Bulli e pupe.

Pasquale Almirante, da DocentINclasse, 3/11/2007

 

Bulli, pupe e paparazzi, la scuola è specchio della società e se le liti e le volgarità televisive fanno audience, come le prevaricazioni e l’impiccagione delle regole e della legalità, il giorno appresso ci sarà sempre qualcuno che li sperimenta in classe come i vandalismi delle bande in giro per i centri urbani. Allo stesso modo il più stantio provincialismo nostrano si balocca di ricorrenze come Holloween che poi gruppi di insegnanti regolarmente trascinano in classe, dimenticando, tacciandola di arcaismo, la struggente poesia che ha contraddistinto la nostra cultura intorno alla commemorazione dei morti.

Tuttavia fino a quando l’istruzione sarà tenuta affare secondario rispetto agli interessi dei governi la scuola non potrà fare altro che assorbire questa società e mai proporre modelli condivisi di più civile convivenza. E ne è prova la faciloneria con cui si cerca di porre rimedi da parte del Ministero alla cosiddetta mancanza di serietà e di rigore con proclami che alla fine generano solo confusione e nulla di certo stabiliscono; e ne è prova ancora l’ultimo concorso ordinario a preside che è stato sanato in modo raffazzonato con un decreto che molti giudicano immorale e non solo per la sua gestione ma soprattutto perché alcune (poche, molte?) scuole saranno affidate a dirigenti impreparati e insulsi che poi dovrebbero pure giudicare l’operato dei professori e che dovrebbero segnare la rotta dei loro istituti e dirigere con sapienza.

Ma ancora più preoccupante appare la proposta, seppure legittima e importantissima, di premiare il merito se le premesse dovessero rimanere le stesse. Finora non si è capito infatti come e con quali strumenti lo si voglia fare mentre molti temono che punteggio preferenziale possa essere la gestione di progetti o di incarichi vari, tralasciando il prezioso lavoro in classe o quello non quantificabile svolto a casa a preparare le lezioni o ad aggiornarsi. Il rischio dunque è serio e il colpo di mano, come ormai è costume, possibile anche perché ci si chiede quali strumenti e quale serietà avrebbero i papabili a giudicare? Bisognerebbe allora trovare una pratica possibile di applicazione che è questione non di poco se si vuole dare dignità all’istituto della meritocrazia. Ma siccome la scuola è prodotto della società degli uomini per mutare la scuola occorre mutare la società e quindi chi la dirige che nel caso specifico sono stati finora governi senza un obiettivo e senza una strategia complessiva per l’istruzione tanto che si aspetta sempre, ma con sempre più pessimismo, una riforma rigorosa e seria della scuola. Allora se sono gli uomini a modificare l’ambiente sociale occorre modificare gli uomini e quindi chi li educa che nel caso specifico sono i maestri, gli insegnanti che però sono tenuti marginali e lontani da qualsiasi motivazione e da qualsiasi possibilità di poterlo fare, come dimostra l’ultima burla del contratto di lavoro e una appiattente equiparazione stipendiale disincentivante.

E allora, chi educa l’altro educatore che in questo caso è il governo? Ma questa nostra è pure la società della casta, quella ormai famosa del libro, e ad essa tenta di uniformarsi pure la scuola, ma a danno della istruzione e della formazione dei ragazzi attraverso la gestione dei fondi comunitari che talune funzioni strumentali utilizzano col beneplacito dei presidi cui spetta una quota parte. Una casta che sfrutta le desolanti condizioni dei docenti per elargire qualche incarico e diffondere nello stesso tempo un clima di sospetto tra i professori, così come accade nella assegnazione degli appalti e nella designazione delle consulenze governative. Se dunque il merito dovesse essere assegnato in base a questi parametri non ci si potrà attendere miglioramenti qualitativi importanti della scuola nonostante molte vestali si straccino le vesti di fronte alla crescente impreparazione dei giovani e alla sempre più palese avanzata di bulli, pupe e paparzzi.