In certi istituti diventi qualcuno "almeno se tieni i piedi sul banco"
Difficile piegare un ribelle che trasforma le sanzioni in medaglie

Bullismo, la scuola come un set
"Noi, violenti per diventare famosi".

Prepotenza e popolarità. "I prof? Sanno tutto ma non ci fanno caso"
I casi di violenza hanno un comune denominatore "l'assenza degli adulti"

Michele Smargiassi, la Repubblica, 4/4/2007

 

MILANO - C'è un'isola dei famosi in ogni scuola, forse in ogni classe. Guai a chi c'incappa: rischia di naufragare. Approdarci non è da tutti, bisogna esibire certe qualità. C, 12 anni, prima media, è fortunato: "Io gioco bene a calcio e piaccio alle ragazze", così non deve "cercare rissa" per diventare famoso. Invece nella scuola di V, 17 anni, istituto geometri, per diventare famoso devi almeno "tenere i piedi sul banco durante la lezione", ma è più facile se fai come quello che "rutta in faccia al prof". E il prof? "L'ha fatto sospendere per due giorni, ma quando è tornato era più famoso di prima, gli hanno fatto l'applauso". Come è dovuto ai famosi.

Noi li chiamiamo "bulli". Ma è un'etichetta inventata da noi adulti per far credere che abbiamo compreso il fenomeno. Invece è probabile che non abbiamo capito un bel niente. C e V non dicono "bulli". Dicono: "i più famosi della scuola". C e V sono due ragazzi "presi in carico" dal Centro terapia dell'adolescenza di Milano. Hanno entrambi storie pesanti di bullismo da riparare. Uno come bullo, uno come vittima. Ma senza sapere chi è l'uno e chi è l'altro sono indistinguibili. Perché C e V nuotano nello stesso brodo maleodorante. Volenti o nolenti s'adeguano agli stessi disvalori. "Da noi", racconta C, "quelli di terza mettono in fila i primini, poi fanno a gara di sputi, chi viene colpito deve fare un passo indietro, è una specie di flipper". "Da noi", racconta V, "quelli famosi si fanno "prestare" i soldi senza restituirli, o pretendono le merende, mica per mangiarsele, solo per far vedere che sono potenti".

Ripeto: e i prof? "È inutile, sanno tutto ma non ci fanno caso. Dicono solo: imparate a farvi rispettare". Dall'inizio dell'anno, V è accolto a scuola dagli sberleffi della sua isola dei famosi, "frocio-frocio". Non è certo il solo: secondo l'Arci-gay, più di metà delle vittime si sente apostrofare così. V è un ragazzo tutto sommato ottimista e paziente, però quando l'hanno incantonato, "bacia una ragazza davanti a noi oppure sei frocio", non ne ha potuto più, "Perché fanno così? Sono andato a dirlo alla prof, mi ha risposto 'ma dài, non te la prendere, sono dei bambocci', poi s'è girata e ha continuato a scrivere al computer".

Di storie così Francesco Vadilonga, psicoterapeuta del Cta, ne ha ascoltate a centinaia, compresa quella emblematica di D, che estorceva accessori griffati ai compagni ma era a sua volta bersaglio di insulti razzisti, anello mediano della catena bullo-vittima-bullo. Non racconta casi clamorosi, le violenze da codice penale che bucano le cronache e impensieriscono le procure: ma sorde tirannie quotidiane, ossessive, esasperanti, ripetute per mesi. Hanno tutte un comune denominatore: "L'eclisse degli adulti. Non l'assenza, perché i professori reagiscono, ci sono punizioni. Eppure, per gli studenti, gli adulti restano presenze pallide, distratte, disinteressate a quel che accade davvero tra i banchi".

Le storie che i ragazzi scrivono sui giornalini online (sul portale La fragola di Repubblica.it) sembrano ambientate in comunità di soli minorenni: dalla famigerata scala antincendio della scuola Sordi di Roma che sembra la stradetta dove i bravi aspettano don Abbondio, al ragazzino "preso in giro da tutti" nelle medie di Arbus, a cui "non si trova una classe", fino al grido di dolore della Boccaccio di Certaldo: "Gli adulti non vengono mai a sapere". Quando lo sanno, spesso smorzano, come il preside dell'istituto di Monselice dove in novembre furono girati video di imbarazzanti beffe ai professori: "Non è bullismo, solo un caso di particolare esuberanza, un momento di vivacità, seppur esagerata".

Adulti e ragazzi condividono gli stessi spazi, ma vivono in mondi diversi. Quello dei ragazzi, come nel Ponte per Terabithia, film sul bullismo sotto un velo di fantasy, è popolato da figure spaventose che gli adulti non vedono, tranne quando un video irrompe su YouTube, e allora il mondo dei grandi esplode d'indignazione o di fastidio, oscillando tra l'allarme di Prodi e Napolitano ("prove di forza che sono prove di viltà") e la prudenza infastidita del ministro Fioroni ("Basta col tritacarne mediatico, siamo in presenza di cifre irrisorie"). C'è, in verità, un piano anti-bulli del ministero, con simpatici adesivi, spot, blog, numero verde e sostanziale delega alle scuole; ma inizia proprio buttando acqua sul fuoco: "I fatti di bullismo, talvolta eccessivamente enfatizzati dai media...".

Dovremmo invece essere grati ai cellulari. I video violenti e disgustosi, palpazioni di natiche docenti, sberle ai disabili, astucci contundenti, sono almeno feritoie che ci permettono di sbirciare in un mondo altrimenti invisibile. I cui protagonisti sono tre: i carnefici; le vittime; e l'audience. Le classi funzionano come un circuito mediatico. Chi "gira" i video? Non i bulli, ma la troupe dei vice-famosi, la corte che circonda i prepotenti e vive di luce riflessa. È l'omaggio dei gregari ai capi, e funziona solo perché c'è, un gradino sotto, la platea anonima che guarda e gradisce lo show, l'auditel che decreta il successo del "famoso" di turno.

A Saronno da cinque anni l'Ipsia "Parma" (cartelli con le "regole" nei corridoi, tutor di classe) affronta i prepotenti studiando i "normali". I loro valori. O disvalori. "Tredici ragazzi su cento trovano normale offendere un coetaneo. Per 12 non è grave tenersi i soldi avuti in "prestito". Per 9 è giustificabile picchiare un compagno", elenca senza entusiasmo il professor Mauro Pasqua, responsabile del "Progetto bullismo". "È su questa base etica che i prepotenti costruiscono la loro popolarità". Fama, celebrità: ecco i nomi corretti del bullismo. Il suo vero fine. La prepotenza è solo il mezzo.

Un'indagine della Società italiana di pediatria rivela che per l'84% degli adolescenti i bulli diventano tali "per essere ammirati". "Cercano di emergere da una massa in cui evidentemente temono di non valere nulla", continua Pasqua, "non a caso i problemi più gravi li abbiamo nelle prime classi, dove i ragazzi non si conoscono e cercano di affermare un'identità visibile, nel bene o nel male. La prepotenza è un biglietto da visita".

Farsi riconoscere. Essere additati con rispetto. Il quarto d'ora di celebrità di Warhol: "Se non hanno nient'altro da mostrare", insiste C, "diventano famosi facendo paura". Le regole? "Spesso sono regole stupide, fatte per essere sfidate. Da noi", C scuote la testa, "è vietato correre lungo le scale, e c'è chi corre apposta per far vedere che non ha paura dei prof". Difficile piegare un ribelle che trasforma le sanzioni in medaglie.

Se l'Osservatore romano invoca più severità, a Saronno hanno iniziato a sostituire le sospensioni con lavori utili, corsi obbligatori, attività di studio: "Inutile mandarli a casa a rimbambirsi con la tivù". Bisognerebbe forse smontare il giocattolo dall'interno, togliere ai "famosi" l'ammirazione che sta alla base del loro prestigio, ma un "famoso" umiliato può reagire in modo tutt'altro che ingenuo: "I video girati in classe spesso sono un'arma impropria di vendetta contro i professori", ha avvertito la direttrice scolastica regionale del Veneto, Carmela Palumbo.

Bisognerebbe lavorare con le famiglie. "Ma è difficile", sospira il preside dell'Ipsia di Saronno, Alberto Ranco, e racconta che "all'assemblea sul bullismo abbiamo invitato mille genitori, ne sono venuti ventisette. Comincio a pensare che le famiglie facciano parte del problema più che della soluzione". "Sospendere i violenti vuol dire rimandarli nell'ambiente che ha prodotto la violenza", ha esclamato l'assessore pugliese Silvia Godelli a un convegno sul bullismo organizzato a Bari, città dove un preside è stato picchiato dai genitori di un alunno.

Eppure i bulli non sono il prodotto automatico del disagio domestico. "Se tutte le famiglie difficili generassero bulli", dice Ranco, "avrei i carabinieri a scuola ogni giorno". Dev'esserci qualcosa, nel microcosmo scuola, prima esperienza sociale degli adolescenti, che amalgama in modo imprevedibile la "quantità spaventosa di schifezze", per dirla con Marco Lodoli, di cui i quindicenni vengono riforniti dalla tivù e dai miti collettivi. Per gli studenti qualunque, la scuola è un luogo di tensioni: due mesi fa un questionario del Minghetti, prestigioso liceo classico di Bologna, ha svelato che otto studentesse su dieci, tra i banchi, soffrono di ansia, stress, panico, tachicardia, vomito.

Per i bulli, invece, andare a scuola è gratificante: è il loro palcoscenico, senza copione da rispettare. Viene in mente Il signore delle mosche, romanzo anti-russoiano di William Golding: l'isola dei bambini senza adulti e la sua feroce legge naturale. La scuola, allora, è la nicchia ecologica dove un nuovo oggetto sociale, l'adolescente senza qualità, elabora in solitudine una nuova etologia morale. In realtà un'antica morale, che C riassume così: "Sei famoso se tieni gli altri sotto di te".