Scuola e territorio, ieri, oggi e domani.

di Gian Carlo Sacchi da Educazione & Scuola del 5/2/2007

 

I rapporti con il territorio sono presenti nella storia della scuola da quando è nata e sono stati indagati da diversi punti di vista. Qui si vorrebbe evidenziare l’aspetto istituzionale in modo da arrivare ad individuare gli elementi di prospettiva nel governo del sistema.

Se una volta fatta l’Italia si dovevano “fare gli italiani” alla scuola era stato dato questo compito e quindi agli enti territoriali di collaborare a detto scopo fornendo perlopiù infrastrutture.

L’art. 117 della Costituzione del 1947 conferiva alle regioni la potestà di emanare leggi in materia di “assistenza scolastica” e “istruzione artigiana e professionale”.

Quando negli anni settanta entrarono in vigore le regioni a statuto ordinario iniziò una disputa sull’attribuzione delle competenze soprattutto sull’istruzione professionale, culminata con un doppio canale tra istituti professionali di stato e formazione professionale regionale. Il primo filone seguì sempre le sorti della scuola e per il secondo fu fatta una legge quadro (L. 845/78). I due canali portavano ad esiti diversi, primo fra tutti il riconoscimento delle qualifiche, che nel primo caso avevano valenza nazionale, mentre nel secondo si limitavano al territorio regionale, con evidenti sovrapposizioni. Agli istituti professionali fu poi riconosciuto un biennio post-qualifica per arrivare, come per gli istituti tecnici, all’esame di stato quinquennale, che dava accesso all’università e i diplomati di detti istituti costituirono ordini professionali come quelli provenienti dagli istituti tecnici, di nuovo in evidente concorrenza.

E’ inutile evocare qui la polemica classista, ma non c’è dubbio che nell’ambito dell’istruzione/formazione professionale si cercò di far aderire maggiormente la proposta formativa alle esigenze del contesto socio- economico locale, ma alla fine, ed ancora oggi, questa operazione si è rivelata spesso un contenitore di allievi problematici e quindi con una evidente funzione di integrazione sociale.

Molto più lineare fu il risultato di processi legislativi regionali legati all’assistenza scolastica, nel frattempo trasformata in “diritto allo studio”, di cui parlerà in un altro contributo.

In quegli anni, quasi in contemporanea, fu introdotta la così detta partecipazione alla gestione della scuola, dagli ormai famosi decreti delegati, che cercavano di dare ai suoi rapporti con il territorio un significato più pregnante non solo per quanto riguarda i contenuti delle relazioni sociali, ma anche le competenze ed i poteri dei vari organi: si pensi al carattere innovativo del distretto scolastico.

Le regioni intanto iniziarono un loro percorso politico – istituzionale, che portava ad un nuovo protagonismo del territorio, sotto l’aspetto degli enti locali e delle organizzazioni della così detta società civile, che si sviluppava soprattutto attraverso il sostegno al diritto allo studio, non solo per favorire l’accesso, ma anche il “successo” e per questo cercare un’azione sul sistema.

Livello strutturale della scuola, saldamente in mano più che alla politica nazionale, che non è mai riuscita a fare una riforma organica e nemmeno ad applicare compiutamente la Costituzione, all’amministrazione, e livello locale hanno iniziato a fronteggiarsi; per un ventennio l’istituto della sperimentazione, introdotto dal DPR n. 419/74 per innovare il sistema scolastico, si è rivelato il teatro dell’incontro – scontro di questi due diversi modi di concepire il servizio ai giovani: top down dal punto di vista dello stato nazionale per la tenuta generale del sistema e il mantenimento del valore legale del titolo di studio, bottom up per quanto riguardava i bisogni reali della comunità ed in particolare del mondo del lavoro.

Dopo la partecipazione, fatta poi rientrare dall’amministrazione nell’alveo delle proprie modalità di governo fino ad annullarne la motivazione pedagogico e sociale, l’autonomia diventa la nuova bandiera da piantare sul territorio, sventolata un po’ da tutti: famiglie, docenti, dirigenti, mondo economico e soprattutto sistema regionale e degli enti locali.

Da metà degli anni ottanta sino al 2000 si elabora tale concetto e diverse sono le posizioni in campo: decentramento dell’amministrazione, poteri ai sistemi istituzionali dei territori, liberalizzazione e spazio al mercato dell’istruzione, fino a cercare una sintesi nella riforma del titolo quinto della Costituzione, corroborata da una visione più ampia, più internazionale, dello stesso concetto di istruzione, verso cioè un’education che coinvolge altre agenzie educative oltre la scuola e si proietta nel sistema della longlifelearning.

La legge costituzionale n. 3 del 18/10/2001 segna una svolta. Nel modificare l’art. 117 della Costituzione stabilisce che le competenze esclusive dello stato sono limitate alla definizione delle “norme generali sull’istruzione” e “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

Sono competenze esclusive delle regioni “l’istruzione e la formazione professionale”. Tutte le altre materie in questo ambito sono definite di “competenza concorrente”, ma anche qui la potestà legislativa prevalente è quella regionale.

La novità più grande è stata quella di comprendere l’autonomia scolastica tra le materie di rilevanza costituzionale.

E’ da qui che si deve ripartire per conferire un nuovo assetto all’intero sistema, ma, si sa, intanto che Roma discute……, magari su come ricomprendere nella nuova prospettiva tutto l’apparato normativo già emanato su pubblica amministrazione, federalismo, e autonomie scolastiche, le Regioni hanno iniziato una loro legislazione, di cui si da conto in questa rubrica, cercando per la prima volta di uscire dalle prerogative assegnate dal precedente art. 117 per andare a regolamentare le proprie competenze esclusive e quelle concorrenti. Tale produzione è in crescita, altre regioni stanno lavorando, attraverso processi più o meno partecipativi, ma un dato è ormai chiaro, sta nascendo una nuova cultura regionale, non regionalista, bocciata da un recente referendum popolare, sul governo dell’education.

Le leggi regionali, come si vedrà, esprimono le istanze tipiche del proprio territorio e sono quindi anche diverse tra di loro, ma tutte ispirate al nuovo dettato costituzionale.

Ora la palla passa allo stato che deve decidere se finalmente si occuperà di ciò che la nuova Costituzione gli attribuisce (anche la vecchia prevedeva che la “Repubblica dettasse norme generali sull’istruzione”: mai fatto) o vuole continuare a comportarsi in maniera centralistica, lasciando di fatto alle regioni competenze accessorie riguardo al governo del sistema.

Se il buon giorno si vede dal mattino, la legge finanziaria del 2006 non sembra molto “concorrente” ed il masterplan, di cui si parla qui in un altro contributo, rappresenta una voce un po’ risentita, ma unanime delle regioni.

Nel frattempo, soprattutto per le materie dell’istruzione e formazione professionale, la conferenza stato- regioni costituisce il tavolo di maggiore innovazione di sistema. L’abrogazione dell’obbligo scolastico a quindici anni aveva determinato un alto rischio di dispersione e la volontà del precedente governo di avviare il canale specifico dell’istruzione e formazione professionale hanno costituito la spinta per la stipula di protocolli, definiti sperimentali, per l’avvio di collaborazioni tra stato e regioni fino al raggiungimento di un percorso triennale per portare al conseguimento della qualifica.

Questa modalità di lavoro, aldilà del contenuto, rappresenta un’autentica novità: supera infatti la rigidità verticale dei due sistemi, definisce standard di riferimento comuni ad entrambi pur rispettando le rispettive organizzazioni didattiche e modalità di valutazione, mette a punto strumenti di certificazione delle competenze intermedie e delle qualifiche finali, riconosciute a livello nazionale. E’ la prima volta, infatti, che la formazione professionale non solo ha la possibilità di entrare nella valutazione complessiva dei processi di apprendimento, insieme alla scuola, attraverso l’indicazione delle competenze, ma può riconoscersi al proprio interno tra le regioni.