VIAGGIO NELLA SCUOLA

Si è sgretolata l’alleanza fra scuola e famiglia.

di Massimiliano Amato da l'Unità del 15/4/2007

 

A Eboli, Giuseppe Barone insegna da 24 anni. È stato decatleta, adesso si appoggia ad un bastone: pochi giorni fa ha rimproverato un alunno, che lo ha malmenato. «L’incidente è chiuso, ma il clima non mi piace, sono crollati tutti i valori di riferimento»

Tu puoi tirare la carretta per quasi un quarto di secolo, continuare a puntare la sveglia alle 6 e mezza e uscire a ogni mattina alle 8 per poco più di mille euro al mese. Puoi anche fregartene della salute che un bel giorno ti abbandona e ti fa dipendere dagli altri; e niente: al suono della campanella continui a essere al tuo posto. Pronto ad affrontare un’altra giornata. Puoi essere e fare tutto questo, e molto altro ancora fino al limite estremo del sacrificio, ma alla fine resti sempre un insegnante. Uno, cioè, che può essere preso per il bavero della giacca e strapazzato da un ragazzino di sedici anni arrabbiato perché la morosa non se lo fila più. I pensieri corrono più spediti delle parole, arando solchi di amarezza sul bel faccione barbuto di Giuseppe Barone, 53 anni, docente di educazione fisica al liceo classico “Perito” di Eboli. Un paio di settimane fa, quest’omaccione che in gioventù è stato decatleta e ora è costretto ad appoggiarsi a un bastone per camminare si è trovato a tu per tu con il male oscuro che sta corrodendo la scuola italiana. Ha redarguito un ragazzo che s’intratteneva in palestra oltre l’orario consentito e quello, per tutta risposta, prima l’ha strattonato, poi l’ha apostrofato in malo modo e infine ha alzato le mani. «In ventiquattro anni di insegnamento non mi era mai capitato, ma non mi sorprende. Ogni volta, all’inizio dell'anno scolastico, mi scopro a pensare che è peggio dell’anno precedente. È così da un bel pò, ormai. Ma non mi lascio sedurre da tentazioni autoritarie, tipo: la scuola deve tornare al passato, con i ceci sotto le ginocchia dei reprobi, il castigo dietro la lavagna e via discorrendo. Che facciamo, i sergenti di ferro? Noi siamo educatori».

A Eboli fa caldo come se fosse estate. I ragazzi del Classico sfoggiano le prime t-shirt colorate; qualcuno si avvicina a Barone, si scusa. Il resto palleggia col Super Santos in attesa della campanella. L’edicola della vicina stazione ferroviaria è tappezzata di locandine con il “fattaccio” del giorno: il prof malmenato. Giusto un pizzico di imbarazzo e stupore, molta strafottenza. Dentro, nel nuovo edificio che ospita la scuola “bene” della città, ci sono i carabinieri. «Ho fatto una querela cautelativa, ma l’incidente è chiuso. Ho ricevuto le scuse dei genitori del ragazzo: la mamma è una collega, mi è sembrata sincera. Ma è il clima che non va».

Già, il clima. Al “Perito” sono iscritti 500 ragazzi. Vengono da tutta la Piana del Sele: l’istituto resta scuola d’elite, ma qui ci trovi anche figli di operai. O nipoti di contadini. Barone li conosce tutti: «Restano la mia vita, i ragazzi. A volte mi scopro a pensare che forse sarebbe giusto mollare: potrei andarmene a lavorare alla Forestale, fondare il gruppo "Agd", abbiamo già dato. Pensieri di un attimo. Poi scendo di casa, raggiungo la scuola e do il doppio. In ventiquattr’anni, mai un’assenza. Sempre al posto di combattimento: la palestra, il campo di gioco, la pista d’atletica. A loro, ai ragazzi, cerco di trasmettere quello che sento: una passione enorme, smisurata, per l’insegnamento e lo sport. Il mio rapporto con la scuola è adrenalinico: mi basta assaporarne l’aria e rinasco». Ma il senso di solitudine, di smarrimento, rimane: «Se dico che sono crollati tutti i valori di riferimento e che l’unico paradigma resta la televisione scopro l’acqua calda. La violenza, il bullismo come lo chiamano adesso, nasce all’interno delle pareti domestiche. È saltato il primo filtro di controllo, si è sgretolata l’alleanza tra scuola e famiglia. Un esempio? Ero vicepreside alle Magistrali a Campagna, qui vicino. Un giorno mi accorgo delle ripetute assenze di una ragazza e convoco i genitori. Si presenta il padre, che subito mi dice di essere venuto perché non aveva altro da fare. Chiedo conto delle assenze della figlia. Lui, irritato, mi fa: “Professò, ma a voi che ve ne frega?”. Gira i tacchi e se ne va».

Le continue riforme e controriforme ministeriali hanno fatto il resto. Creando una nuova figura, lo studente calcolatore: «Il sistema va ripensato, magari tornando ai vecchi metodi. Con l’introduzione dei debiti e dei crediti formativi, i ragazzi si sono fatti furbi. Abbandonano le materie più ostiche già durante l’anno, tanto rischiano poco: un debito formativo lo si salda con un corso di recupero che è una finzione. E ti ritrovi con gente che nemmeno segue quello che dici. Sembrerà banale, ma la maggioranza dei miei ragazzi non sa nemmeno camminare o correre: per spostarsi usano il motorino, hanno maturato una disabitudine all’attività fisica». (3-continua)