Quando il Credo fa crediti.
Alba Sasso, da
Aprile On Line.info del 3/6/2007
La recente sentenza del Consiglio di Stato ha
stabilito che l'ora di religione concorrerà alla determinazione del
credito per l'ammissione agli esami di maturità. Una scelta che mette
in discussione la laicità delle istituzioni
Ormai la ribalta è tutta loro: delle gerarchie ecclesiastiche entrate
a gamba tesa nell'attività politica diretta. A voler determinare
scelte politiche appunto, comportamenti sociali e persino modelli di
vita. Non sorprende dunque che si vogliano mettere in discussione
alcune certezze acquisite sulla laicità della scuola.
Tra i vari segnali, c'è anche una notizia che potrebbe apparire
minimale, in fin dei conti secondaria: la valutazione dell'ora di
religione concorrerà alla determinazione del credito per l'ammissione
agli esami di Stato. Ma andiamo con ordine e ricostruiamo in sintesi i
fatti.
I punti 13 e 14 dell'articolo 8 dell'ordinanza ministeriale in materia
di istruzioni e modalità per lo svolgimento degli esami di Stato
specificavano, per l'appunto, che "i docenti che svolgono
l'insegnamento della religione cattolica partecipano a pieno titolo
alle deliberazioni del consiglio di classe concernenti l'attribuzione
del credito scolastico". Contro una simile impostazione c'è stato un
ricorso promosso dal Cidi, dal Comitato scuola e Costituzione, dalla
Tavola valdese e da altre associazioni. Su questo ricorso si è poi
espresso il Tar del Lazio, che con un pronunciamento del 23 maggio ha
sospeso proprio i punti prima citati, rilevando una disparità di
trattamento fra gli studenti che si avvalgono dell'insegnamento di
religione cattolica e gli studenti che non seguono né l'insegnamento
religioso né altre eventuali attività sostitutive. Dopo pochi giorni
di nuovo dietrofront. Una velocissima sentenza del Consiglio di Stato
ha sospeso l'esecutività dell'ordinanza del Tar del Lazio. La
frequenza dell'ora di religione cattolica rientra nell'attribuzione
del credito scolastico.
Dicevo prima che la notizia potrebbe apparire come secondaria. Una
bagattella ininfluente rispetto ai tanti problemi che stanno animando
il dibattito nel mondo della scuola. E però si tratta dell'ennesimo
messaggio che viene lanciato in una direzione precisa: la direzione
della subalternità culturale delle istituzioni dello Stato (e fra
queste, in primo luogo, la scuola) rispetto a enti e autorità
extra-statali. Voglio ricordare che è stata la Corte Costituzionale a
stabilire, in seguito alla normativa definita dal nuovo Concordato del
1985, che l'insegnamento della religione cattolica non può e non deve
rappresentare in alcun modo una discriminante. E voglio anche
sottolineare che non è vero, o non è del tutto vero, che i ragazzi che
non seguono l'insegnamento di religione non finirebbero per essere
penalizzati in termini di attribuzione del punteggio, in quanto c'è
sempre l'opportunità data dalle attività alternative: ricordo,
infatti, che le attività alternative non sono obbligatorie, e che la
soluzione spesso adottata è quella della non-frequenza.
Insomma l'insegnamento della religione cattolica non può costituire un
elemento di differenziazione tale da privilegiare alcuni studenti
piuttosto che altri in termini di attribuzione del credito scolastico.
A segnalare un primato. Su questo non ci possono essere incertezze o
furbizie. Soprattutto in un momento in cui la scuola è chiamata alla
sfida dell'interculturalità, solo il principio di laicità può
permettere tolleranza, reciprocità, costruzione di un'etica pubblica
rispettosa delle culture e delle fedi di ognuna e ognuno. Mi preoccupa
allora quello che appare come il segno di una regressione culturale,
un arroccamento, insomma un ritorno all'indietro. Che non rende più
libera e autonoma la scuola.
Alla metà dell'Ottocento un liberale come Cavour parlava di "libera
Chiesa in libero Stato". Ogni tanto, non farebbe male.