Storia della professoressa Sofia,
precaria dal punteggio precario.

di Laura Eduati  da Liberazione del 18 aprile 2007

 

Se l'unico cruccio dei supplenti fosse la precarietà, dormirebbero sonni tranquilli. A guastare la vita degli insegnanti senza cattedra intervengono convocazioni a sorpresa, master inutili, graduatorie scivolose e levatacce.


Sofia Bartali, romana di 33 anni, ha appena finito di leggere. La classe fa la ola quando spiego , la raccolta delle note date a studenti che in classe scardinano le porte, mettono le fette di salame nei registri o si assentano per tagliarsi i capelli.

Sofia è supplente di lettere e latino nei licei e negli istituti magistrali, ma ammette di non aver mai avuto problemi gravi di disciplina. A parte il sequestro dei telefonini: «Li ho vietati ben prima della circolare di Fioroni. E se li vogliono indietro, devono venire accompagnati dai genitori». A Sofia piace il suo lavoro: «Ho sempre desiderato insegnare. Quando entro in classe mi concentro sulla lezione e dimentico tutta la fatica». Doppia fatica: da professoressa e da precaria. Aggravata dall'ansia per il punteggio, quei dannati numeri che ti permettono di salire in graduatoria e di sperare che l'anno prossimo ti andrà meglio. Ma non basta accettare cattedre a 250 chilometri di distanza, alzarsi alle 5 del mattino e frequentare master inutili dal punto di vista didattico: a complicare la vita ci si mette il ministero della Pubblica Istruzione. Basta che la Moratti (ieri) e Fioroni (oggi) si sveglino e cambino il metodo di calcolo e all'improvviso il punteggio di quella cattedra che avevi rifiutato raddoppia. Oppure quel master che consideravi superfluo diventa magicamente fondamentale per la carriera. E' successo anche a Sofia.

La prima vera esperienza di insegnamento capita a Solano, un paesino di 700 anime nel grossetano. «Dovevo coprire una maternità. Non mi fecero un unico contratto ma mi assumevano e mi licenziavano di volta in volta stando attenti a non includere le festività come il Natale e il primo maggio, naturalmente per non pagarmi le ferie».

L'anno dopo è il 2003 e la professoressa Bartali prende in affitto una casa a Castel Del Piano (Grosseto) perché è lì che ha preso servizio da settembre. Ma solo per due mesi. Il resto dell'anno scolastico prosegue a Grosseto città, una cattedra di 9 ore che poco dopo si riducono a 4 settimanali, ognuna in un giorno diverso. Stipendio: 300 euro. «Accetti perché devi acquisire punteggio» dice Sofia. La casa di Castel Del Piano non è cara ma comunque costa, «così mia madre mi mandava ogni mese dei soldi per pagare le bollette». Non è la prima volta che succede. Sofia si è laureata a 25 anni alla Sapienza di Roma ed è stata una delle prime sissine d'Italia. I sissini, termine che i precari storici ormai utilizzano con disprezzo, si chiamano così perché hanno frequentato la Ssis, la scuola di specializzazione per insegnanti delle secondarie. Istituita nel 1999 su base regionale, la Ssis sostituisce il vecchio concorso per insegnanti: dura due anni di frequenza obbligatoria e sfibrante, e al termine si acquisisce un punteggio che serve per l'iscrizione in graduatoria. «Non so in quale altro mestiere bisogna pagare un corso di specializzazione obbligatorio», si chiede Sofia. I medici e gli avvocati, ad esempio, non vengono pagati durante il tirocinio, ma nemmeno devono sborsare denaro. Alla famiglia di Sofia la Ssis è costata cinque milioni di lire. Senza contare l'appartamento a Venezia, i viaggi per tornare a Roma e il materiale didattico.

Torniamo a Grosseto: una scuola di Arcidosso, paesino confinante con Castel del Piano, cerca un'insegnante di sostegno. Sofia rifiuta. Poi scopre che Arcidosso è incluso nella lista dei paesi di montagna, dove insegnare vale il doppio del punteggio.
Il 2004 scoppia la rivoluzione dei punteggi. La ministra Moratti stabilisce che frequentare un corso di didattica vale 2 punti. A quel punto i precari si iscrivono in massa per non scivolare nella graduatoria. Nella bolgia di università che offrono corsi di specializzazione a caro prezzo, Sofia e altre colleghe decidono di puntare sulla For.com, istituto privato riconosciuto dal ministero: «800 euro per una farsa. Il corso è on-line, progettato male e povero di contenuti. All'esame finale puoi facilmente copiare, nessuno controlla». L'angoscia dei precari alimenta il mercato dei corsi costosi e male organizzati. Inutilmente: se tutti seguono lo stesso master, alla fine tutti saranno saliti del medesimo punteggio e la graduatoria rimane uguale.

Tornata a Roma nel 2004, la prof Bartali viene chiamata per una nuova supplenza a Grosseto: due volte la settimana si sveglia alle 5 meno un quarto, macina 250 chilometri in treno, fa lezione, torna a casa, prepara i compiti e corregge le verifiche.
Meglio a settembre dell'anno dopo: cattedra annuale in un liceo scientifico di Ladispoli, cittadina a 40 chilometri da Roma. Sveglia alle 5, cambio a Trastevere e via col treno. «Negli scompartimenti salivano soltanto insegnanti precari destinati alle scuole della provincia, dove c'è un turn over pazzesco di supplenti». A detrimento degli alunni, che ogni sei mesi cambiano professore e la continuità didattica va a farsi benedire.

Oggi Sofia insegna in un liceo scientifico di Centocelle, a Roma. Il contratto scade il 30 giugno, non sarà pagata quest'estate. Non può nemmeno organizzarsi una vacanza, perché le convocazioni per il prossimo anno scolastico capitano all'improvviso e danno un preavviso di pochi giorni. «Come fai a vivere se fino al 31 agosto non sai dove sarai il 1 settembre? Come fai a prendere un affitto una casa, se non sai dove ti destineranno?».