Sul bullismo e dintorni. La parte della scuola.
di Antonio Valentino, da
ScuolaOggi dell'11/4/2007
Il ministro costretto a intervenire in tutte le
sedi per dare risposte e rassicurare. Istituito addirittura un numero
verde del MPI per fronteggiare il fenomeno nelle scuole.
Non so se, oltre che emergenza mediatica, il fenomeno, non certamente
nuovo, ma che oggi si presenta in forme in linea coi tempi,
costituisca una vera emergenza sociale.
Ciò che inquieta al riguardo è la drammatizzazione di moda di un
fenomeno antico, che fa passare in secondo piano lo stato di salute
della nostra scuola superiore ormai a livello di guardia e di cui
forse la difficoltà a gestire anche un fenomeno come quello del
bullismo è spia.
L'argomento continua a occupare pagine intere di giornali. La scuola e
gli insegnanti nell'occhio del ciclone. Il ministro costretto a
intervenire in tutte le sedi per dare risposte e rassicurare.
Istituito addirittura un numero verde del MPI per fronteggiare il
fenomeno nelle scuole.
Non so se, oltre che emergenza mediatica, il fenomeno, non certamente
nuovo, ma che oggi si presenta in forme in linea coi tempi,
costituisca una vera emergenza sociale.
Ciò che inquieta al riguardo è la drammatizzazione di moda di un
fenomeno antico, che fa passare in secondo piano lo stato di salute
della nostra scuola superiore ormai a livello di guardia e di cui
forse la difficoltà a gestire anche un fenomeno come quello del
bullismo è spia.
Le analisi sociologiche e psicologiche sono ovviamente le ben venute
quando si tratta di far luce su episodi di prepotenza, sopraffazione,
di intimidazione.
Non interessa però in questa nota ripercorrere cause e fenomenologie.
Né riproporre le responsabilità della politica - e non solo della
politica - a proposito della situazione della nostra scuola e, in
essa, della condizione docente, ormai insopportabile.
Interessa qui piuttosto richiamare alcuni aspetti della parte che
spetta al modo della scuola, per arginare il fenomeno che è tutt'uno
con quello del vandalismo diffuso e dello scarso rispetto delle
persone, delle cose, delle regole della convivenza civile, che pesa
negativamente sulla vita degli Istituti superiori soprattutto.
Aspetti che ben conoscono docenti, dirigenti scolastici e personale
ATA, ma che forse vale la pena di richiamare e riproporre, anche
perché muove da consapevolezze che l'esperienza di ogni giorno ci dice
essere quelle più significative ed efficaci. E per verificare
convergenze e punti di vista diversi o opposti.
Il mestiere di educare: in primo luogo "esserci"
La prima consapevolezza riguarda un aspetto / un'idea del fare scuola,
da parte di chi vi opera, che potrebbe essere definita, con
un’espressione un po’ pretenziosa, la cultura dell’esserci.
In altri termini: un insieme di comportamenti attenti all'"essere
presenti". La presenza fisica è di per sé un fatto significativo,
educativo. Perché significa - tende a significare - interesse, volontà
di condivisione.
Negli adulti che lavorano a scuola I comportamenti possibili di fronte
alle questioni dei quali discutiamo molto in questi giorni, sappiamo
essere non solo quelli del dell'educare, nella sua accezione più
gettonata, o del punire, che per fortuna non è una moneta corrente nei
nostri istituti.
Ce n’è un terzo, che è quello del "lasciar fare" “lasciar correre”,
far finta di niente, volgere la testa dall’altra parte. In altri
termini: "non esserci". E questo perché molto spesso ci si sente
impotenti di fronte a situazioni che riteniamo essere più grandi di
noi e per le quali non abbiamo la preparazione, gli strumenti, le
risorse adeguate.
Ovviamente, esserci come persona fisica, per quanto importante, non
basta. E' fondamentale esserci con la testa, esserci come
intelligenza, come cuore, come volontà / intenzionalità. Cioè come
operatori scolastici che si fanno carico di "esserci" per chiedere,
per osservare, per ascoltare, per capire eventualmente che cosa c’è
dietro certi comportamenti, per parlare. Ma anche per richiamare, per
ammonire, per fare il proprio mestiere, per fare la propria parte;
senza ossessione e drammatizzazioni, possibilmente.
La cultura dell’esserci certamente utilizza il controllo, la
vigilanza, ma come modalità e mezzo, non come strategia e obiettivo.
Non vado in giro per i corridoi con l'obiettivo primo di scoprire se
ci sono ragazzi che fanno i prepotenti verso i loro compagni o
spaccano le porte dei bagni o intasano le turche, in barba alle regole
dei vari Statuti di scuola. Certo se scopro atti vandalici o se ci
sono segnalazioni bisognerà intervenire; con tempestività e nei modi
opportuni. Ma non è questo il l'aspetto che qui interessa
sottolineare. E che è ovvio. Ma piuttosto che si va per i corridoi,
ecc., durante gli intervalli e non solo, per significare una presenza
e non prioritariamente per scoprire i trasgressori.
E' la lezione che più mi è rimasta di un grande maestro della scuola
milanese, Francesco Sansone, per tanti anni preside di un Istituto
sestese.
C’è una seconda consapevolezza che è un po’ un’espansione, per alcuni
versi, o un arricchimento, della prima: la cultura dell’esserci come
comunità di adulti, nessuno escluso. La cultura dell’esserci riguarda
e impegna tutti gli adulti della scuola, che hanno rapporti di lavoro
o legami con essa, dai docenti al personale ausiliario e tecnico. Anzi
coinvolge le responsabilità e l’azione di impegno anche delle così
dette componenti esterne. Non è affare del dirigente scolastico e dei
suoi collaboratori.
La scuola non è un’impresa individuale.
Certo il dirigente scolastico promuoverà, indirizzerà, valorizzerà,
coordinerà. Ma guai a pensare, o a far pensare, perché tante volte c'è
questa tendenza, che la presenza attiva è una esclusiva del dirigente
e dei suoi collaboratori: o guai pensare che l’istituzione scolastica
è un’impresa individuale. La scuola non è un affare privato. Da ciò
l’impegno soprattutto da parte del Dirigente scolastico sul progetto
condiviso, sulla formazione degli altri attori come condizione
necessaria, sulla manutenzione continua dei dispositivi adottati, a
partire dalle regole, dai comportamenti, dagli strumenti, dagli spazi
di ascolto e di comunicazione. Da ciò le consapevolezze e l'impegno
degli altri operatori scolastici.
"Cose risapute e stanche", forse, per parafrasare Guccini. Ma da "rivitalizzare",
penso, se vogliamo continuare a fare la nostra parte. Come è normale
che sia.