Bertagna, ‘mente’ della riforma Moratti: «Il neocentrismo fa solo danni».

«La scuola è immobile, ma cambierà».

di Silvia Mastrantonio, Il Giorno del 31/3/2007

 

— ROMA —
IL CACCIAVITE di Fioroni ha smontato, pezzo su pezzo, la riforma della scuola targata Moratti. Ancora prima a cambiare le cose ci avevano già provato altri come, ad esempio, Berlinguer. Ma l’apparato sembra assorbire tutto senza risputare uno straccio di novità. Fino al punto di far concludere a Gaspare Barbiellini Amidei che non c’è speranza. Tutte le riforme, alla fine, muoiono. E cambiamenti sostanziali non se ne vedono mai.

E’ una prospettiva drammatica che abbiamo preso in esame con il professor Giuseppe Bertagna, direttore del centro di ateneo per la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento dell’università di Bergamo. Noto anche per essere stato la «mente» della riforma Moratti.

E’ d’accordo con Barbiellini Amidei?

«Esistono due concezioni della politica scolastica. Una usa la politica scolastica come mezzo fine a se stesso. ‘Ciò che si può fare è anche ciò che è giusto fare’. In sostanza, è una concezione che prevede l’amministrazione dell’esistente senza che ci ponga la domanda se è anche bene fare solo ciò che si può fare».

Ma c’è anche un altro modo di concepire la politica scolastica?

«Come mezzo per fare ciò che è bene fare e che si deve fare. E’ una concezione molto intrecciata con l’etica. Ora, mentre la prima idea è quella dominante, la seconda presuppone un progetto teso a migliorare, non ad amministrare. Una maniera per incidere sui rapporti di forza per modificarli. E trova spazio solo in condizioni eccezionali».

Che sarebbero?

«Nella precedente legislatura, con la Moratti, c’è stata l’illusione o è stata fatta la scelta di portare avanti la seconda opzione. Nel 2001 la nuova Costituzione permetteva di costruire un nuovo sistema di istruzione. C’era lo spazio per progettare una riforma di un certo peso. Perché è proprio la Costituzione che attribuisce alle Regioni il sistema dell’istruzione e della formazione professionale. La competenza non è dello Stato ma delle Regioni che hanno i collegamenti con il territorio, con le imprese. Un legame concreto e non un disegno astratto».

C’era lo spazio per cambiare?

«Si poteva restituire al territorio quello che il Fascismo aveva tolto. Con i cambiamenti della Costituzione si era rafforzata l’illusione che si potesse costruire un sistema di istruzione e formazione professionale di pari dignità con quello statale. Nel 2001 con la Costituzione e poi con la legge del 2003 è stato dato un enorme spazio alle Regioni. Ora regna il silenzio, sono curioso di vedere che cosa accadrà».

Eppure le proteste contro questa impostazione poggiavano proprio sulla preoccupazione di fare due sistemi, uno di serie A e uno di serie B affidato alle Regioni...

«E’ un paradosso. Oggi si fa di peggio: si dà allo Stato tutta la formazione in nome del neocentrismo. Ma voglio vedere fino a che punto si potrà andare avanti in questo modo...».

L’illusione è svanita?

«C’è stato un momento impostato su una politica scolastica pensata per migliorare, ma si è tornati all’amministrazione dell’esistente. Si va avanti con scelte che nessuno è riuscito a cambiare da cinquant’anni a questa parte».

Nelle sue parole c’è comunque speranza...

«Sono realista. La Costituzione esiste e se, a un certo punto, una Regione facesse ricorso? Penso che la partita sia ancora aperta anche se il cammino è molto più lungo di quanto era stato previsto».

E Fioroni?

«Ha ragione il ministro a dire che non c’erano spazi per fare questo salto. Con la burocrazia, l’inerzia, i sindacati».

Ma è necessario arrivare comunque a questi cambiamenti?

«L’Italia non ha giovani. Nel 2006 abbiamo avuto 500.000 bambini, la Francia 800.000. Non possiamo permetterci di non mirare al massimo di intelligenza possibile per ogni bambino. Non possiamo permetterci il lusso di sopravvivere con vecchie logiche. Perché le Regioni non devono immaginare un sistema di istruzione di pari dignità che si regga sulla collaborazione con lo Stato? Ci sono problemi che sono come il sughero, tornano a galla».

Per esempio?

«Per esempio la contrattazione nazionale per i docenti senza differenziazioni qualitative e quantitative rispetto alle funzioni. Se lavoro o non lavoro guadagno lo stesso. Un sistema di valutazione che tenga conto non solo dei voti ma anche delle competenze degli alunni. Una valutazione sulle scuole, sull’efficacia dell’apprendimento. Il tutor. Tutte cose che si riproporranno. Nei confronti della politica scolastica del precedente governo c’erano pregiudizi ideologici. Una fase di decantazione, adesso, può essere positiva ma solo se si riprende con vigore in direzione di una prospettiva».

Quindi non è d’accordo con Barbiellini Amidei...

«E’ vero quello che sostiene per descrivere quanto è accaduto ma non per ciò che avverrà. E’ stato spento l’incendio ma il fuoco resta sotto la cenere. Voltaire diceva che dobbiamo espiare la mediocrità, ma ogni tanto bisogna pensare a progettare il futuro».