INTERVISTA A MARIA TERESA SINISCALCO
"I ragazzi hanno le nozioni
ma non le sanno usare".
Raffaello Masci, La Stampa del
4/12/2007
ROMA
Maria Teresa Siniscalco, curatrice della precedente ricerca Pisa e
coautrice di un libro sulle valutazioni internazionali della scuola
italiana. Perché, secondo lei, veniamo dopo tante nazioni anche meno
sviluppate della nostra?
«Chiariamo subito una cosa: la ricerca Pisa non
misura quanto gli studenti sappiano nel senso tradizionale del
termine. Ci sono altre ricerche dell’associazione per la valutazione
del profitto (Iea) che fanno questo a partire dagli anni Sessanta.
Pisa misura invece il “sapere attivo” dei ragazzi, la capacità cioè di
utilizzare e applicare le conoscenze a problemi simili a quelli che si
incontrano nella vita reale».
In una parola?
«Non misura le nozioni, ma la capacità di utilizzarle».
Ma perché dovremmo dare una competenza
di un genere così applicativo?
«Perché l’Ocse ha valutato l’evoluzione del lavoro e della società
fino al 2020 e ha rilevato come serva un sapere duttile, capace di
aggiornarsi in continuazione e di dare risposte ad esigenze che sono
sempre in evoluzione. Un esempio: la riparazione di una Opel nel 1933
era illustrata da un manuale di circa 200 pagine. Oggi quelle pagine
sono 13.800. Per fare le stesse cose bisogna, quindi, sapersi muovere
in un mare di informazioni che crescono esponenzialmente».
Perché gli altri sono più bravi di
noi?
«Sfatiamo subito alcuni miti. Non serve più spesa: gli Usa hanno
incrementato il budget per l’istruzione dall’80 a oggi di oltre il 70%
e la loro performance scolastica non è migliorata. L’Inghilterra ha
fatto grandi riforme strutturali tra l’88 e il ‘96, ma è solo dopo che
ha cominciato a lavorare sulla qualità dell’insegnamento che la
situazione è migliorata. Così come non serve, entro certi limiti,
abbassare il rapporto docenti-allievi (già in Italia bassissimo). Non
voglio dire che tutte queste cose in determinate circostanze non
servano, ma non sono la risposta al problema che ci stiamo ponendo».
Che serve, allora?
«Soprattutto investire sulla qualità degli insegnanti. Come? Per
esempio: attirando alla scuola i laureati migliori attraverso una
forte selezione all’ingresso delle scuole di specializzazione. Dare,
poi, un’ottima formazione iniziale affiancata a un serrato tirocinio.
Continuare con la formazione permanente, mirata e verificata.
Valorizzare lo scambio tra docenti di una stessa scuola come
esperienza di diffusione delle pratiche migliori e di lavoro di team.
Impegnarsi molto sul recupero dello status di docente. Dare stipendi
iniziali che siano concorrenziali, sennò i migliori lasceranno sempre
la scuola».
Funzionerà tutto questo?
«In Finlandia - il paese primo nella classifica Pisa e che tale era
anche nelle precedenti ricerche - ha funzionato benissimo. Ci sono
fondati motivi per ritenere che funzionerà anche da noi. E in ogni
caso l’investimento sulle persone è sempre quello che dà maggiori
ricadute».