«Non vogliamo essere un esercito di passacarte». Noi Insegnanti, ultimi della Classe.
I docenti italiani sono più di un milione:
dequalificati, demotivati di Fabio Amato, da l'Unità del 15/9/2006
Gessi, lavagne e voti da assegnare. E poi «quelle venticinque paia di occhi impazienti che ti cercano, mentre tu sei nascosto e sommerso da scartoffie che non servono assolutamente a niente, se non a boicottare un lavoro già compromesso». Voci di insegnanti, tra il milione di docenti che ha appena cominciato l’anno scolastico. La Moratti non c’è più, ma dietro tutte le riforme incompiute è sopravvissuta una autonomia scolastica a cui mettere «braccia e gambe». E quel «ruolo svilito» dalla burocrazia - come ha detto ieri il presidente del Censis De Rita a l’Unità - fino a trasformare l’insegnante in un ingranaggio «del pubblico impiego». LA BUROCRATIZZAZIONE cresce mentre gli stipendi sono sempre quelli, tanto che a qualcuno viene il dubbio: «Siamo davvero i formatori della classe del domani?». La risposta, dice Patrizia Ercoli, una vita da insegnante di scuola media a Roma, due figlie piccole e 1.300 euro al mese, è solo quella che il prof. trova nella sua «buona volontà». Perché a guardare oltre si vede una scuola economicamente «agonizzante». «Siamo obbligati a sembrare dei poveracci - dice Patrizia - per ottenere qualcosa. Se una banca butta via i computer, dobbiamo essere pronti a farceli regalare». Guai, comunque, a rifugiarsi nell’autocommiserazione. «Non sopporto - dice Giuseppina Todarello - che i miei colleghi diventino i primi detrattori del loro lavoro». Lei, insegnante di liceo della capitale arriva a 1.500 euro al mese. Come Patrizia non fa drammi, se da dicembre in poi «bisogna pagare di tasca propria le risme di carta, per la fotocopiatrice che puntualmente si romperà». L’alternativa, per chi non è «caparbio, persino un po’ tignoso» è di cedere al luogo comune: «Cerca di levarti di mezzo la scuola, poi la vita è un’altra cosa». Patrizia, Giuseppina, o Mariuccia, in una scuola quasi tutta al femminile, non accettano l’equazione «insegnante uguale impiegato». «Fin tanto che la sensibilità personale non ti fa smettere» dice Patrizia, «la responsabilità nei confronti dei ragazzi non deve avere niente a che fare con il sentirsi gratificati». Anche se la tua professione - come dice Mariuccia Puleo - viene «soffocata dalle esigenze della società di tutti i giorni». Quali? «Quelle che dalla scuola portano direttamente all’impresa, e dall’impresa al denaro». «Mi trovo a combattere con la passività - dice Mariuccia - con l’idea che la formazione deve essere la più rapida possibile, e con la minore fatica possibile». Per quali gratificazioni poi si combatta non sta certo scritto nella sua busta paga. Diciassette anni di insegnamento nelle scuole medie di Vicenza, dieci da precaria, arriva a 1.320 euro. Con due figli e una macchina vecchia di undici anni. Non è un caso se tra gli insegnanti gira la battuta: «mai sposare un collega». Uomo o donna per una volta non fa nessuna differenza. Danilo, insegnante delle secondarie superiori a Venezia, arrivato a 48 anni guadagna 1.532 euro al mese, guida una utilitaria, e «se va bene» finirà di «pagare il mutuo a 60 anni». «Ogni singolo progetto da includere nella offerta formativa - racconta - deve passare così tanti balzelli burocratici che la cosa più semplice è starne fuori e dire “a me chi me lo fa fare”». «Soddisfazione e considerazione» dice in ogni caso Rosa Martignello, insegnante in un liceo classico a Firenze, non sono legate tra loro, ma dipendono dall’opportunità «di formare ragazzi svegli e vivi». Nella sua scuola ci sono 35 computer per 1.600 persone, ma quel che importa «è la capacità del singolo, non una visione appiattita della categoria». Lei un collega lo ha sposato davvero - Giandomenico Honnorat, insegnante di scuola media - e la loro esperienza li allontana dalle generalizzazioni. E così Giandomenico, che ha visto scuole di provincia e scuole del centro, sposta per un attimo l’attenzione dalla sua categoria ai genitori. «Molta della considerazione di cui godiamo dipende dalle famiglie di provenienza dei ragazzi. Se la scuola è percepita come inutile la sarà anche per loro». «Per questo - dice Mariuccia - si cerca di dare una alternativa ad una visione preconfezionata. Altro che impiegati, siamo ogni giorno psicologi, animatori, formatori, anche showmen. Siamo liberi professionisti e manager... ». Una battuta, certo, ma detta molto seriamente. «Alle imprese vengono dati finanziamenti e agevolazioni. Ma anche noi abbiamo il diritto e il desiderio di aggiornarci. Con un libro, con il teatro, con i manuali. Perché non possiamo fatturarli come spese per la nostra credibilità professionale?» |