Mauro Ceruti presenta martedì le linee guida della riforma.
«La sfida di un umanesimo basato anche su integrazione e tradizioni»

«Le tre i verso la pensione.
Cambierà l'istruzione fino alle medie».

 Il Corriere della Sera del 31/3/2007

 

MILANO — Cita Montaigne: «È meglio una testa ben fatta che una ben piena». Quindi anticipa il titolo della «sua» idea di scuola post-riforma- Moratti: «Neoumanesimo». Il filosofo Mauro Ceruti, 53 anni, presiede la facoltà di Scienze della Formazione a Bergamo ed è autore del libro «Educazione e globalizzazione». Dal ministro Fioroni ha ricevuto l'incarico di presiedere la commissione destinata a delineare la «cornice» entro la quale saranno elaborate le nuove indicazioni nazionali per la scuola, da quella dell'infanzia alla media inferiore. La summa del suo lavoro, un documento di una decina di pagine, sarà presentata martedì a Roma dallo stesso ministro.

«Neoumanesimo», vuole dire che si cambia direzione rispetto alle parole d'ordine (inglese, impresa e informatica) dell'ex ministro Moratti?

«Per neoumanesimo intendo un modello che pone alla base della scuola i grandi temi di apprendimento e non le diverse tecniche e tecnologie. Sia chiaro: l'inglese e la matematica sono linguaggi di base che continueranno ad essere insegnati. Quello che conta però non sono le competenze specialistiche frammentate».

Cosa mette allora al centro della sua filosofia della scuola?

«Oggi il 90% delle cose che un bambino sa, viene appresa fuori dalle aule. Nella trasmissione del sapere la scuola deve pertanto dare un senso alla varietà delle sue esperienze, fare da filtro interpretativo e offrire una bussola per orientarsi. Al centro di tutto c'è però sempre la singolarità di ogni bambino».

E com'è il bambino di oggi?

«Gioca con un dinosauro di gomma, poi interagisce con un videogame dallo scenario futuribile e, ancora, legge Pinocchio. Spesso sa usare il computer meglio dell'insegnante, ma non ha quasi mai la capacità di collocare le sue tante esperienze in una visione coerente. L'insegnamento deve trasmettere saperi ma anche la capacità di organizzarli in quadri d'insieme».

Oggi sui banchi di scuola ci sono sempre più bambini stranieri. Come il «suo» modello della scuola affronta il problema dell'integrazione?

«La scuola è nata con lo Stato italiano. "Fatta l'Italia, dobbiamo fare gli italiani", è stato per anni il motto.

Così che i cittadini italiani si sono formati sotto la spinta di una fortissima omologazione. Oggi però l'integrazione passa attraverso la valorizzazione della diversità. Ad esempio insegnando in aula (e non in ore separate) la lingua e la storia degli alunni stranieri, cogliendo la loro presenza come opportunità di scambio culturale. Allo stesso tempo penso però anche a un recupero della nostra tradizione».

Recupero dei nostri dialetti e del nostro folklore?

«Perché no? Il loro studio è importante sia dal punto di vista cognitivo sia da quello dell'esperienza».

Bullismo, genitori che picchiano i presidi. Cosa sta succedendo?

«La scuola deve perseguire l'obiettivo di costruire un'alleanza educativa con i genitori, oggi, ma anche al di là dei momenti critici. E questo lo può fare attraverso gli strumenti forniti dall'autonomia scolastica, la cui acquisizione resta un momento decisivo per le istituzioni».

E nel concreto questo come si traduce? In una dichiarazione di fallimento degli organi collegiali?

«Oggi la scuola non è più al centro dei progetti di costruzione della società e deve trovare un nuovo filtro interpretativo. Bisogna inventare luoghi più formalizzati per favorire l'incontro tra la scuola e il territorio».