Ancora per un paio d'anni farò parte della minoranza, quel 48 per cento di docenti sotto i cinquant'anni. Dopo, spero che la politica di assunzioni varata dalla Finanziaria del governo Prodi mi faccia stare sempre in una minoranza, ma di ultracinquantenni

Insegnanti senza età nella scuola postmoderna.

Giorgio Cavadi, la Repubblica di Palermo, 2/3/2/2007

 

Ancora per un paio d'anni farò parte della minoranza, quel 48 per cento di docenti sotto i cinquant'anni. Dopo, spero che la politica di assunzioni varata dalla Finanziaria del governo Prodi mi faccia stare sempre in una minoranza, ma di ultracinquantenni. Sul fatto che in Sicilia solo 338 docenti di ruolo abbiano meno di trent´anni e che in Italia essi rappresentino appena lo 0,7 per cento della categoria, si possono dire nel frattempo alcune cose. Innanzitutto che porre la questione in termini di conoscenza di computer, Internet ed mp3, per svolgere bene il nostro mestiere è una banalizzazione, di nessun valore professionale. La questione, semmai, riguarda il cuore e la mente di un insegnante. Il cuore, perché il mestiere di docente dovrebbe comportare come prima capacità (innata, appresa?) quella di suscitare emozioni, di liberare le passioni, catturare l'attenzione scardinando l'indifferenza per le cose del mondo di molti adolescenti. Certo in questo dialogo, la scuola e gli adolescenti vivono ormai in mondi assai distanti. Ma non è questione di conoscere quanta memoria ram ci sia in un computer, o cosa siano e come si scarichino mp3 o file digitali. Più semplicemente e più tragicamente, la cultura umanistica che costituisce l'asse portante dell'insegnamento in molti ordini di scuola – sicuramente, sino a tutta il ciclo della scuola primaria – diventa ogni giorno sempre più un'espressione di nicchia della società contemporanea, specie quella diffusa dai media.


Mentre i modelli e i contenuti del postmoderno ci portano altrove. A una insegnante che con l'orgoglio snob tipicamente intellettualistico mi diceva di non guardare la televisione e di ignorare il desolante mondo defilippiano dei programmi del pomeriggio, ho risposto che il nemico, per combatterlo, bisogna conoscerlo senza avere vergogna di sporcarsi le mani fra «tronisti» e vite in diretta.

In certi contesti, anche da «tronisti» e veline si può partire per suscitare il piacere della lettura di una poesia degli stilnovisti, piuttosto che di Montale. I pedagogisti la chiamano motivazione, ed è la grande assente nelle aule di molte scuole italiane. Ma non è una questione di forbice anagrafica e di saperi tecnologici. Anzi, chi dice questo non sa che in molte scuole, in contesti di disagio sociale anche non troppo elevato, i docenti non trovano risposte alle proprie sollecitazioni a usare l'informatica come strumento di apprendimento, perché in molte case un computer non entrerà ancora per molti anni. La sfida, per un docente di trenta o sessant'anni, è semmai aiutare i suoi studenti a rispondere a una semplice domanda: «A che serve studiare la storia, a che serve leggere Montale, a che mi servono 600 ore di greco nei miei cinque anni di liceo?».

Ma qui, e torniamo al nostro docente senza età, è certamente una questione di testa. Lavoro da otto anni nelle scuole di formazione per gli insegnanti, e ho incontrato legioni di futuri docenti attorno ai trent'anni, ma con la testa già «vecchia», nel senso deteriore del termine; convinti che sia sufficiente entrare in classe e parlare, parlare, spiegare e dispiegare il proprio mondo, come se fosse il migliore dei mondi possibili; insomma trasmettere il sapere in maniera univoca, raggiungendo le orecchie dei propri alunni, ma non certo per suscitare emozioni, o scatenare curiosità di alcun tipo, nella tetragona supponenza del valore in sé della cultura umanistica, salvo poi non comprendere perché i propri studenti non si appassionino a nulla che non sia prodotto dai media, in primo luogo dalla televisione.

Insomma le cose non stanno come, in maniera semplicistica e un po' volgare, sovente si tende a rappresentarle. Rimane semmai il problema di un mestiere difficile e veramente faticoso che, in certi contesti ha bisogno di una forza fisica e mentale per interagire cinque o sei ore di fila con gruppi di bambini e adolescenti che vivono in condizioni di estremo disagio socio-culturale.

Rimane la tragedia che è quella della scuola italiana, ma soprattutto quella di un'intera generazione, tra i venticinque e i trentacinque anni, che la politica scolastica del precedente governo di centrodestra ha tenuto fuori dalla scuola per alimentare quel fenomeno tutto italiano del precariato, che ha raggiunto cifre ingenti, lasciando migliaia di docenti in una condizione marginale e nell'impossibilità di costruirsi un progetto professionale e di vita.