Il diritto alla riservatezza
non è un diritto a violare il buon senso.

di Piero Morpurgo, 17/10/2007.

 

Il professor P., in partenza per la Germania, per l’ennesima volta si era sentito dir di no dal DSGA: no i numeri di telefono delle famiglie degli allievi che andavano all’estero non li avrebbe avuti e se qualcuno si fosse sentito male avrebbe dovuto telefonare in Segreteria anche di notte che non c’è nessuno. La ‘privacy’ lo impone sentenziava l’inflessibile Segretario. Avvilito P. si avviò all’uscita e, nel girarsi, vide la lavagna ove erano annotate e ben in vista le assenze del personale con relative patologie e rimase ancor più allibito. Tornato in classe P. distribuì un questionario in ossequio alla circolare interna 192 (era solo dicembre!) e, nel farlo, si accorse che si chiedeva: quante volte ti ubriachi?; usi droghe?; ti fanno paura le liti dei tuoi genitori? Il professor P. sgranò gli occhi: e la ‘privacy’? Al suono della campanella P. rientrò a casa e la figlia gli chiese la firma di una circolare della Scuola Elementare: tutti i genitori degli allievi ‘non avvalentesi dell’IRC’ avrebbero dovuto riunirsi col DS per decidere il da farsi! Perché mai una scelta personale doveva essere messa in piazza: e la privacy?  Davvero infastidito il professor P. cercò di smascherare le leggende sulle leggi e trovò che per risolvere le questioni sarebbe bastato già il DPR 3/1957 che all’art. 15 dice: “L'impiegato deve mantenere il segreto d'ufficio. Non può trasmettere a chi non ne abbia diritto informazioni riguardanti provvedimenti od operazioni amministrative, in corso o conclusione, ovvero notizie di cui sia venuto a conoscenza a causa delle sue funzioni”. Forse –ritenne P.- si pensa che fosse preistoria, ma riscontrò che il Garante della Privacy condivideva il suo stato d’animo. Di più: il 3 dicembre 2004 il Garante dichiarava: “Siamo di fronte a una vera e propria leggenda metropolitana. Non esiste alcun provvedimento del Garante che imponga di tenere segreti i voti dei compiti in classe, delle interrogazioni o gli scrutini, né di consegnarli agli alunni in busta chiusa”. Inoltre si legge che “Per quanto riguarda, infine, supposti regolamenti privacy da adottare da parte delle scuole, nessun istituto scolastico secondario dovrà o potrà dotarsi a proprio piacimento di un regolamento sui dati ‘sensibili’. Il "Codice" contiene già regole chiare e ciò che manca al riguardo è solo un unico regolamento attuativo ministeriale che dovrà conformarsi ad un parere del Garante. La privacy ha costituito a volte il pretesto per improprie note di colore o è stata utilizzata come un alibi per non applicare altre disposizioni di legge. Una corretta informazione è quindi importante”.  E infatti  proprio di recente è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale (n. 11 del 15.1.07) il regolamento sul trattamento, da parte delle scuole, dei dati sensibili e giudiziari; si tratta del D.M. 7.12.06, n. 305. Allora ci siamo! Anche il Garante sembrerebbe si sia accorto che la ‘privacy’ serve per occultare compensi e creare intralci alla trasparenza. E il Garante si interessa di nuovo della scuola il 23 dicembre 2004 quando interviene sui ‘questionari’ stigmatizzando l’uso improprio che della scuola fanno gli enti di ricerca che portano a una raccolta di diverse informazioni (sesso, età, classe e scuola frequentata, mese ed anno di nascita) che, sebbene non comprendano anche il nome ed il cognome dei soggetti che hanno preso parte alla medesima, sono suscettibili, rispetto ad un ambito di indagine ristretto e grazie alla loro interazione, di consentirne un'agevole identificazione. Ciò, anche in relazione alla verificata circostanza che diversi minori hanno inserito la data di nascita completa (giorno, mese e anno), rendendo ancor più semplice la loro identificabilità. Alcune delle informazioni richieste dal questionario /…/ sono anche, nel loro complesso, riconducibili alla nozione di dato sensibile di cui all'art. 4, comma 1, lett. d), del Codice, in quanto idonee a rivelare aspetti della sfera psico-fisica dei genitori”. Questo pronunciamento gettò nella più cupa disperazione i sostenitori della ‘scuola progettificio’ e ppure la soluzione c’era! Infatti sempre il Garante interviene sui questionari con nota 252 dell’aprile 2005 ammettendo che si possono fare; però: “Per poter svolgere legittimamente la rilevazione, infatti, l'università, operando per finalità di ricerca, avrebbe dovuto informare correttamente i genitori degli scopi dell'iniziativa e del fatto che la partecipazione dei bambini era non obbligatoria, ma volontaria”.  Più semplice di così! E anche per  le diverse scelte religiose il Garante –nel dicembre 2004- era stato chiaro: “non esiste alcun provvedimento del Garante che proibisce agli alunni di rendere nota la fede religiosa /…/. Il necessario rispetto della volontà di ciascuno di mantenere riservate alcune informazioni sulla propria persona, infatti, non va confuso con la libertà, costituzionalmente protetta, di ognuno di manifestare liberamente le proprie convinzioni, anche di natura religiosa”. Giusto! Ognuno è libero di scegliere a chi dire di credere in qualcosa.  Dunque niente obbligo di riunione collettiva tra gli ‘eretici’ (nel senso etimologico: coloro che scelgono) anche perché la Corte Costituzionale con Sentenza 13 del 1991 stabiliva: “Occorre qui richiamare il valore finalistico dello stato di non obbligo, che è di non rendere equivalenti e alternativi l'insegnamento di religione cattolica ed altro impegno scolastico, per non condizionare dall'esterno della coscienza individuale l'esercizio di una libertà costituzionale, come quella religiosa, coinvolgente l'interiorità della persona”. Tradotto: si tratta di questioni personali e non sono sono obbligato a manifestarle in pubblico. Rinfrancato da tante fonti giuridiche il professor P. si sentì sollevato e, ritenendo di fare un favore alle Istituzioni, portò nelle scuole i testi del Garante e trovò quel muro fatto dall’uso perverso del ‘ma si è fatto sempre così’. P., fece verbalizzare tante incongruenze (fatelo a vostra tutela), però era rimasto schiacciato dalle ‘consuetudini’ che alterano lo Stato di Diritto! Allora il prof. P. cominciò a pensare che da solo non avrebbe vinto giacché solo se siamo in tanti possiamo far rispettare il diritto di tutti.

Piero Morpurgo
 

P.S. Il Garante, nel giugno 2006, purtroppo è intervenuto nuovamente; questa volta creando confusione perché -a Suo dire- ai sensi dell’art. 19, comma 3, la comunicazione di dati (i compensi del Fondo d’Istituto) da parte di soggetti pubblici a privati non è ammessa unicamente  e poiché ogni scuola è soggetto pubblico; mentre i sindacati e le RSU sono soggetti privati e dunque alle RSU non è permesso chiedere i tabulati dei compensi del Fondo d’Istituto. Posto che ciò sia giusto – ragionava P. - nulla impedisce ai docenti di chiedere il rendiconto del Fondo con l’indicazione delle somme percepite dai singoli.

 

punto elenco

Decreto Ministeriale n. 305 del 7 dicembre 2006. Regolamento per il trattamento dei dati sensibili e giudiziari.