In coda nelle classifiche internazionali. "Serve una
riforma"
Lo Stato spende 100mila dollari per ogni alunno. E si sfornano pochi
laureati
Tanti costi, pochi risultati
l'Ocse boccia la scuola italiana .
di Salvo
Intravaia la Repubblica del
25/9/2006
ROMA
- L'Ocse boccia la scuola italiana. Stando ai numerosi dati contenuti
nel rapporto dal titolo Education at a glance 2006 (uno sguardo
sull'Istruzione 2006) il sistema di istruzione nazionale risulta
troppo costoso se paragonato agli scarsi risultati che riesce a
produrre. Un sistema nella sostanza inefficiente che richiede un
approfondito restyling. Scuola, istruzione post-secondaria e
università arrancano, sfornano studenti che non riescono reggere il
confronto con i compagni degli altri 30 paesi aderenti
all'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico e
laureati che spesso restano disoccupati. Ma il ponderoso volume di 465
pagine ricche di tabelle, grafici e numeri pubblicato qualche giorno
fa (con dati aggiornati al 2004), attraverso il confronto fra i
diversi sistemi di istruzione dei vari paesi, consente di individuare
alcuni dei possibili mali che affliggono la scuola italiana e anche
una possibile via d'uscita.
Il grado di istruzione del
popolo italiano. Secondo l'Ocse,
l'Italia è al penultimo posto per numero di laureati: appena 11 su
cento persone di età compresa fra 25 e 64 anni. Solo la Turchia è
sotto di noi, ma veniamo sopravanzati perfino dal Cile e dal Messico.
I paesi asiatici (Giappone e Corea) ci surclassano (37 e 30
rispettivamente), così come Stati Uniti e Australia. Situazione non
cambia prendendo in considerazione i giovani laureati di età compresa
fra i 25 e i 34 anni. E il divario fra l'Italia e la media dei paesi
dell'Unione europea (a 19 stati) si amplia per numero di laureati
nelle facoltà scientifiche: 1.227 ogni 100 mila giovani fra i 25 e i
34 anni contro i 2.128 della media Ocse. Le cose non cambiano molto se
si passa ai 'semplicì diplomati: siamo in fondo alla classifica
(appena 48 su 100) con una media Ocse che si attesta sui 67 ogni 100
abitanti di età compresa fra i 25 e i 64 anni.
Le performance degli studenti.
Per testare l'efficacia dell'azione educativa dei paesi membri l'Ocse
confronta i risultati ottenuti dagli alunni quindicenni nei test
Pisa-Ocse (Programme for International Student Assessment: programma
per la valutazione internazionale dell'allievo). Le performance dei
ragazzi italiani in Matematica e Lettura sono decisamente scarsi. I
nostri alunni rimediano una figuraccia anche rispetto ai loro coetanei
irlandesi, neozelandesi e polacchi.
Alunni, docenti e classi.
Eppure, in Italia, le condizioni per fare funzionare la 'macchina
scolasticà sembrano esserci tutte: le classi sono mediamente meno
affollate rispetto alle altre realtà europee e non (18 alunni per
classe in Italia contro i 21,5 della media Ocse), il numero medio di
ore di lezione rivolte agli alunni è più alto che negli altri paesi
membri e il rapporto alunni insegnanti è favorevole: 11 alunni per
insegnante nelle scuole superiori, contro i 13,3 della media Ocse.
I costi.
Sono probabilmente questi fattori più favorevoli in Italia (rapporto
alunni docenti e alunni classi) che fanno lievitare i costi
dell'istruzione italiana. Prendendo, infatti, in considerazione i 13
anni del percorso scolastico dalle elementari al superiore, si arriva
ai 100 mila dollari per alunno, 23 mila in più della media (pari a 77
mila dollari).
Gli investimenti.
Fino al 2004 gli investimenti indirizzati verso la scuola e
l'università - sia in termini di percentuale sulla spesa pubblica
totale e in rapporto al Pil - ci vedono al di sotto della maggior
parte dei paesi, superati anche da Islanda, Canada, Messico e
Portogallo. E gli investimenti nella scuola dell'infanzia (l'ex scuola
materna), vera leva strategica secondo la Commissione europea, in base
al rapporto Ocse dal titolo Starting strong II sono irrisori: appena
lo 0,4 per cento del Pil.
I mali della scuola italiana.
Ma se costa tanto, perché allora 'l'elefante italianò non va? Le
migliaia di numeri messi a disposizione dal Rapporto consentono di
azzardare qualche ipotesi. Gli insegnanti italiani percepiscono salari
decisamente bassi rispetto ai loro colleghi stranierie per arrivare al
massimo dello stipendio devono stare in cattedra ben 35 anni, contro i
25 della media Ue. In Italia il tempo dedicato alle elezioni con gli
alunni, 33 settimane o 674 ore l'anno (per la scuola media), sembrano
poca cosa se confrontati con le organizzazioni scolastiche degli altri
paesi. Solo a titolo di esempio, nell'Unione europea, le settimane che
i ragazzini trascorrono a scuola sono 37 e le ore di lezione 1.019.
Tutte considerazioni che rilanciano la proposta del vice premier,
Francesco Rutelli, di spalmare le vacanze degli insegnanti italiani
nell'intero anno solare, anziché mantenerle concentrate in estate. E
ancora, i docenti nostrani sono tra i più anziani in assoluto: solo 1
su mille ha meno di 30 anni. Nelle altre realtà si supera agevolmente
in tutti i segmenti scolastici il 10 per cento. E, a sorpresa, nelle
scuole scarseggiano anche computer (77 per scuola, contro i 115 dei
paesi Ocse) e i collegamenti a internet.
La speranza.
Ma una delle novità contenute nella versione 2006 del Rapporto può
rappresentare una occasione da non perdere. Entro il 2015, secondo l'Ocse,
l'Italia, subirà un calo della popolazione scolastica (tra il 10 per
cento della materna e il 4 delle superiori) che avrà un impatto
positivo sulla spesa per l'istruzione. La sola diminuzione degli
alunni dovrebbe, secondo l'Ocse, consentire un risparmio del 6 per
cento che, in tempi di magra, non è poca cosa.
Il monito.
La scuola italiana deve essere più efficiente per reggere il confronto
con le altre economie mondiali. Ma il Commissario europeo per
l'istruzione, la formazione, la cultura e il multilinguismo, Ján
Figel', avverte: "Sistemi d'istruzione e di formazione efficienti
possono avere un notevole impatto positivo sulla nostra economia e
società ma le disuguaglianze nell'istruzione e nella formazione hanno
consistenti costi occulti che raramente appaiono nei sistemi di
contabilità pubblica. Se dimentichiamo la dimensione sociale
dell'istruzione e della formazione, rischiamo di incorrere in seguito
in notevoli spese riparative".