Scuola, luci e ombre del decreto.
di
Alba Sasso, da
Aprile On Line.info del 27/1/2007
Era senz'altro necessario, anzi doveroso ridare
una boccata d'ossigeno agli istituti tecnici e professionali. Ma non
possono essere un ritorno al passato, né tantomento prefigurare un
secondo canale, di serie b "per i ragazzi che non ce la fanno"
Il decreto legge sulle liberalizzazioni (il cosiddetto "pacchetto
Bersani") presentato al Consiglio dei Ministri dello scorso 25 gennaio
contiene delle importanti novità rispetto al settore della scuola.
In primo luogo, la questione cosiddetta delle fondazioni. Certo, le
scuole non diventano fondazioni. Piuttosto, viene introdotto un regime
fiscale parificato a quello delle fondazioni. In particolare, a chi
finanzia gli istituti scolastici vengono riconosciute le stesse
agevolazioni fiscali previste per le donazioni alle fondazioni. (Anche
se per la verità di questi benefattori della scuola pubblica non se ne
conoscono molti, tranne il caso di alcune imprese interessate a fare
di alcuni istituti tecnici e professionali dei "centri di
addestramento" per la propria attività).
Il problema che si pone è però quello del tipo di gestione
dell'amministrazione scolastica. Perché occorrono soluzioni adeguate
per garantire la trasparenza delle scelte rispetto alla distribuzione
e all'assegnazione di fondi, stanziamenti, risorse. Che sono oggi
cifre consistenti dopo i provvedimenti contenuti nella legge
finanziaria. E allora la soluzione non può essere una via di fuga: "le
figure esterne". Eterno toccasana rispetto a questioni irrisolte di
funzionamento e di governo della scuole autonome.
Il problema della trasparenza delle scelte rispetto all'organizzazione
della gestione del denaro è, innanzi tutto, un problema di rapporti
interni alla scuola, tra le varie componenti e tra i diversi organi di
governo.
Rispetto a questo tema, c'è una delega al Governo, e ci sono diverse
proposte in Parlamento sulla riforma e sul riordino degli Organi
Collegiali. Se ne può e se ne deve discutere al più presto
interloquendo in primo luogo con le scuole e con le loro
rappresentanze.
Secondo e più significativo blocco di provvedimenti, quelli relativi
all'istituzione di poli dell'istruzione tecnica e professionale. Era
senz'altro necessario, anzi doveroso ridare una boccata d'ossigeno
agli istituti tecnici e professionali, soprattutto dopo che era
bastato il solo annuncio della riforma Moratti a far precipitare
quella che era già un'oggettiva condizione di crisi di questo settore
del sistema scolastico, provocando una drastica e radicale diminuzione
nelle iscrizioni. E non a caso, con la passata legislatura, c'era
stata una mobilitazione dell'istruzione tecnica che aveva presentato
appelli ed elaborato documenti per rivendicare dignità e funzione di
un settore che è stato leva, dagli anni '70 in poi, della
scolarizzazione di massa nel nostro paese.
Ma voglio sottolineare alcune questioni.
1. Prima di tutto quale è il nesso, o meglio ci
sarà un nesso, tra l'elevamento dell'obbligo scolastico e questa
proposta che a molti appare una separazione netta tra licei da un lato
e istituti tecnici e professionali dall'altro? Si tratta o no di
riprendere l'elaborazione sui contenuti del biennio, sul rapporto tra
sapere di base necessario a costruire una cultura comune e saperi di
indirizzo che sappiano orientare scelte future?
2. C'è una scelta precisa nel decreto. Quella di
dare una interpretazione chiara di uno degli aspetti più controversi e
più ingestibili della riforma del titolo quinto della Costituzione.
Gli istituti professionali sono statali a tutti gli effetti. E credo
necessaria la scelta di eliminare sovrapposizioni tra tecnici e
professionali.
3. I poli tecnologici prevedono la presenza di
istituti tecnico professionali, corsi triennali e corsi di istruzione
tecnica superiore. I corsi triennali rappresentano un percorso di
uscita triennale dai vecchi professionali (che erano stati largamente
superati dalla scelta degli studenti di concludere il percorso
quinquennale) o, replicando anche nel nuovo assetto un aspetto della
riforma Moratti, vogliono essere veri e propri percorsi brevi legati
più alla formazione professionale che alla scuola? Mi sembrano
entrambe soluzioni discutibili.
La prima sarebbe un ritorno al passato.
La seconda, come già sottolineato da molti
giornali, sembra prefigurare un secondo canale di serie b, "per quelli
che a scuola non ce la fanno".
Sono nodi assai delicati e scioglierli non sarà
questione di poco conto per comprendere l'indirizzo della riforma
dell'intera scuola secondaria su cui muoverà il Ministro Fioroni, e di
cui questo decreto rappresenta uno stralcio importante.