Quando si dice una scuola con troppi stranieri.
Gianni Gandola da
ScuolaOggi del
3/6/2007
Da qualche tempo è giunto in primo piano il tema
delle scuole ad alta densità straniera. Se alcuni si pongono
interrogativi sulla loro effettiva capacità di favorire
l’integrazione, altri si chiedono se troppi alunni stranieri in una
classe, bisognosi di essere assistiti mediante percorsi specifici di
apprendimento in particolare dell’italiano, non costituiscano
inevitabilmente un peso, un rallentamento per gli alunni che stranieri
non sono. Insomma sono in gioco questioni riguardanti la qualità della
proposta formativa delle scuole. Queste domande, rilanciate da stampa
e trasmissioni televisive, sembrano rispecchiare un comune sentire, e
specialmente di quei genitori italiani che decidono di portare i
propri figli in scuole meno “etnicamente” marcate. Timori e
aspettative comprensibili e legittime.
Ma davvero tanti “stranieri” comportano inevitabile scadimento della
qualità scolastica ? Il tema è complesso e richiede un approccio
articolato. In questo poche righe vorrei però soffermarmi su un
aspetto della questione che rischia di contribuire a costruire una
visione collettiva, potremmo dire una rappresentazione sociale,
deformata e non produttiva dei percorsi di apprendimento nelle scuole
considerate ad alta densità straniera.
I dati che vengono raccolti anche dal ministero individuano tali
scuole sulla base dello stato giuridico degli alunni, vale dire il
fatto di non essere cittadini italiani. L’adozione di questa categoria
occulta semplicemente una realtà sempre più diffusa a partire dai
primi gradi – scuole dell’infanzia e primarie - del sistema
scolastico: la presenza di bambini giuridicamente ancora stranieri ma
nati in Italia (la legge vigente consente ai nati in Italia da
genitori stranieri di divenire italiani solo al compimento del 18
anno). La gran parte di essi segue fin dai primi anni di vita un
percorso educativo e scolastico italiano che in generale, con alcune
eccezioni, conduce a una socializzazione e a una inculturazione più o
meno condivisa con i compagni italiani. Che senso ha allora
pubblicizzare enfaticamente dati così grezzi e, ciò che più preoccupa,
suscettibili di ingenerare e diffondere allarmi e timori ? Se si dice
che in una scuola il 40 per cento degli alunni è straniero, sarebbe
bene anche dire quanti di loro sono nati qui o sono arrivati nei primi
anni di vita. Secondo alcune ricerche oltre il 60% degli alunni
stranieri della scuola primaria è nato in Italia e la tendenza è di un
aumento continuo: la loro presenza porrà alle scuole un ordine di
questioni diverso da quello del puro apprendimento della lingua
italiana. Percentuali e trend di questo tipo inoltre, diciamolo per
inciso perché il discorso meriterebbe ben altro approfondimento,
indurrebbero a riconsiderare l’importantissimo compito della scuola
dell’infanzia nei percorsi di integrazione. Essa è per molti bambini
stranieri la porta d’ingresso alla vita sociale, la scuola che per
prima li accoglie e che deve consapevolmente puntare su priorità
educative, cognitive e culturali, più di quanto faccia adesso.
Certo nelle scuole medie e superiori la situazione e ancora diversa e
vi è tuttora una presenza assai consistenti di alunni stranieri
immigrati e neo-arrivati. Ma occorre imparare a distinguere perché i
problemi si affrontano adeguatamente se l’analisi è fine e corretta,
non impressionistica.
La stampa e i media, inclini a un sensazionalismo non sempre del tutto
innocente, enfatizzano alcuni dati, a maggior ragione quando chi
dovrebbe – ad esempio il ministero – non raccoglie e non pubblicizza
dati più significativi e reali. Anche le scuole possono avere un
interesse nel far valere la loro “densità straniera” se i fondi
disponibili per l’integrazione sono erogati sulla base della
percentuale di utenza straniera genericamente intesa.
Insomma si tratta di fare quel po’ di pulizia che aiuti a produrre una
comunicazione pubblica meno allarmante, impaurente e che contribuisca
all’affermarsi di una visione che scinda l’equazione, purtroppo ora
considerata quasi ovvia, secondo cui la marcata presenza “etnica” di
un’utenza scolastica – volti, colori e sfumature di pelle,
abbigliamenti – corrisponde a programmi rallentati, difficoltà di
apprendimento, scadere della proposta formativa.