La storia nelle Nuove Indicazioni Nazionali.
Intervista a Rolando Dondarini,
docente di Didattica della Storia dell'Università di Bologna.
da
Foruminsegnanti.it,
28/8/2007
Il 3 settembre, secondo quanto preannunciato dal
Ministro della Pubblica Istruzione Giuseppe Fioroni, sarà
ufficializzata la presentazione delle Nuove Indicazioni Nazionali per
il primo ciclo e verranno distribuiti opuscoli ai docenti nelle
scuole.
Nell'imminenza del lancio di queste cosiddette
"nuove" indicazioni che, però, lasciano sostanzialmente immutato
l'impianto delle prececedenti, soprattutto, ma non solo, per ciò che
attiene alla formazione storica, per cui è conservata la stessa
articolazione, basata su un unico ciclo tra terza elementare e terza
media, abbiamo rivolto alcune domande nel merito ad un autorevole
esperto, il Prof. Rolando Dondarini, Docente di Didattica della Storia
all'Università di Bologna e promotore della Festa della Storia, che
anche quest'anno si svolgerà a Bologna e provincia nel periodo dal 13
al 21 ottobre 2007, il quale ci ha gentilmente concesso la seguente
intervista.
Professor Dondarini, cosa pensa del
curricolo di storia proposto nelle nuove Indicazioni Nazionali?
Nonostante le ampie e articolate premesse, purtroppo sembra non
discostarsi da quello delle precedenti “indicazioni” che già tanti
danni hanno procurato a tutto il sistema formativo; e non mi riferisco
certo al fisiologico disorientamento conseguente ad ogni innovazione,
ma ai guasti che la legge del febbraio/marzo 2003 ha obiettivamente
indotto. Come quello allora prescritto, anche il curricolo delle
recenti bozze comporta la rimozione degli ultimi due millenni dagli
orizzonti formativi di una fascia scolare come quella “primaria”,
nella quale si acuiscono sensibilità e interessi che rimangono
indelebili. Anche questo curricolo sembra quindi essere figlio del
gravissimo e persistente equivoco di chi confonde “curricolo
verticale” o “curricolo unitario” con un unico ciclo cronologico
dell'intera storia e di quegli slogan semplicistici e superficiali
diffusi e adottati qualche decennio fa che attribuivano i problemi
della didattica della storia al “mostro a tre teste” della ciclicità.
Molti insegnanti hanno recepito tali slogan in maniera quasi
irriflessa come postulati e assiomi ideologici che garantirebbero
automaticamente un’effettiva innovazione ed efficacia; salvo poi
ricredersi di fronte ai nodi reali dell’insegnamento. In effetti chi
insegna storia sa bene che a comprometterne
l’insegnamento/apprendimento non è certo la ripetitività, ma la
passività e la mnemonicità con cui gli scolari sono costretti ad
imparare nozioni che sentono estranee ai loro interessi. Da questo
punto di vista la profonda e vera innovazione che manca totalmente
anche dalle premesse teoriche delle bozze presentate, sarebbe quella
di far perno sul presente per affrontare ogni argomento e periodo con
stimoli e motivazioni capaci di indurre ad atteggiamenti attivi e
interessati. Obiettivo della Storia non dovrebbe essere quindi come
recitano le bozze “...comprendere e spiegare il passato dell'uomo,
partendo dallo studio delle testimonianze e dei resti che il passato
stesso ci ha lasciato”, bensì comprendere il presente cercandone e
apprendendone motivazioni e premesse.
Quali rischi pedagogici comporta il
curricolo verticale?
I dibattiti su questi temi rischiano di essere compromessi in partenza
dalla ben nota mancanza di una tassonomia e di una terminologia
generalmente riconosciute e adottate nell’ambito delle discipline
della didattica. E’ quindi preliminare intendersi su parole e
definizioni che potrebbero portare fuori strada. Immagino che in
questa domanda per “curricolo verticale” si intenda un unico ciclo
cronologico, dato che in realtà sarebbe sempre auspicabile prevedere
un curricolo coerente e unitario - e quindi in prospettiva verticale -
con cui programmare interi percorsi formativi che prevedano la
successione di fasi di insegnamento concordi, complementari e
organicamente collegate. La predisposizione di un simile curricolo non
significa affatto che si debba affrontare la storia una sola volta in
tutto l’iter formativo o nel tratto compreso tra scuola elementare e
media, Adottare un unico ciclo cronologico della storia da svolgersi
tra elementari e medie comporta automaticamente alcuni effetti
palesemente negativi e contraddittori. In primo luogo perché si
vincola in maniera permanente l’apprendimento dei diversi periodi
della storia a età evolutive obiettivamente diverse. In contraddizione
con la sbandierata centralità della persona, si trascurano così gli
aspetti evolutivi e formativi degli scolari e i loro tempi di
formazione, visto che si ignorano le fasi di sviluppo delle loro
capacità di apprendimento e dei loro interessi, presumendo che tra la
terza elementare e la terza media le attenzioni e le capacità
percettive rimangano immutate. Inoltre rimandando lo studio del
Medioevo, della Storia Moderna e della Storia Contemporanea al
triennio delle scuole medie, li si priva fino ad allora di
indispensabili strumenti cognitivi, essenziali non solo per
comprendere, rispettare e tutelare il formidabile patrimonio di cui
l’Italia è custode, ma anche per indurli al confronto e al dialogo
interculturale reso necessario e indispensabile dall’inarrestabile
formazione di una società multietnica, multiculturale e multireligiosa.
In sintesi quali esiti automatici dell’adozione del curricolo che
anche le nuove bozze propongono si possono annoverare una grave
ritardo e una sottovalutazione conseguente sia nell’acquisizione della
consapevolezza e del rispetto del patrimonio storico/artistico
scaturito dai periodi storici rinviati sia un inutile rinvio delle
trattazioni sulle origini e gli sviluppi delle diverse culture di cui
gli stessi scolari sono portatori. A tali esiti se ne aggiungono altri
puntualmente verificati in questi anni di applicazione della
famigerata legge 53 cioè:
- l’abbandono di una ricca varietà di esperienze
didattiche innovative condotte sia in ambito scolastico che
extrascolastico, per le quali insegnanti e operatori culturali hanno
attivato ampie convergenze multidisciplinari; in particolare in
riferimento alle didattiche museale, archivistica e bibliotecaria e
agli apporti di enti e associazioni.
- le conseguenti lacune e mancanze di
riferimenti per gli apprendimenti riferiti agli aspetti
storico/ambientali da un lato e globali dall’altro, che si stavano
sempre più spesso adottando come terreni di incontro e di comune
formazione per gli scolari di diversa provenienza.
- le gravi ripercussioni sui corsi di formazione
per gli insegnanti della scuola primaria, i quali, non essendo più
tenuti a prepararsi su quei periodi storici, ne eliminano lo studio
dai loro curricula con le conseguenti carenze formative e culturali.
In pratica abbiamo sì dei maestri laureati, ma che non conoscono la
storia.
Professore, non crede che la
composizione stessa della Commissione incaricata di riscrivere le
Indicazioni Nazionali, dalla quale sono stati esclusi i docenti e in
cui sono stati inadeguatamente rappresentati gli esperti delle
discipline, mentre erano significativamente presenti alcuni
sostenitori della riforma Moratti, fosse già un indizio della volontà
politica di procedere dall'alto con un'operazione di revisione senza
però mettere realmente in discussione l'impianto curricolare delle
indicazioni precedenti, ampiamente contestate dal mondo della scuola e
della cultura?
Il fatto grave è per l’appunto la quasi totale assenza di docenti,
anche se effettivamente appare, oltre ad una singolare presenza
bolognese, una preponderanza di figure per le quali appare scontato il
sostegno delle indicazioni della Moratti. La contraddittorietà di una
simile composizione, soprattutto rispetto ai proclami dell’attuale
maggioranza parlamentare di superamento totale delle norme precedenti,
salta agli occhi. Con ciò credo che per l’appunto si possa e si debba
eccepire sulla composizione complessiva della Commissione, mentre
sulla competenza e le volontà dei singoli componenti non mi sentirei
di discutere. Desidero insomma riconoscere che si tratta di persone
competenti e note nel campo della didattica, anche se quelle che
conosco personalmente hanno ammesso di non saperne gran ché sul tema
del curricolo complessivo e di quello di storia in particolare. E’
proprio su questi aspetti che per tutte le aree sarebbe stato
indispensabile l’apporto di docenti esperti per le varie discipline.
Non per fare processi alle intenzioni,
ma nutriamo forti dubbi circa la volontà del Ministero di porsi in
ascolto della scuola reale, se è vero che finora c'è stato un evidente
deficit di trasparenza e democrazia, come abbiamo anche denunciato in
un nostro appello lanciato mesi fa. Lei cosa pensa in proposito?
Ho partecipato ad alcuni degli appuntamenti pubblici indetti dal
Ministero per illustrare le linee guida della riforma in atto – che,
come rilevate, rischia di trasformarsi in una “conferma” - e ne ho
derivato un’analoga spiacevole sensazione di un divario evidente tra
pronunciamenti e comportamenti. C’è insomma il forte rischio che i
veri interessi del mondo della formazione e i suoi protagonisti -
insegnanti e studenti - vengano di nuovo subordinati a compromessi tra
partiti e movimenti. Se così fosse – e temo proprio che sia così - si
dovrebbe mettere in conto anche il forte divario che in termini di
consapevolezza divide gli esponenti della precedente maggioranza da
quelli della nuova: mentre i primi appaiono estremamente determinati e
consapevoli dei propri obiettivi, tra questi ultimi aleggia un
confusione preoccupante. In questi mesi ho avuto numerosi contatti -
ma forzatamente fugaci data la mia mancanza di entrature adeguate -
con esponenti delle commissioni parlamentari e con componenti
dell’entourage ministeriale e l’impressione è stata per l’appunto di
una competenza vaga e approssimativa in cui si insinuano con pieno
agio sia i sostenitori dei vecchi slogan che avrebbero voluto
addirittura un solo ciclo cronologico sia le istanze di coloro che non
vogliono mutare le indicazioni morattiane.
Da molte parti si propone il ritiro
delle bozze delle nuove indicazioni nazionali e il ripristino dei
Programmi Nazionali dell' 85 del 79 e del 91. Non sarebbe il caso di
ripartire da lì e dalle buone pratiche didattiche che su di essi si
erano innestate, visto che le indicazioni morattiane sono state
percepite come un corpo estraneo, tant'è che ad oggi molti insegnanti
continuano a far riferimento a quei programmi riconoscendone la
validità epistemologica e didattica?
Condivido totalmente questa posizione che quasi paradossalmente,
ritornando ad una riforma passata, risparmierebbe la scuola italiana
da un ulteriore passo indietro. In effetti in tutti questi anni sia
dai continui contatti che mantengo con i docenti di ogni grado
attraverso attività concrete di didattica sia dalle dissertazioni
condotte da numerosi laureandi è apparsa evidente la persistente
validità di quei Programmi. Ritengo tuttavia che il problema di fondo
- quello del rapporto tra attualità e storia e delle conseguenti
applicazioni didattiche – non sia stato ancora affrontato in maniera
adeguata. Auspico quindi che mantenendo vivo il dibattito vi si possa
approdare quanto prima.
Grazie, Professore, buon lavoro.