INIZIANO le scuole in una situazione ancora più confusa,
se possibile, di quella degli ultimi anni.

Meglio il piano della Moratti
o le modifiche di Fioroni?

 Chiara Saraceno, da La Stampa  del 12/9/2006

 

INIZIANO le scuole in una situazione ancora più confusa, se possibile, di quella degli ultimi anni. La riforma Moratti - discutibile e discussa, ma per la quale scuole e genitori si erano preparati - è stata bloccata e il nuovo disegno non è chiaro. In questa situazione di confusione la grande assente - dalle proposte, dal dibattito - è la cattiva performance della scuola italiana come strumento di riequilibrio delle opportunità tra chi nasce in famiglie con risorse diverse e abita in zone del Paese diverse. Eppure, da tempo esistono dati di fonte sia internazionale che nazionale che segnalano come l'Italia sia non solo un Paese in cui anche le generazioni più giovani hanno un tasso di scolarizzazione relativamente basso rispetto ai coetanei europei, ma in cui le disuguaglianze di origine familiare, combinandosi con quelle di residenza territoriale, hanno effetti drammatici sulle prestazioni scolastiche dei ragazzi. Ciò a sua volta costituisce uno degli elementi di riproduzione dello svantaggio sociale in età adulta e di chiusura sociale.

Secondo un rapporto Ue, nel 2004 il 22% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni aveva il solo titolo della media inferiore, più basso solo di quello degli spagnoli, portoghesi e maltesi, ma ben più alto del 15% della media europea. Di conseguenza, nonostante recenti miglioramenti, coloro che hanno un titolo di studio della scuola media superiore sono solo il 73%, ben lontano dall'obiettivo europeo dell'85% per il 2010. Ancora più ridotto, anche se in aumento, è il passaggio all'università, che pure continua ad essere fortemente determinato, anche nella scelta della facoltà, dall'istruzione, più dal reddito, dei genitori.

Ma anche chi va a scuola non sempre raggiunge livelli di competenza sufficienti. Il 24% dei quindicenni che è stato sottoposto nel 2000 alle prove di competenza linguistica nell'indagine Pisa/Ocse ha mostrato competenze inadeguate. Solo in Grecia e Slovacchia le percentuali sono più alte. Le cose vanno altrettanto male, se non peggio, per le competenze in matematica.

Queste difficoltà tuttavia non sono equidistribuite tra tutte le regioni e tutte le classi sociali. Al contrario. Come hanno segnalato due più attenti studiosi di questi fenomeni, Daniele Checchi e Vito Peragine, esiste un divario sistematico tra aree geografiche e, all'interno di ogni area, tra studenti che hanno genitori con livelli di istruzione diversi. Uno studente del Centro-Sud ha un divario di abilità acquisite di circa 50 punti rispetto ad uno del Nord. La stessa distanza c'è tra il figlio di genitori con la sola licenza elementare e il figlio di laureati. Le due cose si sommano. Di conseguenza, se il figlio di laureati che vive al Nord ha una competenza linguistica valutabile in 545,13 punti, il figlio di persone con la sola licenza elementare che vive al Sud ha una competenza valutabile in oltre 100 punti di meno: 429,88. Questo divario, per altro, è indirettamente confermato anche dai risultati degli esami di terza media. I figli di laureati hanno molte più chances di ottenere una valutazione di ottimo o distinto. Dato che è sulla base di queste valutazioni che gli insegnanti suggeriscono, e i genitori, specie i meno istruiti, decidono se far proseguire o meno gli studi ai propri figli e in che tipo di scuola, non sorprende che i licei siano affollati di figli di laureati (non sempre con ottimi giudizi alla media), mentre gli istituti tecnici e professionali sono frequentati quasi esclusivamente da figli, spesso con basse competenze acquisite nei cicli precedenti, di genitori a bassa istruzione.

A meno di ipotizzare che i figli di genitori poco istruiti e i residenti nel Mezzogiorno siano geneticamente meno capaci di apprendimento, queste differenze di rendimento non possono essere ignorate sia sul piano della equità che su quello del capitale umano e del futuro stesso della nostra società. Segnalano infatti una difficoltà della scuola a controbilanciare gli svantaggi sociali. Anche in altri Paesi esistono fenomeni simili, benché non con la stessa intensità. Ma a differenza che in Italia hanno dato luogo a ampi dibattiti pubblici e, ad esempio in Germania, a proposte di intervento. In Italia invece - salvo eccezioni di nicchia - essi non riescono ad entrare nei dibattiti e programmi politici sulla scuola, ove ci si appassiona piuttosto sulle formule da utilizzare per esprimere i giudizi.

La soluzione, ovviamente, non è nel promuovere tutti, come si è a lungo praticato (salvo perdere per strada molti all'inizio di ogni nuovo ciclo scolastico). Piuttosto è un investimento forte nell'educazione dei bambini, il prima possibile e per un tempo - di qualità - il più pieno possibile. E contemporaneamente in un grosso lavoro culturale e di coinvolgimento dei genitori. Un compito enorme, certo, ma urgente. Tanto più che l'arrivo dei bambini migranti farà ulteriormente aggravare questi divari, se non ci attrezziamo per tempo.