Se Fioroni fa il duro coi bulli.

Marina Boscaino, da l'Unità del 16/10/2007

 

Lo schema di regolamento proposto dal ministro Fioroni qualche giorno fa in Consiglio dei Ministri - che ha dato parere favorevole - modifica gli articoli 4 e 5 dello Statuto degli Studenti riguardanti le sanzioni disciplinari. La boccata di ossigeno rappresentata dalle parole di Benedetto Vertecchi, che sul Manifesto di qualche giorno fa invitava a ragionare di scuola da punti di vista e prospettive che sembrano lontane anni luce dalle attuali - eppure ci fanno sognare, e sperare che una voce illuminata riesca, miracolosamente, a squarciare il velo della pericolosa sottovalutazione della scuola pubblica - è stata prontamente repressa e ricondotta al triste principio di realtà da questa ulteriore «prova di forza»: il motivo dominante all’insegna del quale Fioroni ha deciso di far cominciare l’anno scolastico.

Perché, ancora una volta, la scuola non viene individuata come luogo di condivisione delle regole, di negoziazione in cui insegnanti, studenti e genitori concretizzino un patto di corresponsabilità educativa. Ma si risponde in maniera esclusivamente punitiva a un’emergenza sociale, limitata in termini numerici, e tuttavia estremamente allarmante. Sia chiaro: il problema del bullismo è concreto e urgente e non è intenzione di nessuno archiviarlo o sottovalutarne la portata in termini di segnale di inquietanti marginalità socio-culturali. Ma le procedure individuate non sono adatte, non solo ad affrontare, ma neppure semplicemente a lanciare segnali costruttivi affinché il fenomeno possa essere non dico debellato, ma almeno limitato nella sua inquietante portata; ormai scrupolosamente documentata e registrata nella logica voyeristica e perversa di ragazzi che cercano - in quei filmati - il proprio momento di visibilità; che rivendicano - indottrinati dalle pratiche televisive più perverse - un protagonismo che, ormai, non si nega davvero a nessuno.

Dunque, il problema non è se il bullismo sia un fenomeno concreto o no, né la sua più o meno amplificata diffusione. Il problema è che «mostrare i muscoli», specialmente nella scuola, spesso non significa avere a disposizione le armi che possano incidere realmente sul trattamento di una situazione così complessa, che marchia letteralmente la condizione di totale mancanza di autorevolezza della scuola in questo difficile passaggio. Il ministro Fioroni ha la pericolosa tendenza - o meglio, la consapevole propensione - a proporre soluzioni «muscolari» - di sicuro effetto mediatico - a problemi che affondano in anni di incuria nei confronti della scuola pubblica; e in contraddizioni drammatiche della società, ispirate a una tensione aggressiva che chiede rivincita, riscatto nelle maniere più pericolose e mortificanti. Apro e chiudo una parentesi, per non infierire; ricordando appena la campagna (dal titolo raccapricciante - «Smonta il bullo» - a sottolineare l’affetto personale del ministro per quello strumento un po’ spuntato che è il cacciavite) che lo scorso anno - tra conferenze stampa, sbandieramento da parte dei media, creazioni di linee dedicate, stampa di opuscoli, manifesti ecc. - è costata alle tasche del contribuente, ma che, a quanto pare, non ha sortito poi l’effetto desiderato.

Il problema è proprio qua: non è questo il tipo di investimento di cui la scuola italiana ha bisogno oggi. Né di diventare luogo di repressione; o, peggio ancora, di esclusione, contravvenendo alla propria stessa natura. Occorre stanziare i fondi per una prevenzione effettiva del fenomeno. Una prevenzione a misura di scuola e fatta nella scuola. Che - ricordiamolo - è luogo di accoglienza e non di esclusione: è luogo (o, almeno, dovrebbe esserlo) di autorevolezza e non di autoritarismo. Cominciamo a pensare al problema dalla radice: la generalizzazione della scuola materna, da tutti citata, promessa, ma mai configurata realmente come investimento concreto sul destino migliore di futuri cittadini. E poi gli insegnanti. Chi «sarà pescato in atteggiamenti lesivi della dignità dei compagni e degli stessi insegnanti» - recita il regolamento - potrà essere espulso dalla scuola fino alla fine dell’anno. L’insegnante più accondiscendente, più debole è - come lo studente più debole - vittima potenziale dei bulli.

Eppure tra insegnante e studente deve stabilirsi - per la natura stessa del rapporto educativo, inefficace se non improntata a una «legge del padre» - una vera e propria «relazione di potere», che abbia come finalità l’emancipazione del discente. Occorre quindi rafforzare, incentivare (o scoraggiare?) coloro che credono di poter fare gli insegnanti senza prevedere che alcune tendenze sortiscono un effetto moltiplicativo sul diffondersi del fenomeno: lo stato di progressiva perdita di autorevolezza da parte dei docenti, la demotivazione di molti, un’ipocrita interpretazione accuditiva, complice, maternale che per temperamento o per comodità viene assunta da molti, una generazionale tendenza al protrarsi indefinito dell’adolescenza. Con conseguenze negative per quanto riguarda sia la vigilanza sugli alunni più deboli fatti oggetto di episodi di bullismo, sia l’esser fatti gli insegnanti stessi bersagli.

Saranno, secondo la nuova normativa, le scuole a stabilire nel proprio regolamento quali siano i comportamenti da stigmatizzare, quali le sanzioni, gli organi competenti e la procedura da seguire. Come nei provvedimenti previsti contro gli insegnanti - delegati all’arbitrio del singolo dirigente di istituto - anche in questo caso la certezza della norma scompare come principio di garanzia: le stesse violazioni potrebbero essere punite e non punite da scuole diverse o punite in maniere differenti. È chiaro che l’allontanamento dalla scuola per l’intero anno scolastico di alunni che dimostrino comportamenti gravemente inadeguati coglie nel segno un’insofferenza diffusa e un bisogno di normalità che la nostra società continua a manifestare. Ma bisogna interrogarsi se - didatticamente ed educativamente - gli elementi possano essere considerati equipollenti all’interno della scuola. Ho i miei dubbi. Perché non mi risulta, lo sottolineo ancora, che la proibizione abbia mai sortito effetti più incisivi di quelli convogliati da una buona educazione e da un reale investimento culturale sulla scuola. Prova ne sia il fatto che i filmati che proliferano sul web sono proprio immortalati da quei telefonini che una direttiva del ministro Fioroni vietava tassativamente all’interno degli istituti scolastici.