Il Rapporto Annuale 2006 registra i tanti passi
in avanti del sistema Paese
a partire dall'aumento dell'occupazione e della produzione
industriale.
Ritardi nei confronti della Ue.
Istat, in Italia decolla la ripresa
ma il Mezzogiorno è sempre più indietro.
Il 15% delle famiglie continua ad avere forti
difficoltà ad arrivare a fine mese. Biggeri: "Perché la crescita si
stabilizzi, devono aumentare i consumi e i redditi delle famiglie"
Rosaria Amato, la Repubblica
23/5/2007
ROMA - Dopo la
stagnazione rilevata l'anno scorso, "la ripresa per l'Italia è
arrivata, ma un po' tarda e un po' più lenta di quella europea". Il
Rapporto Istat di quest'anno fotografa l'Italia che riparte: registra
i tanti passi in avanti compiuti dal sistema Paese,
l'aumento del Pil,
della produzione industriale che si sono tradotti in un consistente
aumento dei posti di lavoro, ma rileva anche i persistenti
ritardi rispetto alla media e ai principali Paesi dell'Unione Europea,
e i perenni dualismi che la ripresa non cancella. A cominciare da
quello tra Nord e Sud, che continua a spaccare il Paese in due parti
che in comune hanno ben poco. E poi quello tra le imprese "di
sopravvivenza" (un terzo del totale) e quelle che innovano e che
operano con disinvoltura nel mercato. Tra gli uomini e le donne, che
rimangono sempre marginali, soprattutto nel Mezzogiorno. "Comunque il
sistema italiano si muove - ribadisce uno dei coordinatori del
Rapporto di quest'anno, Giovanni Barbieri - ma all'interno di vincoli
che non possono non condizionarne l'evoluzione nel lungo periodo. Vi
sono parti del sistema refrattarie all'innovazione, e parti importanti
che invece reagiscono alla ripresa".
Si tratta di una ripresa destinata a "tenere"? "La tenuta e lo
sviluppo delle ripresa in atto - sostiene il presidente dell'Istat
Luigi Biggeri - si giocano, immediatamente, sugli investimenti e sui
consumi privati e, in particolare, sulla possibilità che il reddito
disponibile delle famiglie torni a crescere". Secondo Biggeri nel
quadro economico italiano "permane la vulnerabilità connessa alla
condizione della finanza pubblica, pur migliorata, e in particolare al
consistente stock di debito".
"Emerge chiaramente - suggerisce inoltre Biggeri - la necessità di
intervenire sul mercato del lavoro, nel settore delle famiglie e del
welfare, in particolare con riferimento a gruppi specifici di
popolazione che si trovano o possono trovarsi in situazioni di
disagio". Da affrontare, ancora, secondo il presidente dell'Istat,
"con molta attenzione sono i rischi sociali connessi
all'invecchiamento della popolazione".
La ripresa.
La crescita dell'1,9% registrata dal Pil nel 2006, ricorda l'Istat,
rappresenta "il ritorno allo sviluppo dopo un quadriennio di
stagnazione che, con un ritmo medio annuo d'espansione di appena lo
0,4 per cento, ha segnato la performance peggiore dal dopoguerra e,
anche, all'interno dell'Uem". Di particolare rilevanza l'espansione
nel settore industriale (+2,2 per cento, a fronte di una flessione
dell'1,8 per cento dell'anno precedente; +2,6 per cento a parità di
giorni lavorativi), dove la ripresa si staglia abbastanza netta, e
buona anche la crescita delle esportazioni. L'inflazione è rimasta
moderata perché, spiega un altro dei coordinatori del Rapporto, Gian
Paolo Oneto, "lo choc petrolifero ha inciso solo sui prezzi alla
produzione, senza trasferirsi su quelli al consumo, riducendo in parte
i profitti e grazie a una dinamica moderata del costo del lavoro".
Rimane
la distanza dalla media Ue 15.
La ripresa però, sottolinea l'Istat, non ha fatto guadagnare
all'Italia posizioni all'interno dell'Unione Europea, dal momento che
il Pil medio dell'Uem si è attestato al 2,7%. Anche la produzione
industriale nell'Uem ha segnato nel 2006 un incremento più consistente
(+4 per cento), in Germania è cresciuta del 5,8 per cento, e in Spagna
del 3,8. Il saldo primario infine è salito dallo 0,5 all'1,3 per cento
del Pil nella Ue15, mentre nel nostro Paese è sceso dallo 0,3 allo 0,1
per cento, sia pure per effetto delle uscite straordinarie.
Anche sotto il profilo dell'occupazione, che ha registrato grandi
progressi negli ultimi anni (il tasso di occupazione è cresciuto tra
il 1996 e il 2006 di quasi sette punti percentuali) l'Italia rimane a
un livello nettamente inferiore rispetto al resto dell'Europa. Infatti
nel 2006 il tasso di occupazione in Italia ha raggiunto il 58,9 per
cento, contro il 65,9 per cento dell'Ue15 e il 64,6 per cento
dell'Ue25.
Il Nord
e il Sud: le due Italie.
La ripresa non ha minimamente scalfito l'eterno dualismo Nord-Sud, che
rimane più che mai accentuato. "La divisione è quella che prevale
sempre - spiega Oneto - le situazioni migliori del Mezzogiorno tendono
a essere un po' peggiori rispetto a quelle peggiori del Nord". Sono
tanti i profili di arretratezza del Meridione. Il reddito delle
famiglie che abitano nel Mezzogiorno è pari a circa tre quarti del
reddito delle famiglie residenti al Nord. La Lombardia presenta il
reddito medio più alto (oltre 32.000 euro), la Sicilia il più basso
(quasi 21.000 euro).
L'occupazione cresce, ma non al Sud.
"Il mercato del lavoro italiano ha riflesso, nel 2006, il buon
andamento dell'attività produttiva", sottolinea l'Istat. E infatti gli
occupati sono aumentati dell'1,9 per cento, il tasso di disoccupazione
è sceso al 6,8 per cento dal 7,7 del 2005. Ma anche sotto il profilo
dell'occupazione il Sud è rimasto indietro: il tasso di occupazione
delle due ripartizioni settentrionali (Nord-Est e Nord-Ovest) nel 2005
era dell'ordine del 50-51 per cento, quello del Centro del 47 per
cento, mentre per Sud e Isole si registrava un valore vicino al 37 per
cento (i dati analoghi per il 2006 non sono ancora disponibili). Le
situazioni peggiori di sottoccupazione sono state rilevate in
Campania, Puglia, Calabria e Sicilia, mentre qualche segnale di
cambiamento si intravede soltanto nella Sardegna e in Abruzzo. Le
difficoltà del Sud probabilmente incidono anche sulla distribuzione
degli immigrati, che prediligono decisamente il Centro-Nord. "Poco
meno dei due terzi dell'occupazione straniera - si legge infatti nel
Rapporto - si concentra nel Nord, un quarto nel centro e poco più del
10 per cento nel Mezzogiorno".
L'occupazione femminile al Sud si è sviluppata pochissimo in questi
anni di crescita dei posti di lavoro in tutto il Paese: infatti il
tasso di occupazione femminile nel Mezzogiorno nel 2006 è risultato
pari a circa il 31 per cento, inferiore di oltre 15 punti percentuali
rispetto al resto del Paese. In 10 anni, dal '96 al 2006, è aumentato
di soli cinque punti percentuali, a fronte di un aumento medio di
dieci punti nel Centro-Nord: il divario nel tempo è dunque aumentato.
Il progressivo ritiro delle donne meridionali dal mercato del lavoro è
tra le cause di riduzione del tasso di disoccupazione. Anche i tassi
di occupazione giovanile al Sud sono estremamente bassi: "I giovani
che al Nord non arrivano al diploma entrano nel mercato del lavoro -
spiega Oneto - al Sud ne rimangono fuori, in una situazione di
marginalità".
Al Sud
"le imprese di sopravvivenza".
Il Sud presenta infine forti elementi di arretratezza anche sotto il
profilo delle imprese: nel Mezzogiorno si concentra infatti, spiega
Barbieri, il 43 per cento delle aziende che l'Istat definisce "di
sopravvivenza", che cioè si limitano a cercare di produrre un reddito
adeguato senza guardare a orizzonti lontani. Imprese che in Italia
sono comunque il 35 per cento del totale, pari a un milione e mezzo su
quattro milioni e due.
Aumentano le imprese innovatrici.
Sebbene l'Italia rimanga un sistema frenato dal "nanismo" ("Molte
imprese e pochi dipendenti: questa la caratteristica pirncipale del
sistema produttivo italiano, dove un lavoratore su tre è autonomo",
rileva l'Istat), nel triennio 2002-2004 la quota italiana di imprese
innovatrici registra un lieve aumento rispetto alla rilevazione
comparata precedente, raggiungendo il 35,4 per cento (la media europea
è però del 38, la media italiana precedente era del 34,6 per cento).
"Abbiamo un segmento notevole e consistente di imprese reattive -
sottolinea Barbieri - ma anche un segmento altrettanto consistente
ispirato al modello familiare, il cui obiettivo è solo quello di
ottenere un reddito adeguato". Nello 2006 è aumentata la
"specializzazione in tutti i settori del made in Italy", a cominciare
da cuoio, calzature, abbigliamento e tessile, mentre nel terziario
l'Italia risulta relativamente più qualificata nei trasporti marittimi
e terrestri, nelle attività delle poste e telecomunicazioni e nel
commercio all'ingrosso.
Produttività e costo del lavoro.
La produttività italiana si mantiene inferiore sia rispetto alla media
Ue sia rispetto ai valori delle maggiori economie, in particolare di
Germania e Regno Unito, e supera solo nei servizi quella delle imprese
spagnole. E questo nonostante il costo del lavoro in Italia sia
inferiore a quello di molti Paesi europei: con un costo del lavoro
orario di 23 euro, siamo infatti al dodicesimo posto nell'Unione
Europea, precedendo nella Ue15 solo Spagna, Grecia e Portogallo.
L'Italia presenta valori del costo del lavoro orario inferiori alla
media Ue15 in tutti i settori, a eccezione delle attività di
intermediazione finanziaria (+8,7%) e nel settore estrattivo (+2,6%).
L'Italia
paese più vecchio dopo il Giappone.
Altro forte elemento di criticità del sistema Italia è
l'invecchiamento della popolazione e l'elevato numero di pensionati:
nel 2005 sono stati rilevati 71 pensionati ogni 100 occupati. L'Italia
rimane il Paese più vecchio d'Europa, con 141 persone di 65 anni e
oltre per ogni 100 giovani con meno di 15 anni. Nel mondo ci supera
solo il Giappone (154 anziani ogni 100 giovani). Di conseguenza,
l'Italia, in confronto con gli altri Paesi dell'Ue15, impegna la quota
maggiore della ricchezza nazionale per le prestazioni e i
trasferimenti monetari a favore degli anziani; "minori risorse -
rileva l'Istat - invece sono destinate alle politiche per le famiglie,
l'occupazione e per gli interventi di contrasto all'esclusione
sociale".
La spesa
per pensioni pari al 15,2% del Pil.
Nel 2005 l'importo complessivo annuo delle prestazioni pensionistiche,
previdenziali e assistenziali erogate in Italia è stata di oltre 215
miliardi di euro, pari al 15,2 per cento del Pil (+0,2 per cento
rispetto al 2004). L'importo pensionistico è cresciuto del 3,3 per
cento rispetto ai 208 miliardi del 2004.
Il 15%
delle famiglie in difficoltà.
Nel 2005 il 14,7 per cento delle famiglie italiane ha dichiarato di
arrivare alla fine del mese con molta difficoltà. Il 28,9 per cento ha
specificato "di non aver potuto far fronte a una spesa imprevista di
importo relativamente modesto (600 euro)". Nel Mezzogiorno il 5 per
cento delle persone intervistate nel 2004 e nel 2005 ha dichiarato di
non potersi permettere un'alimentazione adeguata. Forti le disparità
nella distribuzione del reddito: le famiglie appartenenti al 20 per
cento più povero della popolazione, segnala l'Istat, percepiscono
soltanto il 7,8 per cento del reddito totale, mentre la quota del
quinto più ricco risulta cinque volte maggiore (39,1 per cento).