggettivo, ma gli è attribuita come diritto/dovere perché è
essenziale alla funzione istituzionale della scuola statale, laica e
pluralista.
Esercitata, per legge, all’interno della collegialità è posta a
garanzia della libertà degli alunni Gli è attribuita, infatti, per
garantire allo studente l’esercizio del suo diritto a ricevere,
particolarmente nel tempo in cui è obbligato per legge a frequentare
la scuola, gli strumenti culturali per orientarsi nelle sue scelte di
vita. Per garantirgli, al tempo stesso, spazi di autonomia nei
confronti della famiglia, dell’ambiente sociale, delle autorità, ma
anche del gruppo etnico, religioso, associativo in cui è inserito.
Costituisce l’insegnante come punto d’incontro, tra il diritto dei
giovani ad autoformarsi e l’esigenza della società ad avere cittadini
formati alla democrazia, ostacolando un uso ideologico della scuola
pubblica da parte delle maggioranze di turno al governo del Paese.
Cittadini, però, non si nasce, cittadini si diventa acquistando
conoscenza e autonomia di giudizio, attraverso un processo formativo
finalizzato a promuovere identità personali disponibili ad integrarsi
criticamente e a solidarizzare con identità diverse. A questo serve la
scuola con la sua azione formativa che nasce dai contenuti culturali,
dal metodo, con cui sono proposti, ma anche dalla relazione che
l’insegnante riesce a stabilire con gli studenti, e si sviluppa
nell’interazione tra loro attraverso la trasmissione del sapere.
Questo compito trasforma l’insegnante da semplice dipendente statale
in responsabile dell’esercizio di una funzione istituzionale dello
Stato. La scuola non è un ufficio, ma un luogo di formazione. Non può
essere considerata un pezzo qualsiasi della Pubblica Amministrazione,
né tanto meno un’azienda, che vende cultura, formazione, competenze.
Per questo al suo interno l’insegnante ha l’anomala condizione
lavorativa di dipendente non subordinato: ha la libertà di esercizio
della sua funzione al pari del giudice.
Attentare quindi alla libertà d’insegnamento significa colpire quel
pluralismo, su di essa fondato, che consente alla scuola statale di
assolvere alla sua funzione istituzionale di formare i giovani alla
libertà, all’esercizio dei diritti, all’assolvimento dei doveri, in
una parola alla cittadinanza. È questa che la rende diversa da tutte
le altre agenzie educative e scuole di tendenza facendone la sede in
cui ci si forma alla laicità, come coscienza di non poter
assolutizzare nessun credo particolare e come diritto alla
contaminazione.
Attentare alla libertà d’insegnamento significa perciò eliminare la
vera discriminante fra scuola pubblica e scuole private, che si
caratterizzano per avere docenti tenuti per contratto a essere fedeli
ai principi etici e agli orientamenti culturali delle scuole che li
hanno assunti. Si assesta così alla scuola statale un colpo anche più
grave della stessa sottrazione di risorse da destinare al
finanziamento delle scuole private.