Una ricerca sulla qualità
dell'integrazione scolastica.
Ci sono luci, ma anche molte ombre nei risultati
emersi dall'approfondita ricerca condotta dall'INVALSI (Istituto
Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di Istruzione e di
Formazione), sulla qualità dell'integrazione scolastica nelle scuole
italiane della quale vengono qui presentati e analizzati i dati più
significativi.
a cura di
Salvatore Nocera* da
Superando dell'8/11/2007
Durante la riunione
dell’Osservatorio Ministeriale sull’Integrazione Scolastica
tenutasi nel mese di giugno di quest'anno, è stato diffuso il rapporto
finale di una ricerca sulla qualità dell’integrazione
scolastica condotta dall’INVALSI
(Istituto Nazionale per la Valutazione del Sistema Educativo di
Istruzione e di Formazione), per conto del Ministero della Pubblica
Istruzione, su richiesta delle associazioni presenti nell’Osservatorio
stesso.
Si tratta di un rapporto di oltre cento pagine, corredato di numerose
tabelle e istogrammi che forniscono una serie di indicazioni assai
interessanti.
La ricerca si è svolta nell’anno scolastico 2005-2006
e ha coinvolto le scuole statali e non statali di ogni ordine
e grado. Da segnalare che, nonostante il carattere
volontaristico della rilevazione, il 62% di tutte le
scuole hanno risposto. E tuttavia la partecipazione degli istituti di
secondo grado è stata esigua e quindi la ricerca riguarda solo
le scuole dell’infanzia e del primo ciclo di
istruzione che hanno comunque risposto per il 60% circa.
Lo studio è stato condotto con metodologia scientifica dagli esperti
dell’INVALSI, che hanno predisposto un questionario sulla base delle
indicazioni fornite dagli esperti delle associazioni;
si può dire, in tal senso, che i risultati siano largamente
attendibili.
Il questionario si suddivide in tre parti, ciascuna delle quali elenca
alcuni descrittori sintomatici della qualità dell’integrazione.
Dapprima gli indicatori strutturali,
ovvero quei fatti e quelle circostanze che costituiscono le
precondizioni per l’integrazione e debbono essere presenti in
ogni istituto, come ad esempio il numero di alunni per classe,
il numero di docenti specializzati, l'eliminazione di
barriere architettoniche e sensopercettive e così via.
Poi gli indicatori di processo, cioè le
modalità con cui si svolge l’integrazione, come la formulazione del
Piano Educativo Individualizzato (PEI) o l’accoglienza
degli alunni con disabilità nella classe.
Infine gli indicatori di risultato, tramite
i quali fornire indicazioni sulle modalità di valutazione dei
risultati annuali di integrazione non solo sotto il profilo
degli apprendimenti formalizzati, ma anche della crescita nella
comunicazione, nella socializzazione e nell’autonomia.
In questa sede - come contributo al dibattito - intendiamo soffermarci
su alcuni dati significativi che possono portare a riflessioni
preoccupanti, omettendo altresì i risultati positivi, che pure
emergono in abbondanza dalla rilevazione.
Indicatori strutturali
Affollamento delle classi
Ciò che colpisce immediatamente è quanto emerge riguardo
all’affollamento delle classi. Infatti l’8% delle classi
statali ha 25 alunni di cui però due con disabilità e il 5,3%
delle scuole statali (il 13% di quelle non statali) ha classi con più
di 25 alunni e più di un alunno con disabilità.
Sono dati preoccupanti che lo diventano ancor di più alla luce della
Circolare Ministeriale 19/07
che ha consentito di raggiungere il numero di 27 alunni di cui uno con
disabilità e di 22 alunni di cui più di uno con disabilità, senza
l’obbligo di sdoppiamento delle classi [sulla materia è
intervenuta per altro anche una Sentenza del TAR del Lazio, della
quale il nostro sito si è occupato. Il testo è disponibile cliccando
qui, N.d.R.].
In queste classi, quindi, questo indicatore strutturale denuncia
la mancanza di un presupposto fondamentale per la
qualità dell’integrazione.
Preparazione
specifica dei docenti curricolari
Altro indicatore che fa molto riflettere riguarda la
percentuale di docenti curricolari con una preparazione specifica
(specializzazione o formazione). Fra gli
istituti statali solo il 30% circa ha dei docenti curricolari formati,
in misura del 5% sul totale; il 21,3% ha fra il 6 e il 10% di docenti
curricolari formati e solo il 13% arriva al 20% di docenti curricolari
formati, mentre il 4,6% supera di poco tale percentuale. Ben il 31,5%,
infine, dichiara di non avere alcun docente curricolare con un
minimo di formazione specifica.
Addirittura "drammatica", poi, la situazione nelle scuole non statali,
dal momento che quasi il 68% dichiara di non avere
alcun docente curricolare formato. Inoltre, nel 50% circa degli
istituti statali e non statali nessun docente curricolare ha seguito corsi
di aggiornamento sull’integrazione negli ultimi tre anni e
solo un quarto delle scuole non statali ha il 20% dei docenti che li
abbiano frequentati, mentre per le statali la percentuale scende al
12%, senza però che si sappia l’entità del numero di docenti
curricolari che hanno frequentato tali corsi.
Si tratta di dati realmente allarmanti, poiché tanto
meno i docenti curricolari sono formati, tanto più cresce la
richiesta di ore di sostegno, sia da parte
delle famiglie che delle stesse scuole, in una situazione che vede la
Magistratura (quasi conseguentemente) concedere ore di sostegno a
singoli alunni per tutta la durata dell’orario scolastico.
Recentemente, poi, la situazione si è aggravata ulteriormente, di
fronte al taglio sostanziale delle ore di sostegno,
con il rischio di "lasciare allo sbando" moltissimi alunni con
disabilità.
Gli indicatori strutturali fin qui esaminati segnalano dunque
una qualità assai scarsa dell’integrazione scolastica,
evidenziando anche l’inutilità delle ingenti spese statali destinate
alla formazione dei docenti curricolari, se questa poi rimane, come
previsto dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro,
rimessa alla scelta facoltativa dei docenti.
Cosicché mentre in generale l’aggiornamento del personale è un fattore
formidabile di sviluppo di tutte le organizzazioni,
nella scuola esso continua a rimanere un episodio opzionale,
a tutto danno degli alunni con disabilità e con una crescente delega
dell’integrazione ai soli docenti di sostegno.
Nomina degli
insegnanti di sostegno
Per quanto poi riguarda la tempestività di nomina degli
insegnanti per le attività di sostegno, purtroppo solo nel
6,9% degli istituti statali essa avviene entro il primo mese
dall’inizio delle lezioni, mentre nel 57,9% dei casi nessun docente
viene nominato in questi termini.
Anche questi sono dati preoccupanti, poiché l’immediato contatto con
il docente per il sostegno è un fattore determinante
per un buon avvio dell’anno scolastico, specie per gli alunni
con disabilità intellettiva.
Certo, in tali casi di ritardo è prevista la nomina di un supplente
"provvisorio in attesa dell’avente diritto", ma si tratta di un
rimedio che può diventare peggiore del male, dal momento che queste
supplenze provvisorie durano poche settimane - talora pochi giorni -
creando spesso una grande confusione nella mente degli alunni che
dopo essere entrati in sintonia con un docente, di colpo
cambiano figura di riferimento, con la possibile conseguenza
del rifiuto di continuare a frequentare la scuola. Senza contare ciò
che si potrebbe dire sull’efficacia e l’utilità di tale spesa.
Continuità
didattica
La conferma
di quanto detto si ha analizzando l’indicatore della
continuità didattica. Infatti il 3,7% degli alunni delle
scuole statali cambia insegnante per il sostegno più volte
nello stesso anno; per il 38,8% i docenti vengono cambiati
ogni anno, per il 28,9% rimangono gli stessi per due anni consecutivi
e solo per il 28,6% per l’intero ciclo di studi. La
situazione è decisamente migliore nelle scuole non statali, dove nel
43,2% degli istituti gli alunni hanno l’insegnante per tutto il ciclo
e nel 44,1% per almeno due anni.
Questa situazione di discontinuità didattica,
malgrado le solenni affermazioni dell’articolo 14 della Legge
104/92 e delle norme successive, è
una sorta di "cancro" che rode da dentro la qualità stessa
dell’integrazione, poiché autodistrugge quello che annualmente
si riesce a realizzare.
Anche le recenti immissioni in ruolo attenuano assai di poco il
problema. Infatti esse non riescono ad eliminare comunque il
precariato del sostegno e in ogni caso, dopo cinque anni di
sostegno, i docenti di ruolo possono tornare su una cattedra comune.
In realtà solo un serio accordo fra il Ministero e i
Sindacati, in una visione globale della qualità, può rimuovere questa
radicale disfunzione. Da più parti è stata proposta la
costituzione di un’apposita classe di concorso per il sostegno, ma
tale soluzione distaccherebbe ulteriormente i docenti per il sostegno
dal resto dei colleghi curricolari, non impedirebbe i passaggi ai
ruoli ordinari e anzi taluni vorrebbero comunque lasciare in vita
il diritto di passaggio ad una cattedra comune dopo il quinquennio.
Occorrerebbe dunque incentivare, non economicamente, la
permanenza dei docenti di ruolo di sostegno per un maggior numero di
anni e rendere più lunghi (per almeno un intero ciclo) gli
incarichi annuali.
Assistenza per l'autonomia e la comunicazione
Passiamo ad un altro interessante indicatore strutturale, che è quello
riguardante l’assistenza per l’autonomia e la comunicazione
la quale - secondo la ricerca - è assicurata per il 19,1%
nelle scuole statali e per il 27,8% in quelle non statali.
L’assistenza igienica c'è invece nel 12,8 % degli
istituti statali e nel 6% di quelli paritari. Si tratta per altro di
dati concernenti alunni con minore autonomia, mentre da altre indagini
delle associazioni di familiari risulta che i bisogni insoddisfatti
sarebbero ben maggiori.
In ogni caso, la situazione in questo settore si è certamente
aggravata nel presente anno scolastico 2007-2008, dati i
drastici tagli imposti dal Governo alle spese del Ministero della
Pubblica Istruzione e degli Enti locali, rispettivamente competenti
per la fornitura di collaboratori e collaboratrici scolastiche per
l’assistenza igienica da una parte, per l’autonomia e la comunicazione
dall'altra.
Inoltre, riguardo all'assistenza igienica, la
situazione si può talora definire drammatica, dal momento che,
nonostante la Nota Ministeriale Protocollo
3390/01 e il Contratto Collettivo
Nazionale di Lavoro del 2003 (articoli 47 e 48 e Allegato A), alcuni
sindacati autonomi spingono i collaboratori scolastici a non
prestare tale assistenza, pur essendo previsto per tale
mansione un compenso aggiuntivo che è anche pensionabile.
Quanto alla formazione dei collaboratori scolastici,
ben il 55,1% delle scuole statali dichiara di avere almeno un
collaboratore formato e l’11,4% li ha tutti formati in base a corsi
specifici. Per converso il 44,9% e la quasi totalità delle scuole
paritarie non hanno personale preparato.
Da segnalare qui che la ricerca dell'INVALSI non affronta il
delicatissimo problema del genere, poiché non sempre nella
stessa scuola si trovano almeno un uomo e una donna preparati per
svolgere questo compito.
Formazione dei
dirigenti scolastici
Un altro significativo indicatore verte poi sulla formazione
dei dirigenti scolastici rispetto all’integrazione. Circa il
25% ha un titolo di specializzazione e ha frequentato corsi di
formazione, mentre un altro 25% non ha nulla di tutto ciò.
Questo può forse spiegare anche alcuni casi eclatanti di
esclusione dal diritto alla qualità dell’integrazione,
addebitabili a dirigenti scolastici per i quali il Ministero dovrebbe
obbligatoriamente prevedere una specifica formazione
giuridico-organizzativa in materia.
Barriere
architettoniche
Ultima, ma non ultima, la presenza di barriere architettoniche,
rispetto alle quali ben il 38,1% delle scuole statali e il 26,6% di
quelle non statali dichiarano di non avere bagni accessibili.
Inoltre circa un terzo degli istituti statali e oltre la metà di
quelli paritari non rispondono alla domanda riguardante la presenza di
ascensori, servoscala o montacarichi.
Questi dati, di per sé assai preoccupanti, sono comunque meno
allarmanti di quelli effettivamente riscontrati da ricerche
specifiche su singoli territori, effettuate da associazioni come Cittadinanzattiva.
Indicatori di processo
Gruppi di Lavoro di Istituto
Il Rapporto dell'INVALSI
non dice in quante scuole siano stati istituiti i Gruppi di
Lavoro di Istituto, strutture assai importanti per
gli orientamenti interistituzionali da fornire agli organi
collegiali e al dirigente di ogni scuola, composti da rappresentanti
delle famiglie e operatori scolastici e sociosanitari).
Viene però evidenziato che solo nel 52% delle scuole statali e nel 18%
delle non statali tale organismo funziona regolarmente.
Diagnosi funzionale
Altro indicatore
fondamentale per la corretta lettura dei bisogni e la
personalizzazione puntuale del Piano Educativo Individualizzato
(PEI) è la diagnosi funzionale.
Orbene, quasi la totalità delle scuole lamenta l’incompletezza
di indicazioni significative che dovrebbero essere rilasciate
per legge dalle Aziende Sanitarie Locali. Addirittura l’8% delle
scuole statali e il 14% di quelle paritarie dichiara di non ricevere
tale documento.
Quale possa essere la qualità dell’integrazione scolastica specie
in questi casi risulta pleonastico chiederselo, ma anche nei casi in
cui la diagnosi funzionale viene consegnata, la tempestività del
rilascio concomitante alla scadenza della data delle iscrizioni (mese
di gennaio dell’anno precedente la frequenza) riguarda solo il 37%
delle scuole statali; ben il 43% riceve la diagnosi appena entro
maggio, cioè in tempo utile per formulare la richiesta di sostegno in
organico di fatto e di risorse agli Enti Locali. Circa un quinto delle
scuole statali riceve poi il documento oltre tale data
e quindi la richiesta di risorse per il PEI diviene
del tutto problematica.
Coralità di
formulazione del PEI
Quanto alla coralità di formulazione del citato PEI - richiesta
dall’articolo 12, comma 5 della Legge
104/92 (vi dovrebbero partecipare
tutti gli insegnanti, gli operatori sociosanitari che
seguono il caso e i genitori) - solo nel 13% delle scuole
statali la legge è rispettata. In quasi un terzo di esse, invece, il
PEI è redatto dai soli docenti del Consiglio di Classe
e nel 9% addirittura dal solo docente per il sostegno.
Confrontando per altro tali dati con quelli relativi alla formazione
specifica dei docenti curricolari, si rafforza il sospetto che
anche nei molti casi in cui viene dichiarata la partecipazione attiva
dei docenti curricolari, in verità questi si limitino a
ratificare quanto predisposto dal docente per il sostegno.
Indicatori di risultato
Modalità di valutazione
Passiamo infine alle modalità di
valutazione e ai risultati. In questo caso il 40% circa degli
istituti usa esclusivamente prove differenziate,
mentre il 30% le affianca ad altre prove.
Riguardo poi ai risultati, emerge che nel 46,4% degli istituti gli
alunni con disabilità vengono promossi; nel 4,4% dei casi, però,
essi non conseguono il diploma di licenza media, un fatto,
quest'ultimo, che deve fare riflettere, poiché è ancora assai presente
la convinzione che se tali alunni non sanno leggere, scrivere e "far
di conto", non possono conseguire il diploma, ma solo un
attestato di frequenza; al contrario, però, l’articolo 16,
comma 2 della Legge
104/92 indica che la valutazione deve
registrare il «progresso» realizzato rispetto «ai livelli di
apprendimento iniziali», predisposti secondo un Piano Educativo
Individualizzato che sia calibrato sulle effettive capacità e
potenzialità degli alunni.
Tutto ciò potrebbe anche aggravarsi nel prossimo anno
scolastico, quando si applicherà la norma che reintroduce
il giudizio di ammissione agli esami. In tal caso,
infatti, se gli alunni non venissero ammessi agli esami, non
potrebbero neppure conseguire l’attestato, rilasciato solo dalla
commissione di esami, che è titolo idoneo per l’iscrizione alle scuole
secondarie di secondo grado.
Autovalutazione della
qualità
Quanto all’autovalutazione
della qualità realizzata nelle scuole - svolta dai Gruppi di
Lavoro d'Istituto - essa è ancora assai poco diffusa,
essendo effettuata solo nel 53,3% delle scuole statali e nel 32,4% di
quelle paritarie.
Inoltre, circa i possibili livelli di tale autovalutazione, i
risultati sono poco lusinghieri. Infatti,
considerando ottimale la situazione di quegli istituti che adottano l’autovalutazione
operata dal GLH (Gruppo di Lavoro Handicap) d'Istituto, anche sui
singoli casi e ad opera del Collegio dei Docenti, si osserva che essa
è presente solo in un quarto delle scuole statali, mentre è
totalmente assente in un altro 25%, risultando realizzata solo da uno
o due degli organismi citati nel restante 50%.
Autovalutazione delle
risorse umane
Passando poi
all’autovalutazione delle risorse umane da parte
delle scuole statali, queste risultano adeguate solo nel 15% dei casi,
appena sufficienti nel 33,4% e scarse per il 50% circa.
Migliore è la valutazione in ambito di scuole paritarie.
A questo proposito c’è da chiedersi quanto influisca su questo la
consapevolezza dei forti tagli alle scuole statali e
l’incremento dei finanziamenti agli istituti non statali.
Strumenti e
attrezzature
E ancora,
riguardo alla presenza di strumenti ed attrezzature, questi ultimi
vengono considerati adeguati solo per il 14,3% delle scuole statali,
appena sufficienti per il 33% e scarsi per il 50% o poco meno.
Si tratta di un settore in cui la tecnologia può certamente
giovare molto, ma i tagli alla spesa pubblica creano
gravi ostacoli.
Strategie impiegate
per l'integrazione
Per quanto concerne le strategie impiegate per l’integrazione, è
preoccupante che il 48,6% delle scuole parli di disabilità
nell'affrontare casi di disagio e difficoltà comportamentali.
Anche questa è una riprova dell’inadeguata formazione e
aggiornamento dei docenti curricolari circa le problematiche
della diversità che crescono sempre di più nella scuola.
Percezione dei
cambiamenti nella didattica
Molto
importante, infine, è la percezione dei cambiamenti nella didattica
verificatisi a seguito dell’integrazione scolastica. Le scuole statali
dichiarano per il 45,7% che è cambiata l’impostazione
della tradizionale lezione frontale, quelle non statali per
il 31,8%.
Modifiche complessivamente interessanti sono segnalate poi dal 26%
degli istituti statali e dal 28,9% di quelli non statali. Non è invece
cambiato nulla secondo il 25,6% delle scuole statali e per il 33% di
quelle paritarie.
Quest'ultimo ci sembra un dato assai preoccupante,
perché ad oltre trentasei anni dalla Legge
118/71, che avviò in Italia
il processo d’integrazione, oltre un quarto delle scuole primarie
italiane non sembrano ancora averne tratto alcun vantaggio,
continuando dunque ad occuparsene in modo routinario,
burocratico e privo di qualità.
Conclusioni
In conclusione,
il quadro che ci presenta questa importante ricerca dell'INVALSI, se
ci rassicura circa l’incidenza positiva avuta
dall’integrazione scolastica nella maggioranza delle scuole italiane,
suona però un forte campanello d’allarme per quanto rimane
ancora da fare nel tentativo di rimuovere inadeguatezze,
superficialità e incongruenze del sistema nel suo complesso.
Ormai nessuno può più dire che ancora non abbiamo dati attendibili di
valutazione, né può trincerarsi dietro rinvii per conoscere meglio la
situazione. La situazione è sufficientemente chiara nelle sue
luci, che pur ci sono e nelle sue ombre, che restano
tante e alle quali ancora non viene posta dai responsabili la
dovuta attenzione, malgrado le insistenti sollecitazioni delle
associazioni e in particolar modo di quelle aderenti alla FISH
(Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
In tal senso ci sembra indispensabile che entro un triennio venga
attuata una nuova rilevazione ufficiale, per verificare se nel
frattempo la classe politica abbia tenuto conto dei problemi qui
sollevati, cercando di porre ad essi i dovuti rimedi.
* Vicepresidente
nazionale della FISH (Federazione Italiana per il Superamento
dell'Handicap).