Esami di maturità, c’è un voto di troppo.
Quello di religione.

Marina Boscaino da l'Unità dell'8/6/2007

 

«Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Articolo 3 della Costituzione: oggi un’opzione di inguaribile romanticismo o di insanabile vetero-ottimismo? Già: in quell’idea di società che è la scuola italiana, due punti di un’ordinanza ministeriale emanata il 15 marzo 2007 dal ministro Giuseppe Fioroni in merito all’Esame di Stato sollevano dubbi sull’inconfutabilità di quell’affermazione.

«Il voto in religione contribuisce alla determinazione del credito scolastico» con cui gli studenti accedono all'Esame di Stato.

Esame di Stato, appunto. Di uno Stato che - fino a prova contraria - non è confessionale. Il 23 maggio il Tar del Lazio - cui una serie di associazioni, tra cui il Cidi, erano ricorse per chiedere la sospensiva dell'ordinanza - aveva accolto la richiesta, affermando che «l’insegnamento della religione non può contribuire in alcun modo alla formazione del credito scolastico, perché determinerebbe in via presunta una disparità di trattamento con gli studenti che non seguono l'insegnamento religioso e non usufruiscono di un'attività sostitutiva». Ricordiamo a questo proposito le sentenze della Corte Costituzionale (203/1989 e 13/1991) che hanno stabilito che gli allievi che non scelgono l'Irc non hanno alcun obbligo, né di frequentare un altro insegnamento né di essere presenti a scuola, e che solo la piena facoltatività dell'Irc permette di non considerare questo insegnamento incostituzionale.

Il Consiglio di Stato ha accolto in via provvisoria il ricorso del ministro Fioroni dopo il pronunciamento del Tar, bloccando la sospensiva dei punti dell’ordinanza ministeriale, che è quindi tornata in vigore, come è stato ribadito da una circolare del ministero del 31 maggio a tutte le scuole italiane. Un braccio di ferro davvero pericoloso, che promette di non concludersi qui. Infatti l'udienza per il pronunciamento definitivo del Tar è fissata per il 12 giugno, 8 giorni prima dell'inizio dell'Esame di Stato e a scrutini completati. Qualora la sentenza definitiva annullasse l'ordinanza ministeriale, si metterebbe in dubbio il regolare svolgimento e l'esito dell'esame, determinando una grave situazione di incertezza giuridica, con eventuale fiume di ricorsi sull'esito finale.
Il ministro Fioroni - la cui incontenibile vocazione confessionale riesce a riscuotere consensi unanimi nel centrodestra e silenzi complici (o imbarazzati) nel centrosinistra - è però certamente persona in grado di comprendere che esistono alcuni temi che, per quanto apparentemente limitati, rappresentano paradigmi di un modo di essere e di pensare per il quale non io, ma - meglio e ben più autorevolmente di me - i costituenti e generazioni di donne e uomini hanno speso energie e vita. E sui quali non c'è possibilità alcuna di negoziazione. Uno di questi è la laicità della scuola pubblica: una tutela comune - né di sinistra né di destra -, un patto di civiltà e di difesa del diritto di cittadinanza delle culture - di tutte le culture - nella scuola. E di quel principio di uguaglianza dal quale siamo partiti.

Non è la prima volta che si tenta ad aprire una breccia nella direzione contraria a questi presupposti, nonostante le sentenze della Corte Costituzionale, che afferma che «l'insegnamento della religione cattolica non deve essere in alcun modo discriminante», anche in seguito a quanto stabilito dal Nuovo Concordato dell'84. Ma ora fa più male; ed è più pericoloso. Perché - nei tristi e disorientanti rituali di quest'anno contraddittorio e deludente, tra un Family Day e un arretramento progressivo sui Pacs-Dico - l'ingerenza delle gerarchie ecclesiastiche, il peso che gli viene concesso, gli spazi che gli vengono riservati nella gestione della politica italiana hanno portato a consentire l'ingresso di parole minacciose e inquietanti per la coscienza di tutti i cittadini laici e democratici. Sono parole del passato, di un modo di intendere la scuola che abbiamo combattuto per cinque anni. Parole pericolose nella scuola, il luogo della formazione della coscienza critica e della cittadinanza; e fuori della scuola, dove i bambini e i ragazzi italiani sono sottoposti a martellanti sollecitazioni che dicono altro e che portano altrove. E dove un mondo adulto poco consapevole e molto consumatore abbocca volentieri alla lusinga di una presunta «eticità» in pillole - che è solo basso moralismo - individuata da quelle parole; e così si salva l'anima; o, almeno, si illude di farlo.

Una parola chiave - che rispunta periodicamente - è, ad esempio, «identità»: ricordiamo la netta opposizione in Europa alla richiesta di Giovanni Paolo II di far inserire il concetto di «identità cristiana» nella Costituzione europea. L'allentamento della vigilanza su un terreno fertile come quello della scuola pubblica, combinandosi con l'alleanza cattolica trasversale ai partiti politici, potrebbe avere come esito l'allargamento di maglie nell'impianto neutrale e relativista che la Costituzione ha affidato alla pubblica istruzione. Disorienta poi l'enfasi che - in tanti documenti e dichiarazioni sulla scuola - si pone sulla «centralità della persona». Un'espressione che ha perso il proprio positivo significato letterale, assecondando la tendenza a valutare la persona come individualità predeterminata in senso cristiano. Sulla quale, dunque, qualunque intenzionalità educativa della scuola perderebbe la propria efficacia, immobilizzando la persona in una stasi impermeabile che configura quel percorso di scuola a domanda individuale in cui i bravi - che normalmente sono ricchi - diventano più bravi; e i non bravi - la cui inadeguatezza è molto spesso la concretizzazione delle condizioni socio-economico-culturali di partenza - rimangono tenacemente ancorati a quel destino marchiato a lettere di fuoco nel loro Dna.

La scuola, invece, dovrebbe essere terreno di crescita, di emancipazione, di miglioramento. Facciamo attenzione, dunque. L'attenzione, catapultata sulle macro-questioni - famiglia regolar-tradizionale - Dico - non può distrarsi da episodi più mimetizzati, ma ugualmente gravi e inquietanti.

Su questo terreno minato e per affrontare questa gimkana semantica - che configurano un accerchiamento lento e sapiente in termini ideologici - cautela e vigilanza sono d'obbligo. Per questo ci auguriamo che il presidente Prodi ascolti l'appello che la Consulta per la Laicità gli ha rivolto chiedendo di rimuovere le «contestate e discriminatorie innovazioni apportate all'O.M. 26/2007». Concedere le tutele agli «infedeli» che disertano l'ora di religione cattolica è un dovere; siamo ancora in tempo per bloccare una pericolosa deriva che minaccia di spaccare il Paese.