Il bullismo, gli insegnanti, il caro-libri: il
sondaggio di Repubblica conferma i disagi
Ma gli italiani continuano ad avere fiducia nell'Istruzione. Pubblica.
Quelle aule così lontane
dalla società che cambia.
Tutti sognano una scuola diversa, la fiducia
espressa è sempre "nonostante" qualcosa
Ilvo Diamanti, la Repubblica
dell'1/10/2007
LA SCUOLA non gode di
buona fama e di buona stampa, da qualche tempo. Perché considerata
asimmetrica rispetto ai cambiamenti sociali, economici, culturali.
Perché gli insegnanti hanno perduto considerazione, credibilità.
Perché pare divenuta un luogo insicuro, attraversato da violenze
quotidiane, piccole e (talora) grandi. Il sondaggio di Demos-coop,
però, fornisce un'immagine diversa. Certo, la sua credibilità fra i
cittadini, negli ultimi anni, è calata. Ma, il giudizio nei suoi
confronti risulta ancora largamente positivo. Circa il 55% degli
italiani, infatti, manifesta fiducia nella scuola e nell'università.
Una quota ancor più ampia, il 60%, negli insegnanti. Oltre i due terzi
delle persone si dicono "soddisfatti" dei servizi e delle prestazioni
della scuola. Pubblica. Mentre la scuola privata, di ogni ordine e
grado, ottiene commenti assai meno positivi.
Si tratta di dati inattesi, in contrasto con il dibattito politico e
mediatico, ma anche con il senso comune. Riflettono il rapporto
ambiguo fra scuola e società, tra le famiglie e il sistema educativo,
tra i genitori i professori.
I cittadini, infatti, esprimono fiducia nella scuola e negli
insegnanti "nonostante". Perché, in realtà, vorrebbero una scuola
diversa. Con più risorse, maggiori relazioni con il mercato del
lavoro. In grado di riconoscere e di promuovere il talento degli
studenti, permettendo ai migliori di emergere.
Vorrebbero, inoltre, insegnanti più motivati. Sottoposti a un costante
processo di "valutazione". E, quindi, "premiati" in base al merito, in
termini di carriera e di retribuzione. Come propone, d'altronde, il
"Quaderno bianco sulla scuola", predisposto di recente dai ministeri
della Pubblica Istruzione, del Tesoro e dell'Economia. Si tratta di
attese largamente deluse. Da cui originano, fra l'altro, le
contestazioni di molti genitori nei confronti degli insegnanti. A
"protezione" dei figli. Non sempre per "giustificato motivo".
In altri termini: la scuola fornisce un servizio utile e piuttosto
apprezzato, dalle famiglie e dagli studenti. Ma non riesce più a
trasmettere il senso del futuro. Non dà più "sicurezza". Come, invece,
è avvenuto, in passato, nel nostro Paese. La scuola: il "centro" della
vita sociale, dell'educazione, della formazione. Dove si comunicano
valori, modelli e conoscenze. Dove, per dieci-vent'anni, gli individui
trascorrono gran parte del loro tempo di vita. Dove passano
dall'infanzia, all'adolescenza, alla giovinezza fino all'età adulta
(anche se pochi, ormai, accettano di "diventare grandi"). Senza
soluzione di continuità. Dove i giovani coltivano amicizie e
incontrano "maestri", buoni o cattivi non importa; ma capaci di
fornire modelli, di fungere essi stessi da esempio. Dove si
ridimensionano le differenze sociali e si valorizzano i "talenti"
individuali.
Nella "memoria" degli italiani la scuola è tutto questo. Anche se, nei
fatti, si tratta di una raffigurazione eccedente e mitizzata. Oggi,
però, è "impossibile" immaginare che tutto ciò sia "possibile". Perché
è cambiato tutto; intorno ma anche all'interno. Il mondo, il sapere, i
valori, l'organizzazione della conoscenza, la comunicazione. Sono
cambiate la demografia, la struttura e la dinamica del mercato del
lavoro. E' cambiato il rapporto fra genitori e figli.
Però la scuola resta sempre lì. Al suo posto. Allo snodo tra i
giovani, le famiglie, la società, le istituzioni.
Anzi, occupa una "porzione" del tempo di vita personale e familiare
crescente. Visto che si tende ad anticipare l'ingresso nel sistema
educativo e, nello stesso tempo, ad accompagnare un numero più ampio
di persone fino alla laurea, senza "perderle per strada". Visto che il
rarefarsi del numero dei figli ha accentuato la pressione e
l'attenzione dei genitori sulla loro "carriera scolastica".
Da ciò il contrasto di atteggiamenti e di giudizi. La scuola e gli
insegnanti soffrono di cattiva fama, perché subiscono la pressione di
attese irrealistiche. Che contribuiscono ad alimentare le tensioni con
gli studenti e i loro genitori. D'altronde, la legittimazione sociale
degli insegnanti, oggi, è declinante. Il "professore universitario"
dispone ancora di un prestigio professionale notevole. Poco inferiore
ai magistrati e più elevato rispetto ai manager privati e agli
imprenditori. Ma i maestri e i professori delle secondarie - superiori
e medie - godono, invece, di considerazione assai minore. Il che ne
limita l'autorevolezza: in classe e nell'ambiente sociale. (Difficile
ottenere rispetto da ragazzi i cui genitori hanno redditi, consumi,
posizione professionale di livello molto più elevato).
Tuttavia, "nonostante tutto", la scuola e i professori condividono con
gli studenti e le famiglie un percorso biografico molto lungo. E ciò
spiega la grande fiducia di cui godono. Perché, in fin dei conti, la
scuola continua a fare da "collante" in una società "scollata". E' un
elemento "normale", per questo importante, della storia personale e
della vita quotidiana. Non è un caso che venga apprezzata in misura
maggiore fra coloro che ne hanno esperienza diretta. La fiducia nella
scuola, ad esempio, è espressa dal 54% della popolazione nell'insieme,
ma dal 62% di coloro che hanno un familiare che studia e, infine, dal
66% degli studenti. Al tempo stesso, cresce parallelamente
all'ottimismo nel futuro, al senso di sicurezza personale, alla
fiducia negli altri. Perché è una risorsa di "capitale sociale". Luogo
di relazioni, dove, per quanto in modo contraddittorio e traballante,
si rafforza il "senso civico", la solidarietà.
Altra origine delle tensioni che scuotono la scuola è la
frammentarietà degli interventi riformatori, di cui è stata oggetto
nel corso degli anni. Soprattutto nell'ultimo periodo. Privi di
coerenza, di un disegno. L'hanno cambiata senza fornirle una identità,
un profilo comune. Senza comunicare un progetto, a chi vi opera, agli
studenti, alle famiglie. Per questo, alcuni elementi della riforma
annunciata dal ministro dell'Istruzione, Fioroni, incontrano un favore
così massiccio. La riproposta degli esami di riparazione (80%),
l'apertura degli istituti di pomeriggio (77%), la maggiore attenzione
dedicata a materie come la geografia, la matematica e soprattutto
l'italiano.
Riscuotono un consenso ampio perché evocano i "fondamenti" della
tradizione educativa. Il ritorno alla scuola di un tempo, "quando le
cose funzionavano". E riflettono l'insoddisfazione per l'esperienza
recente, che non riesce a dare orientamento, senso del futuro.
Certezze.
Da ciò il sospetto che le famiglie cerchino nella scuola una supplenza
(ma anche un alibi) alle proprie difficoltà di capire e di educare i
giovani. Come suggerisce la questione del "bullismo". Un fenomeno
preoccupante, che, tuttavia, gran parte degli italiani non considera
un'emergenza. Tanto meno i giovani e gli studenti. I più spaventati
sono quelli che non vanno a scuola. E che non hanno studenti in
famiglia. Si tratta, dunque, di una "paura" largamente
in-giustificata; e in-definita. Riflette un senso di insicurezza più
generale. Non è un caso che i principali responsabili della violenza
nelle scuole siano ritenuti, anzitutto, i genitori. Poi, in misura più
limitata, gli insegnanti. Accusati, entrambi, di non esprimere né
esercitare "autorità".
L'insicurezza delle scuole, così, finisce per riflettere la crisi di
senso e di governo che affligge la società. L'autorità perduta, non
solo dalla politica e dalle istituzioni. Ma anche dalla famiglia. Da
ciò l'atteggiamento contraddittorio nei confronti della scuola. Che
critichiamo tanto. Ma ispira, nonostante tutto, fiducia. E' come
provare disagio davanti allo specchio. Guardando la nostra immagine
riflessa. Perché la scuola siamo noi.