L'insostenibile leggerezza di Marco Lodoli.

Alessandro Salerno da DocentINclasse, 22/11/2007

 

Marco Lodoli è un insegnante di non so quale istituto tecnico o professionale della periferia romana. Ha scritto poesie, racconti, qualche romanzo. Inoltre, di tanto in tanto interviene su Repubblica in veste di insegnante di frontiera. Devo riconoscergli un merito: è uno dei pochi che riesca a farmi esasperare riga dopo riga, parola dopo parola nei suoi fatui interventi. Lo ignorerei volentieri per non guastarmi le giornate, se non fosse per il fatto che è uno dei pochi insegnanti italiani a godere di uno spazio pubblico così importante per far sentire la propria voce e che quindi espone tutta la categoria al rischio di essere identificata con le sue posizioni da parte di chi legge i giornali. Necessita quindi di un'azione di contrasto, almeno a futura memoria.

Gli articoli di Lodoli trasudano sociologismo e pedagogismo spiccioli da tutte le sillabe; egli si ritrae sempre impegnato in dibattiti con la classe, in discussioni con gli alunni intorno all'ultimo fatto di cronaca o all'ultima tendenza giovanile da contrastare, mai che facessero una sacrosanta lezione su un sonetto di Petrarca o sulla lingua di Fenoglio. Eppure il Lodoli è un insegnante di lettere.
L'ultimo articolo del suddetto si intitola "Quando gli studenti ci danno una lezione" e tratta di consumismo e desiderio. La quasi totalità del pezzo è occupata dall'argomentazione di Manolo, un alunno lodoliano, salito in cattedra a spiegare al professore e a tutta la classe che il consumismo è fondamentale per l'economia, che l'economia gira solo per via dei desideri di merci, anche le più futili e vacue, desideri che tutto il sistema ci impone di provare e di realizzare, altrimenti la macchina si arresterebbe e tutto andrebbe peggio in quanto non ci sarebbe benessere. In questo sistema i professori sono degli sfigati, perché non hanno molto da spendere e questo l'hanno capito benissimo gli alunni e anche gli adulti che contano.

Di fronte a questa filosofia non molto originale, che potremmo definire manolismo (l'alunno Manolo è definito alunno-filosofo nell'articolo) il professore Lodoli rimane sbalordito, parla di giornata d'oro in cui si assiste a una rivelazione e rimane a bocca aperta. A me invece cadono le braccia, non per il manolismo, chiaramente, ma per il lodolismo. Al posto di Lodoli avrei obiettato all'alunno che in paesi economicamente equiparabili all'Italia e altrettanto forsennatamente consumisti come la Spagna, ad esempio, i docenti non se la passano così male, guadagnando praticamente il doppio di un pari grado italiano. Avrei detto che se potessi avere mille euro (in più) al mese, una buona parte li reinvestirei in cultura: libri, teatro, film, musei. Anche questo è consumo e anche questo fa girare l'economia. Ma forse questo tipo di spese favorisce anche un progresso globale di tutta la società. Se invece il desiderio è orientato al consumo di droga e merci vacue, chi ci guadagna e chi ci perde?

A quanto pare, secondo il lodolismo, tutti gli insegnanti predicano invece una battaglia contro il desiderio e invitano gli alunni a estirparlo. Ai manolisti ciò sembra giustamente del tutto insensato oltre che controproducente: un epicureismo di massa sarebbe la fine della civiltà e del benessere. Veramente Manolo nella sua tesi parla di francescanesimo di massa, ma chiaramente Manolo ignora l'esistenza di Epicuro (che sarebbe l'esempio più calzante) e prende come modello Francesco, errando, perché in Francesco non c'è l'estinzione del desiderio ma una radicale sublimazione, tipica di tutti gli spiriti religiosi. Il punto però non è tanto l'ignoranza di Manolo, giustificabilissima visti gli insegnanti che si ritrova (a quanto pare di capire dall'articolo, si badi bene), ma quella di Lodoli. Ma è mai possibile che egli si ritrovi disarmato di fronte al manolismo? Che definisca il pensiero del suo alunno "intuizione sbalorditiva"? L'uomo è desiderio, non c'è dubbio. Il problema è verso quale oggetto si appunta questo desiderio! Più basso è l'oggetto, più è a buon mercato. Se il desiderio è solo un corpo, una cosa, è più facile da smerciare.

Se il desiderio è un filino più elevato, occorre più fatica, più impegno per realizzarlo. Gli antichi filosofi parlavano di "Sofia" come di una donna irraggiungibile, per cui si può essere sempre solo filo-sofi e mai possederla. Gli spiriti religiosi dicono che il cuore dell'uomo ha un desiderio infinito che può essere colmato solo da un oggetto infinito. Oggi, certo, per lo più, il desiderio è desiderio di una merce e l'infinito è ridotto a coazione a ripetere. Ma non è forse questa la strada che porta alla fine della civiltà per gli enormi problemi sociali ed ecologici che determina? Apocalittico? Forse. Ma Lodoli è (o gioca ad apparire) troppo integrato. Che il desiderio di massa oggi si rivolga alla droga, al sesso o alle merci vacue dipende forse dai tanti Manolo? Secondo me dipende (anche) dai tanti Lodoli, che non hanno più nulla da dire, che rimangono disarmati di fronte a un qualunque Manolo, che si percepiscono come sconfitti, che hanno tradito la propria disciplina, la propria professione, che non ne rivendicano la dignità, che non lottano per essa. Effettivamente, se il mondo è fatto anche per Lodoli come dice Manolo e se Lodoli non ha nulla da dire e rimane a bocca aperta, che ci sta a fare in cattedra? Può benissimo limitarsi a imbrattare giornali, preferibilmente senza toccare l'argomento scuola. Se invece vuole rimanere in cattedra, faccia cultura e la trasmetta, lasci perdere i dibattiti sul consumismo, e spalanchi le porte ai tesori della letteratura italiana. Se ama la sua disciplina e la sua professione deve volare alto, più la situazione in cui si trova ad insegnare è degradata e più deve volare. Il desiderio, infatti, si lascia afferrare dal fascino, perché l'uomo ama la bellezza e la sa riconoscere quando brilla veramente. Tutto il resto è chiacchiera. A troppo buon mercato.

 

Quando gli studenti ci danno una lezione. M. Lodoli, la Repubblica 21/11/2007.