Cosa fare contro il bullismo.

di Ferdinando Camon, 7/4/2007.

 

La parola gay è un acronimo, unisce le iniziali di tre parole: "Good as you", valgo quanto voi. Chi l'ha inventata l'ha fatto con orgoglio. Ma la parola "gay" usata dagli studenti verso un compagno di classe è un insulto, vuol dire: "Non vali quanto noi", noi siamo maschi e tu no.

Ormai lo sapete tutti: in una scuola di Torino alcuni studenti, i soliti bulli, sfottevano il compagno più bravo chiamandolo "gay": che lo fosse o no non ha nessuna importanza, quel ragazzo non ha retto e s'è gettato dal quarto piano. Qui c'è un crimine: l'istigazione al suicidio. E' il punto più alto toccato dalla parabola demenziale del bullismo.

Eppure, non succede niente. Quello studente è morto per colpa dei compagni che lo perseguitavano, dei professori che non hanno stroncato la persecuzione, del preside, del ministro. Questo episodio di bullismo si mette in coda a tutti i fattacci che deturpano l'andamento della nostra scuola: studenti che tirano giù i calzoni al professore mentre traccia un disegno alla lavagna, studenti che entrano in classe con tre pizze fumanti e pretendono di mangiarsele finché sono calde, studentesse che si tirano su la maglietta e si fotografano i seni col cellulare e poi lo prestano in giro per la classe, studente che chiede alla professoressa se non le converrebbe fare la puttana visto che guadagnerebbe di più, e così via.

Tutte queste scene e questi dialoghi vengono poi messi in Internet, in modo che il ludibrio della scuola diventi pubblico. In Internet sentiamo la professoressa a cui uno studente chiede perché non fa la puttana, rispondergli flebilmente: "Ma cosa dici mai!". Non sappiamo come ha reagito il professore a cui han calato i calzoni: è lì, in Internet, coi calzoni alle caviglie e le mutande bianche.

In questo andazzo scandaloso, in questo sberleffo sulla scuola, sono tutti colpevoli: professori, presidi, provveditori, ministro, genitori. I genitori dei bulli malavitosi, convocati a scuola, se la prendono con gli insegnanti, invece di dare una raddrizzata ai figli tale che se la ricordino. Tre studenti che vengono in classe con tre pizze fumanti non vanno lasciarti sedere sul banco a mangiarsele tra le sghignazzate dei compagni: vanno gentilmente invitati a gustarsi le pizze, con comodo, fuori della scuola, nella quale potranno tornare solo quando loro e i loro genitori avranno chiesto scusa a tutta la classe.

Il bullismo è un fenomemo maligno: i maschietti ingaggiano una gara con i professori, e vogliono vincerla. Se la vincono, aumentano l'attrazione sulle ragazze. Se ricevono dei rimproveri, li considerano onorificenze e se ne vantano. L'operazione da fare è trasformare quelle medaglie al valore in medaglie al disonore: un bullo che dà della puttana a una professoressa è un gigante trionfatore, ma se deve tornare il giorno dopo a chiedere scusa, con papà e mamma, il trionfo gli diventa vergogna.

Il ministro, invece di non fare niente, dovrebbe ridare peso e valore al voto di condotta, renderlo temibile. Ma questo è il punto finale dell'operazione. Ci sono tanti punti precedenti. Per esempio, come si va a scuola. Il telefonino è uno strumento per cui chi è in classe non è mai completamente in classe: una parte del suo cervello è sempre collegata al cellulare, cioè al mondo esterno. Niente telefonini in classe. Il professore che spiega un canto di Dante o la legge di Lavoisier manda un messaggio. La compagna di classe che mostra l'ombelico e magari le mutandine, lancia un altro messaggio: e il secondo messaggio annulla il primo. Niente ombelichi al vento e sederi scoperti, in classe.

Insomma, le cose da fare sono tante. Ma nessuno, né professori né presidi né provveditori né ministro (questo ministro casuale), farà niente. Il risultato eccolo lì: un ragazzo di 16 anni, volato dal quarto piano.