Alzabandiera a scuola, bello e impossibile.
Ferdinando Camon, La Stampa del
25/8/2007
Tremonti lancia l'idea di tornare
all'alzabandiera nella scuola, prima delle lezioni. A Rimini, la sua
proposta è stata applaudita a lungo. Lui sostiene che l'alzabandiera
manterrebbe viva in tutti l'idea dell'identità nazionale.
C'è un Paese dove a scuola, quando entra un professore italiano a
tenere una lezione, non solo si alza la bandiera italiana, ma si suona
anche l'inno italiano, e tutti gli studenti ascoltano dritti in piedi,
con la mano sul cuore. Ma questo Paese non è l'Italia, è l'Argentina.
Bandiera e inno italiani in Argentina proiettano gli studenti che
ascoltano verso una patria lontana e perduta ma ricca e grande, il
sogno del loro riscatto, l'origine di cui si sentono orgogliosi fra le
nazioni del loro continente. Un professore italiano che passi una
settimana in Argentina vien portato in giro per cinque-sei scuole,
vede che i ragazzi ascoltano le sue parole con gratitudine, con
soggezione, non ha più voglia di tornare in Italia.
Ma come è spontaneo e naturale là, così è impossibile e assurdo qua,
l'alzabandiera. Qua, quando i professori si presentano alla mattina
per tenere le lezioni, invece di sperare che si alzi la bandiera,
sarebbe sufficiente vedere che si alzano in piedi gli studenti. Cosa
che non sempre e non dappertutto avviene. Il professore arriva e la
classe si alza scompostamente, uno sì e uno no. L'appello lo si fa nei
primi giorni, poi il professore vede con un colpo d'occhio chi c'è e
chi manca. Ma è un'occhiata ingannevole, non tutti stanno al proprio
posto, se c'è un posto vuoto non vuol dire che l'assente è il titolare
di quel posto. Non c'è disciplina, il professore non ha autorità, non
ha autorità perché è pagato poco, è pagato poco perché la cultura vale
poco: un professore a scuola non è nemmeno come l'arbitro in una
partita, perché i giocatori sanno che l'arbitro è pagato una miseria
in confronto a loro, ma sanno che ha il potere di punirli, perciò lo
temono. Il professore questo potere non ce l'ha.
L'alzabandiera si fa nelle caserme, ogni mattina alla sveglia, ed è
l'annuncio che, se un superiore ti ordina qualcosa, attraverso di lui
te lo ordina la nazione che sta dietro quella bandiera: se non stai
attento (militarmente: sull'attenti), commetti un «oltraggio alla
bandiera», la colpa più grave che si possa commettere dov'è alzata una
bandiera. Ci sono allievi ufficiali che, trovati scomposti mentre si
alza la bandiera, e perciò puniti, supplicano affinché la punizione
venga degradata a un reato minore, perché quel reato peserebbe su
tutta la loro vita futura. L'alzabandiera è il massimo di una
disciplina già instaurata.
Nelle nostre scuole la disciplina non è al massimo, è al di sotto del
minimo. L'alzabandiera si potrebbe fare dopo anni di ristabilimento di
un minimo di disciplina, e il primo passo dovrebb'essere questo: il
professore fa la sua lezione, cioè dà quel che sa, e gli studenti
ricevono e accettano questo sapere, nessuno lo disperde e lo
distrugge. Invece oggi è una gara alla distruzione.
Il professore d'italiano, di fisica, di matematica, che spiega per
un'ora, ogni cinque minuti trasmette un messaggio, ma la studentessa
che si alza perché deve uscire taglia l'aula con l'ombelico scoperto,
e così trasmette un altro messaggio: il messaggio della studentessa
cancella il messaggio del professore. Capisco cosa significherebbe
l'alzabandiera: ordine, identità, tradizione, cameratismo, un passato
insieme, un futuro insieme. Ma niente di tutto questo è scontato nella
nostra scuola. Fare ogni mattina (o, come corregge Tremonti, una volta
la settimana) l'alzabandiera nelle nostre scuole sarebbe un continuo
oltraggio alla bandiera.