Un commento.

Scuola vittima di disattenzione.

 di Pietro Nonis, Il Giornale di Vicenza del 4/9/2006

 

Il tempo delle vacanze è agli sgoccioli. Con settembre gli iscritti alle scuole di ogni ordine e grado rientrano nelle aule, ritrovano gli insegnanti e s’incontrano più proficuamente fra di loro. La scuola italiana, sia pubblica o statale, sia «privata» o non statale (ma nessuna scuola se è veramente tale è privata: ha sempre in sé una rete di rapporti sociali e pubblici), non è né peggiore né, a priori, migliore delle scuole di tanti altri Paesi. Ha i suoi pregi, alcuni dei quali risalgono a tradizioni antiche, e i suoi difetti. Di questi, molti sono propri del tempo in cui viviamo: la superficialità dell’insegnamento e dell’apprendimento, la preparazione mediocre per non dire scarsa di molti insegnanti, la difficoltà di stabilire rapporti efficaci tra scuola e famiglia e, difetto forse più grave di tutti, la tentazione di rinunciare a ritenersi la sede elettiva, se non unica, dell’educazione, intensa come formazione del fanciullo-ragazzo-giovane alla fortificazione della volontà, allo spirito di sacrificio, al riconoscimento dell’autorità nelle varie sedi di sua pertinenza (famiglia, preparazione all’esercizio di una professione, stima del merito e valutazione delle capacità. individuazione dei punti deboli o critici).

Nelle sedi universitarie, sempre più numerose per disponibilità d’insegnamenti e varietà d’insegnanti, l’inizio del rapporto studenti-istituzione di base, alla quale non ha posto del tutto rimedio la scuola primaria e secondaria. Già nelle varie circostanze della valutazione e dell’orientamento - dagli esami che concludono la media inferiore a quelli di maturità - insegnanti onesti devono farsi convinti dell’inadeguatezza dei vari stadi preparatori. La successione rapida e non assimilata delle «riforme» scolastiche, la sconfortante rinuncia a discipline un tempo considerate imprescindibili (lingua italiana, lingue straniere, «materie» scientifiche di ordine fisico-matematico) e la minimizzazione di ciò che si richiede come elementare portano alla soglia delle professioni, delle arti e dei mestieri giovani evidentemente impreparati o inadeguati. La stessa promozione degli studi informatici, che forse è il campo odierno dotato di maggior merito e capace di suscitare concrete speranze, comporta la difficoltà dell’aggiornamento rapido e costante, per permettere il quale la scuola dovrebbe dotarsi di mezzi, opportunità e metodi difficilmente reperibili, data la scarsità di risorse economiche disposinibili.

Perdura, un po’ dappertutto, il mito del posto di lavoro assicurato una volta per sempre. «Pan de governo, pan eterno», diceva un vecchio proverbio veneto. È un mito che scoraggia la concorrenza attiva, la quale oggi vede luoghi culturali già remoti da noi, come l’India, fiorenti per capacità-disponibilità aggiornate, e capaci di creare qui non già stimolanti prospettive ma frustrazioni e scoraggiamenti, mentre continua, per motivi analoghi e diversi, la fuga dei non molti cervelli di cui mercati esteri, ad esempio negli Usa, assicurerebbe la valorizzazione.

Sottopagati, e impegnati per tempi evidentemente non rispondenti alle necessità (tempi scarsi, in molti casi) i docenti di vari livelli, che sovente hanno ricevuto una formazione sommaria e superficiale, provano la tentazione dello scoraggiamento, la voglia rassegnata di «tirare a campare». La classe politica e di governo, dal canto suo, continua ad attribuire alla scuola, all’educazione, alla formazione professionale un’attenzione evidentemente inadeguata e a non curare l’antica malattia degli sprechi per mettere a disposizione dell’acquisto e dell’esercizio del sapere le risorse senza delle quali non saremo in grado non dico di superare i nostri eventuali concorrenti, ma neanche di tenere onestamente fronte ai doveri che già gli antichi consideravano elementari e fondamentali: quelli che riguardano la formazione dei futuri cittadini, dei padri e delle madri, e l’esercizio delle professioni proficue e innovative.