Tanto Gentile . . .

Renato Lo Schiavo da DocentINclasse, 19/6/2007

 

Sordo, ormai è da un pezzo che lo sono, ma son pronto a giocarmi gli ultimi rimasugli di staffa, incudine e martello che quando la collega d'Italiano mi è passata accanto, in corridoio, sussurrando qualcosa all'aere, altre parole non abbia aggiunto.

Noi professori siamo tutti strani, è notorio - altrimenti finiremmo su You Tube? - ed ormai non ci si meraviglia più dell'ultimo transitato sul versante degli scoppiati, ma devo ammettere che assegnavo alla collega ancora diversi anni prima di questo passaggio: insomma, mi sono rattristato non poco.

"Poveraccia, - dicevo tra me e me - si vede che i sonetti danteschi ormai li può declamare solo di nascosto. Che tristezza! Bah! Dunque, in che classe devo andare? Ah, sì, in prima, dove mi attende una bella lettura del 'Margite' pseudomerico. L'altro giorno, durante l'esame dei frammenti di Titinio ed Atta c'era il silenzio assoluto. Magari troppo: non è che...".Di colpo non ho avuto più il coraggio di portare a termine l'interrogativa sospettosa e l'andatura mi si è fatta mogia mogia.

Al cambio d'ora (dopo un silenzio di conferma dei miei sospetti) mi sono incrociato con il collega di Filosofia, che preoccupato mi ha detto: "Hai visto Italiano? Ultimamente mi pare alquanto strana. Figurati che m'è passata accanto dicendo 'Tanto Gentile'! Una come lei, sempre così precisa, prendere una topica come questa, restituendo la vocale apocopata!"
Devo aver fatto una faccia da imbecille bocciato alla revisione della patente (di imbecille, naturalmente), perché il collega ha subito operato un intervento volante di didattica di sostegno: "Il sonetto s'apre con 'Tanto gentil...', con finale tronca."
"Ho detto 'tanto Gentile' e non sono affatto rincretinita!"
Il tono della collega era talmente imperioso che noi maschietti non abbiamo avuto il coraggio di sollevare gli occhi e reagire.
"Tu che sei storico e filosofo dovresti sentirti chiamato in causa" incalza animosa la collega (ma da dove era spuntata? Possibile che non l'avevamo notata?). "Nella mente di ognuno di noi c'è tanto, troppo Gentile".
L'occhio sbarrato tradiva una foga interna che mi faceva congetturare chissà quale motivazione recondita, in grado di pervertire persino. la correttezza filologica, un tempo vanto indiscusso della collega. La situazione stava evidentemente degenerando.
"Non credi che sarebbe meglio chiedere qualche giorno di congedo?" Faccio io, pigliandola un po' alla larga. "Magari avresti il tempo per rileggere il tuo Dante".
"Ma quale Dante e Dante!", urla la collega, "qui si tratta di pedagogia e di storia della scuola! Te lo ricordi Gentile, quello della riforma?"
Come no, certo che ci ricordavamo di Gentile, ma che c'entrava col sonetto dantesco? Anzi, perché Dante non c'entrava? La situazione ci appariva paradossale e Filosofia mi lanciava una serie continua di occhiate preoccupate, quando all'improvviso gli balugina un flash: "Per caso vuoi dire che noi docenti siamo troppo innamorati del modello di scuola disegnato dal ministro Giovanni Gentile nel 1923, con quella che il Cavaliere Benito ebbe a definire 'la più fascista di tutte le riforme'?"
"Finalmente avete capito!"

Per la verità io non credevo di averci capito alcunché, ma mi spiaceva fare la figura dello scemo, cosicché sfoggiai un sorriso da pubblicità di pasta dentifricia.
"Che ci ridi, imbecille! Piangere, dovresti, altro che ridere!"
"Senti, - arriva in mio soccorso Filosofia - adesso hai superato il limite. Che c'entriamo noi con la riforma Gentile? Ti sembriamo così fascisti?"
"A parte il fatto che a qualcuno di voi, recentemente, ho sentito rimpiangere l'abolizione dell'uso della frusta, mi sai dire cosa si rimprovera in sostanza al pedagogismo oggi imperante?" senza lasciarci il tempo di aprire bocca, la collega continua come un torrente tracimante: "La vera colpa che non gli perdoniamo e che non perdoniamo ai ministri degli ultimi decenni è quella di avere messo al centro del processo educativo lo studente!"

Per carità di corpo vi risparmio le indignate reazioni, le parole (parole? Insulti erano, altroché) con cui abbiamo sussiegosamente fatto presente che decenni di onorata professione sono lì a testimoniare la nostra vita a fianco dei giovani e via di seguito.

"Vi ricordate qual era il fondamento portante della riforma Gentile?" dice serafica la collega, per nulla bagnata da quell'alluvione di improperi. "Fare perno di tutto la figura del Maestro. Il professore era una sorta di Dio in terra, e guai a chi ardisse fiatare!".
"Ma che dici? Non è affatto vero! - reagisce incavolato Filosofia - Dato che proprio di questi tempi sto conducendo una ricerca sulla scuola di quel periodo, posso citarti le parole di Gentile nell'intervista del 29 marzo 1923 al periodico L'idea Nazionale. Sono assolutamente terribili: "Sono fautore della libertà della scuola. Va da sé che libertà non vuol dire licenza; vuole dire, semplicemente, permettere agli insegnanti di muoversi, senza impicci di formule e di minuti programmi e di metodi prestabiliti, dentro il concetto della Scuola a cui debbono servire. Intesa così, la libertà, come si vede, s'identifica colla disciplina. Per questo, ho già soppresso le ispezioni ordinarie della cui inevitabile inefficacia ogni insegnante può essere buon testimone. Gli ispettori, d'ora in poi, saranno i capi d'istituto, ai quali sarà, insieme con un adeguato miglioramento economico, conferita una più alta posizione morale". Non ti sembra che queste parole siano sufficientemente eloquenti?"

Tra me e me davo pienamente ragione al collega. Caspita, se non è questo un evidente esempio di subordinazione all'autorità, quale altro lo può essere?
Il collega di Filosofia, convinto da avere dalla sua l'inoppugnabilità del documento, proseguiva spavaldo: "Senti un po' cosa scriveva il Ministro ai Provveditori nella circolare del 23 maggio 1923, dopo aver invitato gli insegnanti a partecipare a tutte le manifestazioni in pro della scuola e della cultura: "Ora, si badi bene, non si vuole incoraggiata nessuna manifestazione che sappia di esibizione e di retorica; non si vogliono attività integrative chiassose e reclamistiche. La scuola è sempre raccoglimento. Anche nelle feste e nella gioia dei ritrovi scolastici fuori lezione, il più degno dei maestri è sempre quello che rimane buon sacerdote della scuola; sobrio nelle parole e nelle opere, misurato e sereno, desideroso di essere più che di parere. Con questa circolare, più che avvertimenti si danno 'consegne'. I Provveditori ed i Capi d'Istituto siano le vigili scolte che rispettano come cosa sacra, con militare devozione, con obbedienza pronta, assoluta ed incondizionata, la con segna ricevuta." Non ti fa paura quanto detto dal Ministro Gentile?"
"Veramente a me sembrava di sentire parlare Paola Mastrocola, con l'invito al raccoglimento ed il desiderio di essere, più che di parere. Per non parlare delle consegne."

Avete presente il gioco della battaglia navale, quando il vostro avversario indovina al primo colpo il bersaglio più difficile? Ebbene: ho visto il collega di Filosofia letteralmente accasciarsi, tanto che se non fosse stato per il mio pronto intervento, quello sarebbe caduto a terra con un botto che non vi dico...

"L'invito ai Presidi di sorvegliare tutto - prosegue melliflua la collega - non vi ricorda la realtà attuale? E se proprio parlate di quella circolare, che peraltro conosco benissimo, citate allora uno degli ultimi capoversi, in cui si dice che "L'amministrazione centrale non vuole considerare i suoi dipendenti come pedine nel gioco di un funzionamento amministrativo abilmente manovrato, ma come anime, cioè come educatori". E' proprio questo il sentimento che alberga ancora oggi in ogni docente: la fisima di sentirsi 'educatore', anzi 'Educatore' con la maiuscola, con spagnolesca spocchia e proterva pretesa di andare a frugare in ogni angolo dei pensieri degli alunni, di sindacarne i gesti, i comportamenti, i sentimenti, persino. Non è fisiologica la resistenza che scatta negli alunni?"

Con Filosofia sprofondato in coma, toccava a me prenderne le parti e difendere la nostra differenza da quel modello. Il fatto è che di questa differenza non ero più tanto convinto.
Italiano deve aver scorto la mia titubanza, ed immediatamente porta l'affondo: "Ma non è l'ambizione di ogni buon maestro, quella di formare il carattere dei suoi alunni? Ho torto, allora, a dire che nella nostra testa c'è ancora tanto, troppo Gentile?"
"Ma noi vogliamo formare cittadini di uno stato democratico, pluralista, tollerante, e...".

Sincerità? Mi cominciavano a mancare gli aggettivi. Avrei voluto dire 'laico', ma il volto della collega di Religione, immediatamente presentatosi alla mia mente, mi aveva subito dissuaso. E non era finita: ad ogni aggettivo, immediatamente si associava la comparsa di un volto che otteneva il medesimo effetto. Mi rendevo conto che quei volti erano soltanto la faccia immediata dell'ingranaggio scuola, un modo comodo - per la mia pigrizia cerebrale - di rappresentarsi le obiezioni.

Visto l'accrescersi della mia esitazione e il coma profondo di Filosofia, Italiano continua a stoccare: "Da qualche tempo leggo sempre più numerose esternazioni di colleghi che invocano maggiore serietà - cioè più bocciature - nella scuola. Ciò mi ricorda cosa disse, papale papale, Gentile ad un intervistatore del 'Giornale d'Italia' il 29 agosto 1923: "Lo spirito della riforma tende proprio a questo: a diminuire e ridurre la popolazione scolastica che, negli ultimi anni, per universale riconoscimento, s'era accresciuta sino a diventare pletorica con evidente danno, così degli studenti come degli stessi insegnanti". Insomma: troppi alunni fanno male alla scuola".
"Ma se oggi è proprio l'opposto! Siamo ridotti a mendicare qualche iscrizione per non perdere posti in organico, se non addirittura l'autonomia dell'Istituto!" replico io, incredulo peraltro d'avere trovato qualcosa da controbattere.
"E ti pare bello che nella scuola ci si debba far guidare da considerazioni parasindacali? Per timore di perdere il posto di lavoro a causa di una contrazione d'organico si rinuncia ad una valutazione spassionata? Ti pare bella una scuola in cui, per usare ancora le parole di Gentile, la maggior parte degli studenti cerca "piuttosto il diploma che la cultura"? E quando il ministro riformatore si lamentava che prima della sua riforma "la licenza liceale mandava alle università giovani incapaci di leggere due periodi di latino o di scrivere una mezza pagina in corretta forma italiana" notava qualcosa di diverso da quello che succede oggi?"
"Vabbé, - faccio io, più che altro per dovere d'ufficio - in compenso noi abbiamo incoraggiato la libera esplorazione del pensiero..."
"Noi, chi?"
""Noi docenti democratici (dico democratici come tendenza, non come aderenti ad un partito ), che abbiamo sempre avuto a cuore l'affrancamento dal dogmatismo..."
"Ah sì? - prosegue sarcastica Italiano - Vuoi sentire cosa disse Gentile ad un intervistatore il 17 febbraio del '24? "Libertà per tutti: ma per tutti obbligo di studiare seriamente e addestrare la mente alla riflessione, che libera l'uomo dal dommatismo dei pregiudizi e del pensiero volgare, per farlo veramente padrone delle sue idee, cioè di sè stesso". Come ti suonano, queste parole?"
E come mi dovevano suonare? Sparare, mi volevo.

La situazione minacciava di perdere la pur minimamente onorevole via d'uscita, quando sopraggiunge trafelata Matematica sventolando un giornale. Mi sembrava che stesse rinfrescandosi l'aria o, se non altro, almeno allontanando le mosche, ed invece era agitatissima per via della presentazione dei dati dell'indagine OCSE sui livelli di apprendimento dei quindicenni europei: "Ma ti rendi conto del catastrofico livello a cui siamo sprofondati? Non solo i quindicenni italiani bravi sono la metà di quelli francesi, tedeschi o cechi, ma addirittura chi ha avuto quattro in matematica nelle scuole del nord Italia ne sa di più di chi ha avuto sette in quelle meridionali!"

Per la verità, io non riuscivo a capire bene di cosa dovessi indignarmi, preoccuparmi o insomma che sentimento mi toccasse provare per confortare la collega. Ho fatto quindi ricorso ad una frase esplorativa, dall'andamento ellittico ed anacolutistico: "Effettivamente i dati...Non è la prima volta che tu...La questione meridionale non la stiamo inventando noi...Ma poi quest'OCSE esattamente cosa..."
"Ma lo capisci? - prosegue Matematica, sempre più stravolta - Un quattro di là vale più di un sette di qua!"

Convinto che mi si fosse accesa la lampadina e che quindi avessi capito il senso della lamentela, ho provato allora ad articolare una risposta più organica: "Certo, la discrepanza dei livelli di preparazione secondo il criterio del parallelo ascendente/discendente introduce un elemento di discrasia che parcellizza il campione al di là di un fisiologico margine di scostamento. Pertanto..."
Italiano e Matematica avevano una faccia assolutamente sbalordita, Filosofia era ancora in coma, io stesso ero colto dal sospetto di avere detto chissàcosa: insomma, il nostro piccolo capannello era già abbastanza folkloristico; non bastasse questo, ecco aggiungersi l'Esperto Esterno di Docimologia (una persona straordinariamente capace di comparire sempre al momento più sbagliato), che ritiene giusto aggiungere la sua: "Il fatto è che la curva di Gauss, eccellente strumento per identificare i migliori da un lato ed i più scadenti dall'altro, è troppo poco capita dai nostri colleghi, che non sanno calibrarne le applicazioni. La stessa tassonomia di Bloom è più citata che studiata. Ha ragione da vendere, Gilbert De Lansheere, quando sostiene che molti professori si lasciano sedurre dalla soluzione di comodo offerta dal voto centrale, finendo così per rinunciare a larga parte della loro influenza in pro dei colleghi che invece hanno il coraggio di applicare la scala completa".
"Ah no, questo non te lo concedo! - rispondo io un po' alterandomi - Tu sai benissimo che la curva di Gauss per certi versi è il riflesso della legge del caso che presiede alla nascita di ciascuno, e per altri versi invece è la risultante dell'influenza di fattori ambientali che agiscono più o meno indipendentemente sugli individui...".

Il primo botto è quello di Matematica, che stramazza immediatamente a terra alla seconda menzione della curva di Gauss (giorni fa mi aveva confidato di essere stata bocciata ad un esame universitario proprio per una domanda su quell'argomento), seguita subito dopo da Italiano, che con maggiore signorilità ed un tocco di melodramma si lascia andare al suolo, profferendo con un fil di voce l'ennesimo "Tanto Gentile..."

Docimologia accompagna con lo sguardo il mancamento di Italiano, mi guarda in faccia e mi chiede: "Ma perché la collega m'ha ringraziato, prima di svenire?