E la scuola scopre esaurimenti e depressioni

Troppo stress, via dal lavoro
il male oscuro dei professori.

Come tutte le helping profession, i mestieri ad alta densità
relazionale e emotiva, anche questo è ad alto tasso di rischio
I primi sintomi del disagio, dicono gli studi,
sono aggressività, senso di persecuzione, irascibilità
I prof "bruciati" si notano: sono gli abitatori più taciturni,
i solitari dei corridoi, quelli che non sorridono mai
Sono ormai centinaia i casi di docenti
che lasciano l'insegnamento perché si sentono sotto scacco

Michele Smargiassi la Repubblica, 28/3/2007

 

MILANO - Anche in Arcadia ti puoi bruciare l'anima. Trent'anni fa, quel trasferimento alle scuole elementari Arcadia, periferia sud di Milano, dopo quattro anni di «servizio militare» a Garbagnate, alla maestra Anna sembrò una promozione in paradiso. Non avrebbe mai e poi mai immaginato che quella scuolina modello, quell'eden montessoriano di alberi e musica, quel giardino incantato sarebbe stato il suo orto del Getsemani, il luogo della solitudine, dello sconforto, della paura. «Eccomi», si presenta, «sono la maestra flambé». Non sembra. Anna Di Gennaro è una bella signora di 54 anni, «da ragazzina volevo fare la hostess», sorriso radioso, voce squillante, tutt'altro che la maschera della depressione, «ma doveva vedermi qualche anno fa». Anna ha lasciato la scuola dopo 27 anni di servizio. È una tra le centinaia di insegnanti burnout, scottati, bruciati, inceneriti in cattedra, e per questo esonerati dal lavoro. Piccola frazione dei 738.440 docenti italiani, ma punta d'iceberg di un malessere taciuto e diffuso che va dal puro e semplice stress all'esaurimento e alla depressione. «Sono una di quelle che se n'è accorta prima di fare del male a me stessa e ai bambini». C'è chi non se ne accorge? Sorride ancora: «Faccia un giro nelle scuole. Li vedrà da solo».

Si notano, i prof bruciati. Sono gli abitatori più taciturni di quei luoghi inospitali, metà guardaroba metà sala d'aspetto, che sono le sale insegnanti, «luogo di teste grigie e tossi secche» per il professore-scrittore Marco Lodoli; sono i solitari dei corridoi, quelli che non sorridono mai. Un imbarazzo per i colleghi. Bersaglio per gli studenti, motivo di lamentela per i genitori, quindi grana per i presidi: un dirigente scolastico su due, dice un'indagine Iard, ha dovuto almeno una volta nella carriera affrontare il problema di un insegnante "scoppiato", senza sapere come comportarsi. Consiglio standard: «Si prenda un po' di riposo». Rimedio estremo: il trasferimento in biblioteca. «Le biblioteche scolastiche d'Italia stanno diventando psicoteche», ha scritto Vittorio Lodolo D'Oria, medico, da quindici anni nella commissione dell'Asl milanese che giudica i casi più gravi di panico da cattedra, e s'è ovviamente tirato addosso l'indignazione dei bibliotecari. «Ma è la verità: la sindrome da burnout è un problema drammatico nella scuola, è oggetto di migliaia di pubblicazioni internazionali, però si preferisce nasconderlo».

Non viene in mente l'insegnamento, quando si pensa ai mestieri usuranti. Invece, come tutte le helping profession, i mestieri ad elevata intensità relazionale ed emotiva, è ad altissimo rischio, anzi il più alto, più ancora degli infermieri. E non da oggi. Nel 1979 quelli della Cisl di Pavia cercavano notizie sulle malattie professionali degli insegnanti. Immaginavano laringiti e cose del genere. Rimasero allibiti quando l'inchiesta rivelò che il 29 per cento dei docenti faceva uso di psicofarmaci, in anni in cui farseli prescrivere era quasi impossibile. I primi sintomi del disagio, dicono gli studi scientifici sul burnout, sono aggressività, spesso sfogata sugli alunni più deboli, senso di persecuzione, irascibilità, malesseri fisici inspiegabili. Il detonatore della crisi interiore spesso è la gita, il momento più stressante della vita scolastica, dove il sovraccarico di responsabilità è fortissimo. Ma il caso esplode nella comunità della scuola solo dopo un "fattaccio". E allora è troppo tardi, è già guerra civile: "processi di piazza" in collegio docenti, sindacati che accorrono in difesa del docente "emarginato", genitori indignati, lettere ai giornali, caos.

Per questo, quando l'anima fa crac, nessuno osa chiedere aiuto. «È la vergogna che ti trattiene, fa velo perfino a te stessa», riprende il suo racconto la maestra Anna. Quando cominciarono quelle ansie notturne, quel mal di schiena che nessuna Tac riusciva a spiegare, lei non pensava fosse colpa del mestiere. «Sognavo spesso di affogare: eppure sono un'ottima nuotatrice». E anche una brava maestra. Ma la scuolina modello, dopo vent'anni, non era più la stessa. Giostra di direttori didattici, la novità del tempo pieno, «i bambini sempre più stanchi». L'inserimento di una bimba agitata, che mordeva, con insegnante d'appoggio solo per dodici ore alla settimana, le classi sempre più numerose, infine l'arrivo del campo nomadi e di due piccoli rom in classe, «piccoli si fa per dire, uno aveva dodici anni, minacciava i compagni coi chiodi e raccontava storie terribili, e davanti a tutto questo c'ero solo io, sempre solo io». Il primo attacco di panico, un giorno, «stavo scrivendo alla lavagna: oddìo, e se mentre sono girata si accoltellano?». Da lì in poi, un piano inclinato. «Non dormivo più, passavo pomeriggi sdraiata sul divano, mi dopavo come un ciclista, facevo colazione col Voltaren. Tornare a scuola mi faceva sempre più paura. La ragazzina agitata aveva davvero morso una compagna, a sangue: i genitori della vittima le cambiarono scuola, per me fu una débacle. Mi guardavo allo specchio: non sorridevo più. Il direttore mi diceva: stringi i denti e vai avanti, ma non avevo più benzina».

Due bambini difficili, incomprensioni coi colleghi, dovebbero essere pane quotidiano del docente: basta così poco per scoppiare? «Questa domanda è figlia dello stereotipo dell'insegnante dalla vita facile, pomeriggi liberi e tre mesi di ferie», reagisce il dottor Lodolo, «perché dovrebbe essere solo un evento straordinario a far crollare un docente? È la quotidianità della scuola che logora, oggi più che mai, nella scuola dei video e dei bulli, e chi non lo capisce per tempo magari lo avrà davvero, l'evento straordinario, la lingua tagliata o l'alunno defenestrato». In un libro dal titolo provocatorio, Scuola di follia, ha raccolto decine di storie di insegnanti che esplodono, oppure bruciano a fuoco lento. Ma ancora più preoccupanti sono le email dei docenti "normali" che piovono ogni giorno sui siti Internet che offrono un po' di consulenza. Storie che si somigliano tutte nella loro apparente ordinarietà. Elvira: «C'è troppo rumore in classe, non reggo più, mi sento un treno a cui hanno tolto la motrice». Anonima: «Cerco la mia classe, non riesco a entrare, faccio il corridoio almeno quattro volte». Antonio: «Sento addosso lo sguardo di trenta paia d'occhi che aspettano il minimo errore». Pia: «Stanchezza insormontabile, voglia di piangere, convinzione di non essere all'altezza».

Eppure la scuola non logora tutti allo stesso modo. Gli "scoppiati" sono una minoranza. Maestra Anna, come fanno gli altri? «Quando sei più giovane resisti meglio». Ma l'età media dei docenti italiani è 51,1 anni, e solo lo 0,6 per cento ne ha meno di 35. «Molti si rifugiano nell'apatia, burocratizzano il lavoro. Pensano: per quello che mi pagano...». Ma danni rischiano di farne lo stesso. E l'istituzione è disarmata. «Bisogna cominciare a pensare che lo stress del docente più che un effetto è la base del mestiere», spiega Giorgio Blandino, docente di psicologia a Torino, autore di studi sull'universo relazionale della scuola, «ma gli insegnanti non sono attrezzati a gestire l'enorme impatto emotivo implicito nel loro lavoro. Nessuna riforma della scuola riuscirà se non prevede la formazione della mente dell'insegnante». Il divanetto dell'analista in ogni istituto? Il disinteresse rischia di ribaltarsi in ossessione, lo scorso dicembre quattro presidi di Rivoli sono stati multati dall'Asl (per migliaia di euro) per non aver predisposto nelle loro scuole misure di prevenzione del disagio docente.

Alla fine la maestra Anna è stata dispensata dal lavoro. È andata in pensione col 75 per cento. La commissione medica le ha riconosciuto l'inidoneità. È ufficialmente una «bruciata». I maligni diranno che ce l'ha fatta a liberarsi del lavoro. «Ventisette anni di carriera quasi senza assenze per malattia, anche se sono moglie e figlia di medici. Io amavo la scuola». Del resto, gran parte degli insegnanti segnalati dai presidi alla commissione medica fanno resistenza all'allontanamento dalla cattedra. «Molti», insiste Lodolo, «accusano di mobbing i dirigenti che consigliano una visita di controllo». I sindacati li appoggiano. «Un docente che non può più insegnare non è un rifiuto sociale», scandisce Anna Grazia Stammati dei Cobas, «la scuola ha posto per loro, ci sono almeno seimila biblioteche scolastiche sguarnite». Ma per i 4.617 mila "insegnanti che non insegnano", i cosiddetti "inidonei" per motivi di salute, tra i quali una buona quota di "bruciati", sta per iniziare una battaglia all'ultimo sangue: un articolo di legge li condanna al trasferimento o al licenziamento entro il 2008. «È mobbing di Stato, ve la prendete con i più deboli». Ma la maestra Anna questo problema non ce l'ha più. E il mal di schiena, come va? «La schiena? Chi l'ha più sentita?».