Finché si continuano a studiare nozioni
saremo ultimi.

Prima di tutto occorre fare una «riforma dell'insegnante»,
dando la pagella anche ai docenti

di Stefania Pozio,
docente di Scienze matematiche presso la Scuola media Statale Luigi Settembrini,
 da 
ItaliaOggi dell'11/12/2007

 

Tutti si chiedono perché gli studenti italiani riportino risultati deludenti alle prove di matematica e di scienze dell'indagine Ocse. Innanzitutto bisogna tener presente un dato importante: i nostri studenti sono quelli che omettono di più le domande, cioè non rispondono proprio, lasciano in bianco le risposte e poiché, per il Pisa 2006, una risposta omessa è considerata a tutti gli effetti errata, questo aumenta la percentuale di errore. La percentuale più alta di omissioni, pari a quasi il 40%, con punte addirittura del 70%, riguarda domande che prevedono risposte aperte articolate: quelle, cioè, in cui si richiede allo studente di scrivere il proprio ragionamento. Questo potrebbe essere un segnale del fatto che a scuola i nostri studenti non sono abituati a esplicitare il proprio ragionamento e quindi, di fronte a una tale richiesta, preferiscono non rispondere piuttosto che tentare di dare una risposta non corretta. Cerchiamo comunque di capire che cosa l'Ocse vuole misurare con questa rilevazione. Vuole sapere quanto gli studenti, al termine della scuola dell'obbligo, abbiano acquisito competenze necessarie per poter esercitare un ruolo attivo e responsabile nella società, quanto cioè siano in grado di poter essere, un domani, forza lavoro. Quindi l'Ocse non è tanto interessato a che cosa si studia quanto all'uso funzionale di ciò che si apprende. Ma cosa si intende per competenze? Si intende la capacità di saper utilizzare in modo funzionale le conoscenze, cioè essere in grado di attivare l'insieme delle conoscenze e delle abilità di tipo matematico o scientifico che si sono apprese per risolvere i tipi di problemi con cui ci si deve confrontare nella vita quotidiana. Ora, la scuola italiana è più una scuola di conoscenze che non di competenze. I nostri studenti studiano molte materie, soprattutto umanistiche più che scientifiche, ma tutto resta a livello di conoscenze, spesso nozionistiche, e non si tramuta in competenze. Tutto ciò che viene insegnato ha poca aderenza con la realtà, molti studenti considerano inutili le cose che studiano a scuola. L'acquisizione di competenze richiede di più di un semplice immagazzinamento di elementi di conoscenza: occorre che lo studente sia capace di usare tale conoscenza, di applicarla nella risoluzione di problemi reali. Ma qualcosa ultimamente nella scuola italiana sta cambiando. Nell'ultimo documento pubblicato dal ministero dell'istruzione che riguarda le Indicazioni per il curricolo per la scuola d'infanzia e per il primo ciclo d'istruzione, si legge, a proposito della matematica: «Caratteristica della pratica matematica è la risoluzione di problemi, che devono essere intesi come questioni autentiche e significative, legate spesso alla vita quotidiana, e non solo esercizi a carattere ripetitivo o quesiti ai quali si risponde semplicemente ricordando una definizione o una regola» (pag. 93). Il messaggio è chiaro: la didattica va cambiata, ma per fare questo è necessaria una formazione obbligatoria per gli insegnanti e questo è un altro problema della scuola italiana. Siamo uno tra i pochi paesi al mondo che non ha la valutazione degli insegnanti e di conseguenza la formazione in servizio è legata alla buona volontà del singolo docente. È ormai opinione largamente condivisa che ogni miglioramento del nostro sistema scolastico deve prima di tutto passare attraverso una «riforma dell'insegnante», la cui azione non può considerarsi corretta, e nemmeno sufficiente, se il suo intervento si riduce ad una mera trasmissione di conoscenze.